2. Blackout

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Papà dormì l'intero pomeriggio e nessuno ebbe l'accortezza di spiegarmi cosa stesse accadendo: mamma si era rifugiata al Chief Pleas¹, eludendo le mie lagne come fossi una bimba da zittire, e Alexander, che avevo scoperto essere il giardiniere, si...

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Papà dormì l'intero pomeriggio e nessuno ebbe l'accortezza di spiegarmi cosa stesse accadendo: mamma si era rifugiata al Chief Pleas¹, eludendo le mie lagne come fossi una bimba da zittire, e Alexander, che avevo scoperto essere il giardiniere, si era buttato a capofitto su alcune aiuole da sistemare, senza concedermi l'opportunità di fare ammenda per la mia reazione.

Non avevo idea di cosa avesse spinto mio padre, il rispettato consorte della Dama, a ubriacarsi di primo mattino né da quanto andasse avanti. Al telefono, durante il mio soggiorno nella contea del Devon, non aveva mai fatto trapelare nulla del genere.

Erano bastati quattro anni per diventare un'estranea in casa mia.

Ritornai a guardare la miriade di libri sullo scaffale accanto alla finestra e mi concentrai sugli autori in ordine alfabetico, nella speranza di persuadermi a non prendere un altro ansiolitico. La polvere regnava indisturbata, segno che mia madre doveva aver dedicato fin troppe ore al lavoro senza, tuttavia, perdere l'abitudine di appoggiare un profumatore d'ambiente in ogni stanza. Nel salone, ad esempio, era sul mobile di vetro insieme alla televisione decrepita.

La disposizione degli arredi non era variata: il tappeto persiano sottostava ancora all'imponente tavolo in mogano dinanzi alla libreria, il divano a isola dava le spalle all'infisso ed era testimone del passaggio di Charlie, il gatto che ci aveva abbandonati tempo prima. Una raffinata volta in mattoni divideva la sala dalla cucina in stile provenzale, dove ero sicura di poter trovare da qualche parte i pentolini in rame ereditati dalla nonna Diana.

Non mi ero spostata dal sofà su cui ero accovacciata con le ginocchia al petto, neppure per mangiare. Il soffitto non mi era mai parso tanto attraente e la solitudine mai così frustrante. Torturai per l'ennesima volta le tempie, era come se uno zombie mi avesse ridotto il cervello in poltiglia.

Improvvisamente il chiavistello ruotò e i tacchi a spillo della Dama tintinnarono sul pavimento, anticipando la sua figura slanciata e coperta dal solito tailleur senza la minima piega. Sebbene mi dolesse, dovevo ammettere che eravamo davvero due gocce d'acqua: entrambe alte poco più di un metro e mezzo e con i capelli che richiamavano il chiaro di luna; entrambe esili come giunchi e con bulbi oculari troppo grandi per il viso delicato. Entrambe dipendenti dai farmaci.

«Mamma» affermai autoritaria.

Sciolse il perfetto chignon da ballerina e sbuffò, andando a posare una cartella verde sul ripiano vicino ai fornelli. «Non vorrai parlare di Kenneth...» replicò, sprofondando su una delle sedie che circondavano il tavolo usato per i pasti abituali.

«Certo che intendo discutere di papà» sbottai incredula, posizionandomi davanti. Quella donna era pazzesca, non sarebbe mai migliorata.

«È cominciato dopo la morte di Hellier» proferì, d'un tratto sfinita. Il siniscalco² era deceduto un paio di mesi precedenti, era un caro amico di famiglia, ma non immaginavo che mio padre gli fosse stato tanto affezionato. «Non avere la sua amata principessa qui a confortarlo non ha aiutato» proseguì, fulminandomi.

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