Lo sguardo di Lawrence Anderson sembrava dotato di vita propria. Profondo come il mare, calmo come la quiete prima della tempesta. Suggeriva verità senza pronunciare parole e sussurrava che il peso delle cose mai dette avrebbe continuato a gravare su entrambi.
Till Zeigler lo sapeva, aveva perfino imparato ad apprezzare il suo modo di fare – così al di sopra delle righe, così calcolatore. E si era accorto di quanto questi fosse attento, di come non lasciasse accadere mai nulla per nulla. In ogni sua azione vigeva uno scopo ultimo – e che fosse o meno rilevante, in fondo, non importava: c'era. Accantonata la prima impressione, dunque, si decise a concedergli il beneficio del dubbio.
«Questa mattina siete andato a dormire tardi...» constatò Lawrence. Per farlo gli bastò guardare il volto di Till, le sue occhiaie leggere. Tuttavia mosse una mano con l'intento di minimizzare la propria indiscrezione e frenò sul nascere una qualsiasi replica. Disse: «Me lo ha confermato Hilbert Lange, l'uomo che vi ha aiutato a spostare le carcasse nel crematoio.»
Till annuì. «Sì, proprio così» ammise. Poi fece spallucce, si schiarì la voce e aggiunse: «A dirla tutta ho faticato a prendere sonno.» E non aggiunse altro, convinto di poter intrattenere una conversazione decente con Lawrence Anderson senza inscenare l'apocalisse.
«Niente di preoccupante» borbottò atono. «Dopo aver provato una tale adrenalina, Zeigler, direi che sia quasi normale.» Si accese una sigaretta con fare annoiato, continuando a guardarsi attorno senza il benché minimo interesse. Occhi silenziosi, occhi dediti alla circostanza. Vacui, quasi assenti. La sua espressività ridotta ai minimi termini, lontana dalla litania perversa che chiedeva chi avesse ucciso il pettirosso.
Nella testa di Till, però, ronzava tutt'altro. Una mosca fastidiosa, forse, la stessa che gli fece storcere di poco il naso nell'osservare il profilo dannatamente perfetto di Lawrence. «Nell'edificio speciale c'è ancora la sorella di una delle donne che mi avete fatto uccidere ieri notte» mormorò. Era certo di poter azzardare tanto, di potersi sbilanciare un po', perché le labbra di Lawrence Anderson erano piegate in una smorfia strana, complessa, che sembrava quasi tradire un che di diabolico.
«Non vi sbagliate, Zeigler» disse l'interpellato. «Io non vi ho fatto uccidere nessuno, siete stato voi e soltanto voi a decidere delle vostre azioni...» soffiò. Il volto apatico, tipico di quando non aveva sottomano nulla con cui divertirsi. «Quelle tre puttane erano una sorpresa per voi, dopotutto. E devo dire che siete stato molto bravo con le vitamine, perciò non avete nulla per cui crucciarvi.» Lawrence Anderson sollevò di poco le spalle e scostò la sigaretta dalle labbra. Vide lo sguardo di Till puntarsi su di lui con sdegno e si accorse di averlo colpito nell'orgoglio, così ridacchiò appena e disse: «Che una di quelle avesse o meno una sorella, dopotutto, non importa.»
«Si chiamava Teresie, non me l'avevate detto» sibilò Till. Il tono basso, roco, mentre l'odore della sigaretta di Lawrence gli riempiva le narici – e doveva ammetterlo: un po' lo infastidiva.
Nubi bianche, grigie, fatte di tabacco tostato e prese di posizione. «Non lo sapevo neppure io, Zeigler» fece con noncuranza, sollevando perfino le sopracciglia. Da bravo innocente quale voleva mostrarsi, ignorò il cipiglio contrariato dell'altro e continuò: «Di solito non ci si perde in convenevoli in un bordello, perciò anche il nome di quella prigioniera non era rilevante...» Scosse appena il capo per far ballonzolare qualche ciocca mossa della sua capigliatura corvina – chissà perché, forse per vanità. «Come tutti coloro che si trovano in questo campo, eccetto noi e gli altri membri del corpo dell'ordine, anche questa fantomatica Teresie aveva un altro nome appeso al polso.»
Till non disse niente, non subito almeno. Poté solo mordersi la lingua e constatare il peso della verità in silenzio, perché tutti i prigionieri di Buchenwald avevano l'immatricolazione appesa a una targhetta – e quello stesso numero di serie era l'identificativo che assumevano una volta varcata la soglia del campo. «Non potete catalogare chiunque come fosse una bestia» sbottò.
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Cuore di ferro
Historical FictionTill Zeigler, varcata la soglia di Buchenwald nel 1940 come SS da campo, potrebbe benissimo essere considerato un esempio di pura razza. Ed è proprio quello in cui ha sempre creduto per tutto il corso della sua esistenza, ambendo sin da ragazzo a un...