10. Il buio delle nostre anime

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In quell'occasione la ragazza, costantemente girata di schiena, non sembrava temere la notte

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In quell'occasione la ragazza, costantemente girata di schiena, non sembrava temere la notte. Anzi, era raggiante, come se avesse appena ricevuto il primo bacio. Vagava per la landa desolata con la morbida gonna a pois che le carezzava le gambe di porcellana, con la luna che la osservava pacata dall'alto e le gettava riflessi argentei sulla chioma chiara.

Il mare si scontrava inquieto contro la scogliera mentre la foschia lambiva l'estesa brughiera, disegnando minuscole goccioline sulla pelle lattea della giovane. Un provocante richiamo per l'uomo nascosto nell'ombra.

Sapevo che egli l'avrebbe rincorsa con lo sguardo affamato e la bava alla bocca, che avrebbe dischiuso quell'ultima e mostrato i denti storti e scintillanti. Avevo assistito diverse volte alla scena, ma mai mi era apparsa tanto nitida e opprimente. E mai ero riuscita a guardarla dall'inizio alla fine, ero sempre stata in grado di risvegliarmi.

Vidi la bionda rotolarsi in mezzo alla sterpaglia, costretta dalla forza del sudicio energumeno. Percepivo benissimo il tocco ruvido delle sue dita che graffiavano molto di più dell'erbaccia appuntita, lo percepivo anche se ero lontana. Trasalii, addirittura, nel sentire il sangue sgorgare dalle lievi ferite e attirare lo sguardo di una civetta solitaria.

La fanciulla gridava e il rapace squittiva, era una cadenzata e macabra danza la loro. Poi, con la puzza di letame che ci soffocava, proveniente dalle mani dell'aggressore, la gelida brezza portò con sé l'inconfondibile fragranza di una vergine e tutto tacque.

Nemmeno io urlai quando riemersi, ero troppo sotto shock per emettere un verso. Mi ostinai a mantenere gli occhi serrati, non volevo rischiare di scorgere il profilo di Hellier Guille nell'oscurità. Dovevo attendere paralizzata il passaggio dello stadio ipnopompico. Di allucinazioni ne avevo tollerate abbastanza.

Il contatto con un materiale soffice e fresco, però, mi mise in allerta e mi fece spalancare le palpebre: la luce era già accesa ed era terribilmente rossa, vermiglia come i petali che ricoprivano l'intero letto e si trasformavano in fluido nel scivolare sul pavimento.

Quella volta strillai. Lo feci in maniera disperata, mi parve di precipitare in un burrone e così mi destai per davvero, madida di sudore e avvolta dalle grandi braccia del Seigneur.

«Ehi, ehi» mormorò, carezzandomi il capo. «Era soltanto un sogno.»

Mi scostai ansimante, il ghigno del siniscalco ben impresso nella mente. Dovetti controllare in più occasioni che le coperte fossero di un delicato color lilla e che ero davvero tornata alla realtà, nel cervello percepivo ancora i frammenti dell'incubo.

Provai a concentrarmi sulla voce di mio padre, tuttavia essa aveva qualcosa di sbagliato. Era parecchio tremolante e lui si sforzava eccessivamente di tenerla sotto controllo, con i capillari delle sclere gonfie e le palpebre che sfarfallavano. Mi fissava colmo di disorientamento, esitante, come se si stesse trovando davanti a un cerbiatto spaventato.

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