12. La peggior peccatrice

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Faccia a faccia

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Faccia a faccia. Occhi contro occhi. Morte contro malattia. Mi accorsi soltanto allora di quanto la tonalità delle iridi del diavolo somigliasse terribilmente alla mia, di un tenue azzurro avio che quasi tendeva al blu Alice.

Attesi le macabre sensazioni che erano solite travolgermi da cima a fondo, eppure, mentre mi perdevo dentro la piccola foto affissa alla lapide, le viscere non si mossero. Sentivo proprio di essere un involucro di muscoli, sangue e ossa vuoto. Al mio interno tutto taceva, esattamente come l'intero cimitero cosparso di anime in pena che commemoravano altre anime in pena.

Nessuno faceva caso a me, in piedi davanti a quel pezzo di terra esanime, con un diario fra le mani. I miei guanti sottili carezzavano la superficie ricamata del libricino, l'ultimo, quello che raccontava l'anno precedente alla mia partenza – o almeno, così riportava la scritta sull'etichetta.

Non lo avevo ancora sfogliato, avevo vagato per il paese silenzioso finché non mi ero ritrovata lì. Non avevo rivelato le mie intenzioni nemmeno ad Alexander, il cui sguardo apprensivo mi aveva seguita sino al portone di casa e forse pure dopo, quando ero riemersa senza essermi preoccupata per papà. In realtà avevo incrociato la mamma nello scendere le scale e avevo avuto l'impressione che avesse desiderato dedicarmi qualcosa di più di una semplice occhiata; un'occhiata che però possedeva una scintilla che non avevo mai scorto nei suoi occhi verdi. Per un istante mi era sembrata una vera mamma.

Con uno scatto aprii il diario. Quella nuova determinazione mi aveva concesso un attimo di quiete, tuttavia non sapevo quanto sarebbe durato. Percepivo i brividi dietro la schiena, pronti a spingere sull'acceleratore non appena un nervo avrebbe vacillato.

Rimasi di stucco nel constatare che le copertine si erano inevitabilmente spalancate sugli strappi che rimanevano delle pagine finali. L'ultimo appunto risaliva al sette giugno del duemilaquindici: la scrittura allungata era di sicuro la mia, le parole "Alexander" e "proposta di matrimonio" richiamarono subito la mia attenzione, l'immagine incollata sotto era la medesima custodita nel cassetto del giardiniere... ma io continuavo a non ricordare niente.

Uno scricchiolio alle spalle mi fece trasalire e il libro scivolò dalle mie dita tremolanti.

Una ragazza dai lunghi capelli neri invase di colpo il mio campo visivo, chinandosi per raccogliere ciò che avevo perso e sprigionando un intenso odore di violetta. Era ancora più bassa del mio metro e sessanta, il suo viso era tondo e somigliava a un folletto per quanto era delicata.

«Ciao, Scarlett» mormorò argentina, porgendomi il diario e un cartoncino arancione che doveva essere sfilato via.

Non mi ero resa conto di essermi allontanata quasi in posizione di difesa, con le spalle leggermente rannicchiate. Il cuore aveva aumentato i battiti per lo spavento e le palpebre erano rimaste sbarrate per la sorpresa. Mi raddrizzai un poco, osservando prima il sorriso amichevole della giovane e poi il foglietto arancione.

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