Capitolo 7

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La vita di Till zeigler era cambiata in modo radicale dal momento in cui questi aveva messo piede a Buchenwald. Non solo aveva raggiunto il suo obbiettivo, ma aveva addirittura trovato un nuovo scopo, un traguardo che quasi sembrava essergli in pugno: il potere. E non gli restava altro che gustarselo fino alla fine mediante i suggerimenti di Lawrence Anderson – perché sì: per quanto quest'ultimo fosse contorto e sadico, certamente sapeva come divertirsi.

Con un sorriso beffardo e la sigaretta ben stretta tra le labbra d'angelo, sapeva rendere luminosa perfino la notte. Passava il tempo ordinando vitamine ai prigionieri, respirava boccate di follia, sangue e ingiurie.

Dal canto suo, Till aveva addirittura smesso di farsi problemi. In un attimo era tornato quello di un tempo, e così come faceva in passato, così come quando era ancora uno studente in cerca di uno sbocco o una raccomandazione di Rupert Haas, pareva spregiudicato e senza alcuno scrupolo. Trascorreva le ore di ronda in cerca di adrenalina, la stessa febbrile sensazione che nasceva dall'umiliazione di terzi. E mai una volta si lasciava incantare da qualcuno – no, perché Lawrence Anderson gli aveva insegnato che Buchenwald era popolato da feccia. Non esistevano nomi, perlomeno non tra le baracche e nemmeno nell'edificio speciale, perché tutti quegl'individui erano stati numerati come delle bestie da macello – continuava a ripeterselo incessantemente da quando si era sbarazzato del corpo della donna senza nome.

Un'intera settimana trascorsa lontano dal Sonderbau. Un'intera settimana fatta d'incontri a singhiozzo con Lawrence Anderson.

Questi diceva di annoiarsi troppo e divideva le loro ronde con uno sbadiglio di troppo o un cipiglio crucciato. Sosteneva che solo così avrebbe potuto vederlo ingranare, che solo così gli avrebbe dato modo d'iniziare a vivere Buchenwald nella sua pienezza.

Ma per Till Zeigler, in fondo, il tempo non aveva più una logica. Esisteva solo in funzione della wagneriana Sonata in B flat – quella che aveva suonato una decina di anni prima nell'abitazione degli Haas – che continuava a ripetersi senza posa nella sua mente alterata.

Quella sera, mentre il vento turbinava nel campo e fischiava sotto l'uscio del bordello, si era messo in testa di voler inscenare la propria ascesa. Desiderava ardentemente che qualcuno danzasse per lui, per la sua gloria. E non gl'importava affatto che l'edificio speciale fosse privo di musicisti, tantomeno che le donne in esso contenute non conoscessero alcun passo all'infuori dell'apertura delle gambe per lo svago delle SS, perché voleva che qualcuno danzasse e non avrebbe sentito ragioni.

Era certo che almeno una di quelle sgualdrine sarebbe riuscita a farlo divertire, ma se anche fosse stato diversamente aveva un piano di riserva: si sarebbe accontentato di trattarla come suo solito. E chissà, magari si sarebbe lasciato andare a un nuovo impeto di follia fino ad abusarne. Dopotutto era già successo un paio di sere prima, per giunta di fronte allo stesso Lawrence.

Till batté le palpebre, frenando il passo in prossimità di una porta socchiusa. Sussurrò: «Permesso...» La voce atona e lo sguardo divertito, animato. Entrò senza attendere una risposta, sicuro di potersi permettere tutto, e nemmeno si guardò attorno. Non gl'interessava chi fosse la fortunata, tantomeno pensava di poter essere arrivato in ritardo. L'idea che qualcuno avesse già preso posizione vicino al letto della ragazza non era minimamente contemplata nel suo cervello ebbro – ma la colpa, ovviamente, era di Lawrence Anderson: era stato lui a fargli alzare il gomito durante la cena, lui e soltanto lui.

Un soffio appena ritardato: «Prego.» La ragazza raddrizzò subito le schiena e si voltò nella sua direzione. Rimase ferma, impietrita, letteralmente di sasso. «Voi siete...» La voce le morì in gola, non le permise di aggiungere altro. E le palpebre si sgranarono all'inverosimile, le ciglia quasi sfiorarono la pelle tesa attorno agli occhi. Rimase a fissarlo senza voce, improvvisamente priva di qualsiasi parola o espressione che potesse compiacere un uomo.

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