13. La Dama bianca nel suo castello

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Rincasai che era tardo pomeriggio e il sole stava tramontando lungo gli strapiombi all'orizzonte

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Rincasai che era tardo pomeriggio e il sole stava tramontando lungo gli strapiombi all'orizzonte. Il giardino della Seigneurie, di solito gremito di visitatori e colorato dai fiori più belli, sembrava una povera brughiera: con l'inverno imminente, le piante che regalavano ombre estive finivano per assomigliare piuttosto a bassi arbusti e i ciuffi d'erba non erano più perfettamente pareggiati, anzi invadevano il lungo sentiero e gli angoli della dependance.

Avevo il sospetto che Alexander curasse di meno il piccolo marciapiede che circondava quell'ultima per mio volere, perché apprezzavo dettagli come mattoni troppo antichi o qualche erbaccia che infestava i bordi dei muri. A volte, se in forma modesta e sempre correggibile, mi piaceva vedere le orme della natura e del tempo.

Indugiai prima di entrare perché avrei voluto la presenza del ragazzo a sostenermi, invece del giaccone ghiacciato che nemmeno arrivava a coprirmi le cosce.

Il corridoio era oscuro e silenzioso, in fondo baluginava solo il marmo delle scale. Dalla porta sulla destra, quella che conduceva in cantina, provenivano sussurri di aria fredda che mi fecero rabbrividire – possibile che mia madre si fosse dimenticata una finestra aperta?

«Mamma?» esclamai, pigiando l'interruttore lì vicino.

Buio.

«Papà?»

Avanzai verso il salone, iniziando a scorgere meglio le figure grazie alla luce che filtrava dall'oblò alle mie spalle. Quando varcai la soglia cacciai un urlo.

«Mamma, che stai facendo?»

La riconobbi dal chiarissimo chignon che brillava sotto i raggi del cielo serale, che si intravedeva dalle lunghe tende scostate. Sedeva sul divano e fissava il muro di fronte, con un bicchiere vuoto in grembo.

Mi rilassai un poco e slacciai la giacca, tenendola però addosso. «Cavolo, ma si gela qui! Oltre alla corrente è saltato anche il riscaldamento?»

Cercai una torcia nel cassetto della credenza, trovando soltanto delle candele e dei fiammiferi. Me li feci andare bene, tanto non sarei comunque riuscita a tradurre la lingua del contatore. «Pronto, mamma?» insistetti, rischiarando la stanza e avvicinandomi a lei.

Individuai solamente allora gli antidepressivi sul tavolino di vetro e d'improvviso una scossa accese un impellente desiderio nelle mie vene. Di punto in bianco avvertii un bisogno viscerale di mandare giù una pastiglia e percepire il tepore che seguiva e che calmava i fremiti. Non ci avevo pensato per tutto il giorno, eppure, in quell'istante, ecco riapparire la fiamma dell'astinenza.

Serrai gli occhi e cominciai a respirare profondamente, portando una mano al cuore e ricordando la sensazione di sicurezza che avevo provato nel sentire quello di Alexander.

«Non so dove sia Kenneth» proruppe piatta mia madre. In mia presenza non chiamava spesso il suo consorte per nome e io avevo capito che lo faceva quando smetteva di indossare i panni della Dama, preferendo la versione che riemergeva solo da lontani ricordi.

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