7. Il marcio di Sark

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Un normale appuntamento a Sark non avrebbe mai potuto volgere per il meglio e la probabilità diventava ancora più bassa se i protagonisti erano un'anima infetta e un'altra distrutta

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Un normale appuntamento a Sark non avrebbe mai potuto volgere per il meglio e la probabilità diventava ancora più bassa se i protagonisti erano un'anima infetta e un'altra distrutta. Non sarei mai potuta uscire con Alexander per un'innocua birra insieme, non con il buio che ci rincorreva a ogni falcata. Nemmeno il tempo era clemente, non riuscivamo a parlare di nessun argomento importante quando condividevamo la medesima bolla di ossigeno. Qualcosa – o qualcuno – ci interrompeva di continuo.

E dopo l'ultimo evento me lo potevo solo sognare un attimo di pace con lui: papà avrebbe installato telecamere ogni cinque centimetri se fosse dipeso da lui e di certo mi avrebbe volentieri relegata in soffitta. Era comprensibile in realtà, eravamo tutti preoccupati per quello che era successo e avevamo deciso di chiudere i battenti per un po', per dissuadere qualsiasi altro scherzo di cattivo gusto e approfittando del fatto che in inverno il turismo diminuiva.

Tentavo di sopravvivere non facendo trapelare l'inquietudine, non incontrando mai le tenebre e celando con il correttore gli incubi che mi tartassavano, ora uniti a volatili sgozzati e corone funebri di rose rosse.

A dir la verità ogni cosa pareva volersi proteggere all'interno del proprio guscio: le corolle dei fiori se ne andarono e gli uccellini sparirono dalla circolazione, spaventati di essere le prossime prede da torturare. Nessuno di noi, però, era in grado di rifugiarsi nelle braccia del letargo; noi dovevamo affrontare il pericolo e cercare pure di catturarlo, ma provarci sull'isola infernale era davvero una grande impresa.

«Scherzi, Scar? Tuo padre ha ragione a esigere che tu esca solamente accompagnata. Siamo poco meno di mille abitanti, ma le brutte facce ci sono eccome» esclamò Sibyl in risposta alle mie lamentele. Ero nata indipendente ed era difficile dover rinunciare, seppur per il momento, alla completa libertà.

«Io starei un sacco in ansia, non capisco come fai a restare così impassibile» blaterò mentre camminavamo verso villa de Carteret.

La ragazza sapeva essere molto convincente quando si impegnava, ti portava al limite dell'esasperazione, e quel giorno mi aveva obbligata ad assecondarla nel confortare Ashby. Le avevo detto che egli non meritava tutta quell'apprensione dopo lo spettacolo dell'altra sera, tuttavia lei aveva replicato che mi ero sempre comportata da insensibile nei suoi riguardi e che, anche in quell'occasione, non ero stata capace di distinguere la vera ragione della sua furia.

Ed effettivamente una remota parte del mio subconscio pensava di conoscere benissimo la reale motivazione, però non lo avrebbe di sicuro ammesso.

«Scusa, ma tu come hai fatto a sapere della zuffa?» chiesi a bruciapelo. Mi era venuta a prendere in preda all'agitazione, soffocandomi con le domande, e non mi aveva dato la possibilità di realizzare le dinamiche.

Le sue guance scavate si imporporarono lievemente e lei apparve più tenera del normale. Increspò le labbra sottili e farfugliò, evitando la mia analisi: «Il tizio con cui mi frequento era lì...»

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