PROLOGO - UN ANNO PRIMA.

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Allison.

La pioggia incessante rendeva la mia guida ancora più difficile, svariati clacson mi suggerivano di aumentare la velocità, ma tra i vetri appannati e le lacrime agli occhi era difficile concentrarsi su dove stessi andando, e per fortuna avevo ancora quel minimo di coscienza che mi suggeriva di non fare più dei sessanta all'ora.
Avevo preso la macchina istintivamente, sapevo solo che volevo andarmene da lì, che non era giusto per me vedere oltre.
Come potevo essere stata così sciocca?

Ripensai al giorno della mia laurea, a quanto ero felice quel giorno: la mia famiglia era tutta lì per me, a congratularsi, e al mio fianco il mio ragazzo che mi prometteva un futuro insieme.
Era stato facile rimanere incantata a quell'idea di vita: un'appartamento a Manhattan, una nuova vita da costruire insieme.
Ne ero rimasta affascinata.

Ben presto avevo dovuto ricredermi; vivere la relazione delle favole al college non è esattamente come farlo nella vita reale, avevo dovuto lottare per andare d'accordo con Jack ogni giorno, avevo dovuto farmi andare bene il fatto che lasciasse sempre i vestiti sporchi per terra, che non lavasse mai i piatti, che russasse.
"Ma sono cose che uno fa", pensavo, e non mi pesava la cosa.
Se al college avevamo il nostro giro d'amici, una volta andati a vivere insieme passavamo le serate divisi, con compagnie diverse.
Non mi sembrava un gran problema, allora, in fin dei conti passavamo insieme la maggior parte della giornata.
Poi erano arrivati i silenzi, quelle lunghe giornate in cui sembrava che non avessimo proprio niente da raccontarci. O semplicemente mancava la voglia di farlo; la voglia di condividere con l'altro.
Ma si sa, a forza di tenersi tutto dentro prima o poi uno scoppia.

E lo facemmo entrambi.

Quei silenzi vennero rotti dalle urla, dai costanti litigi, dalle discussioni senza fine.
Finché, esausti, non ci buttavamo nel letto, ognuno ad ascoltare il respiro dell'altro, chiedendoci dove fosse finita quella passione e quella chimica che una volta tanto ci univa.

Ma poi, senza che nessuno dei due lo scegliesse, le cose iniziarono ad andare bene di nuovo.
Ci svegliammo una mattina e semplicemente non avevamo più nulla per cui litigare: il suo disordine smise di darmi fastidio, i miei cambi d'umore sembravano non innervosirlo così tanto..
E fu proprio lì, proprio in uno dei nostri giorni migliori, che lui decise di darmi la botta finale.
Avevo appena terminato uno stage presso l'azienda di suo padre e, reputandomi ormai di famiglia, si era deciso ad assumermi permanentemente.
Una volta arrivata a casa, entusiasta per la notizia, il mio mondo crollò.

Lui era lì, sullo stesso divano dove avevamo fatto l'amore il giorno prima, disteso sopra ad un'altra ragazza, completamente senza vestiti.
E così erano tornate le urla.
Cercò di fermarmi, di provare a spiegarsi, ma ormai ero già fuori dalla porta di casa, pronta a salire in macchina.
Ed ora eccomi lì, guidando verso l'unico posto che potevo ancora ritenere sicuro.



❋❋❋



Bussai più volte alla porta della casa dei miei, ma nessuno risposte.
Probabilmente erano usciti a cena, pensai. Fortunatamente avevo ancora una copia delle chiavi così decisi di aspettarli all'interno.
Non me la sentivo proprio di affrontare Jack quella sera, solo il pensiero di tornare in quell'appartamento mi faceva venire il voltastomaco.
Asciugandomi gli occhi dalle lacrime, miste ormai alle gocce di pioggia, andai a tentoni per cercare l'interruttore della luce.
La mia vecchia casa era ancora come quando l'avevo lasciata; tornare lì mi dava sempre la sensazione di tornare indietro nel tempo e, sentendo il profumo di lavanda che invadeva il soggiorno, avevo sempre sentito addosso una sensazione di pace.
Tranne che in quel momento.

Sentii dei rumori al piano di sopra, quindi mi accinsi a salire le scale.
- Mamma? Papà? - chiesi, attendendo una risposta.
Delle voci provenivano dalla loro camera da letto, ma non riuscivo a capire chiaramente.
- Mamma? Papà? - Li chiamai nuovamente, non volevo rischiare di trovarmi davanti a situazioni spiacevoli una volta aperta la porta della loro camera.
Ma anche questa volta nessuno rispose.
Aprii lentamente la porta della loro camera, entrando piano. - Siete qui?
Spalancai gli occhi e la bocca alla visione della scena che mi ritrovai davanti: mio padre si stava rivestendo goffamente, una donna, dall'altra parte della stanza, era avvolta in un solo lenzuolo e stava correndo verso il bagno della camera per non farsi vedere.
In quel momento nella mia testa si crearono un vortice di domande e quella giornata aveva creato in me una fortissima confusione.

Ma di una cosa ero assolutamente certa: quella donna non era mia madre.

Un'estate per ricominciare. #wattys2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora