11. Il suo nido sicuro [parte I]

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Il suo nido sicuro mi accolse, ma di Alexander non c'era traccia

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Il suo nido sicuro mi accolse, ma di Alexander non c'era traccia. Non provai nemmeno a chiamarlo, la dipendenza era immersa nel buio pesto e il freddo aveva spazzato via ogni traccia del suo profumo.

Le tapparelle erano talmente abbassate che non riusciva a filtrare alcun raggio lunare. Doveva essere una precauzione, eppure mi sentii schiacciare da tutta quell'oscurità. Pigiai due volte l'interruttore e alla fine fui costretta ad arrancare verso le candele che avevo visto sul bancone della cucina, l'altra sera. Per fortuna il giardiniere era un tipo pragmatico e teneva l'accendino proprio là accanto.

La luce soffusa era persino più accogliente del calore umano. Nonostante le ombre che si disegnavano sulle pareti, io ero salva. Addirittura a prescindere dal ricordo della finestra insanguinata.

Però mi mancava qualcosa – qualcuno. Qualcuno che mi metteva i brividi, anche.

Raggiunsi il soppalco con un lumino in mano e mi sedetti sul letto matrimoniale dalle coperte marroni. Lì, annusai il cuscino e finalmente il tremore delle dita si affievolì. Tuttavia, violento come un fulmine, una rivelazione mi fece quasi perdere la presa sulla candela.

Quello era il nostro letto matrimoniale.

Ecco perché lo stile dell'arredamento rispecchiava alla perfezione il mio; ecco perché nessuno si era ancora permesso di cacciare Alexander e lui continuava a viverci, conservando la nostra foto.

Dio... Era stato così innamorato da volersi sposare a soli vent'anni, così affezionato da non riuscire a dimenticarmi addirittura dopo un rifiuto e il potere del tempo; così trasparente da mostrare il profondo rancore la mattina del mio ritorno e così onesto con se stesso da non essere capace di allontanarsi da me neppure con tutti i misteri che mi seguivano.

Purtroppo la storia non si concludeva qua. Fra di noi c'era un'insopportabile presenza, un fantasma che forse non ci avrebbe mai liberati.

Con uno scatto portai le mani alla bocca, un singhiozzo mi aveva tranciato il petto. Non ero in grado di concentrarmi su nient'altro, persino l'immagine sofferente di mio padre si spostò in secondo piano. La pressione mi soffocava i nervi. Gli incubi mi tartassavano il cervello in maniera lancinante, non mi lasciavano tregua, ed ero ininterrottamente sul punto di urlare. L'aria spingeva irruenta nei polmoni, minacciava ogni singolo secondo di farmi esplodere.

Dovevo scavare a fondo nelle mie viscere, dovevo scoprire la verità. Perché se soltanto mi azzardavo a sfiorare i sospetti che galleggiavano nel mio subconscio, mi sarei ritrovata avvolta da un camice bianco e rinchiusa dentro la struttura di Rue Lucas con gli infissi bloccati e i narcisi gialli sui davanzali.

Non mi accorsi di aver poggiato il lume sul comodino e cominciato a carezzare delicatamente la foto che mi riguardava. Avevo agito in modo automatico, come in tutte le occasioni in cui avevo rischiato di crollare e la mia psiche si era focalizzata sull'unica anima che vedevo splendere negli Inferi.

Percepii un intenso odio nascere al mio interno. Detestavo il mio cervello perché non mi permetteva di rammentare la persona più nobile che avessi mai incontrato, se solo avessi saputo avrei potuto riaggiustare le cose e forse essere felice. Se solo fossi stata certa che i miei fossero solamente brutti sogni e non...

No. Io non avevo beccato il siniscalco in atteggiamenti riprovevoli con una fanciulla che la mia fantasia aveva creato a mia somiglianza. Di un reato tanto grave me ne sarei ricordata, ne sarei rimasta traumatizzata.

Morsi forte la guancia. Poteva pure essere così, io non rimembravo a causa di uno shock.

All'improvviso il barattolo di ansiolitici divenne estremamente pesante, così da obbligarmi a tirarlo fuori dalla tasca. Non riuscivo a distinguere bene le forme, la mia vista era confusa e mi tremolavano ancora le dita. Avevo il corpo scosso da singulti e lo stomaco che doleva. Desideravo soltanto tacere quel ronzio che mi torturava le orecchie e tranquillizzarmi per riuscire a respirare di nuovo. Il panico mi voleva strozzare, lo avvertivo.

«Accidenti!» esclamai quando i miei movimenti frenetici sparsero le pasticche ovunque.

Con i bulbi oculari lucidi strinsi a pugno la manciata che mi era rimasta sul palmo, tentando di disintegrarla. Non volevo essere così fragile e persa, volevo ribellarmi all'incubo che mi propinava di continuo i volti di papà ed Hellier.

«Cosa stai facendo?»

Le parole intrise di accusa e apprensione mi pugnalarono, facendo scivolare ciascuna pallina bianca che aveva creato un solco impeccabile sulla mia pelle. Delle iridi gelide come il profondo mare del Nord mi trafissero, costringendomi ad abbassare colpevole le mie. Non avevo scuse per l'aspetto straziato, per i capelli spezzati e il viso sporco di lacrime. Non avevo spiegazioni per i miei comportamenti privi di senno né per quelli dei nostri parenti. Sapevo solo che Alexander era la mia gravità e che senza di lui, che combatteva ogni giorno contro la mia pazzia, non sarebbe esistito quel debole rivolo di coscienza.

Si inginocchiò al mio capezzale, incurante delle pastiglie che si sbriciolarono sotto il suo peso. «Non ti servono queste per calmarti» sussurrò, afferrando lieve i miei esili polsi.

Avrei desiderato dirgli di non preoccuparsi, che era solamente un cedimento passeggero, invece venni rapita dalla sua dolcezza: condusse piano la mia mano destra sul suo sterno, sul cuore, e mi fissò con intensità, cercando di trasmettermi un po' dell'amore che vi abitava.

Tu-tum.

«Respira.»

Tu-tum.

«Ci sono io con te.»

Mi sentivo lambita da un'energia calda, da una fonte tanto brillante da farmi chiudere le palpebre. La fragranza ambrata del ragazzo si aggiunse per mantenermi avvolta, al sicuro in quel piccolo spazio. Non smisi di piangere e tremare, tuttavia. La mia mente non era capace di lasciare il male all'esterno, avrei sempre visualizzato la macchia che ungeva il nostro locus amoenus, eppure non soccombei. Quella notte non lo feci.

Ero in un bozzolo solido e al mio fianco avevo un angelo. Le mura dipinte di noi ci avrebbero protetto.

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