Capitolo 2

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La linguistica di per sé sarebbe anche interessante, se non fosse per quei tre quarti di nozioni inutili ed esercizi che la fanno assomigliare tanto alla matematica. Le poche parti che mi interessano, le ho imparate alla prima lettura. Purtroppo non posso dire lo stesso per tutto il resto, che continuo a leggere, rileggere, evidenziare, schematizzare, riassumere e poi schematizzare ancora nella speranza mi entri in testa, ma inutilmente. Odio queste cose, e sono sicura che all'esame faticherò molto per riuscire a passarlo. Allo scorso appello sono stati bocciati più della metà degli studenti, e l'ansia di fare la loro fine non è poca. Non posso andare dai miei genitori e dire loro "sapete, non ho passato l'esame di linguistica generale e applicata, mentre storia non l'ho dato proprio per studiare meglio linguistica, quindi ho terminato la sessione con un solo esame dato, però è quello da 12 crediti, eh!". Mi sbatterebbero fuori casa senza pensarci due volte, il che non mi sembra la cosa ideale, ecco. Mi piace girare per casa con il pigiama e un plaid avvolto sulle spalle come un mantello, come fossi la regina, perché io sono la regina. Certo, solo di questa casa e finché mia mamma non torna dal lavoro, ma sono pur sempre momenti di gloria.

Poi, oggi sono anche stata meno pantofolaia del solito, sono persino uscita a fare una passeggiata dato che il sole è riuscito a scaldare non poco la giornata. Mi meriterei un premio solamente per essere uscita di casa, mi pare il minimo.

Torno a concentrarmi sulle proprietà dei segni linguistici, col mio evidenziatore rosa pallido in mano, quando il campanello prende a suonare. Sono le 12 e qualche minuto, mia mamma non tornerà prima delle 20 questa sera, mio padre tornerà per pranzo tra circa un'ora e io non aspetto pacchi da nessun corriere. Magari ne aspettassi uno.

Tanto lo so, lo so che sarà soltanto uno dei soliti pazienti che se ne infischiano degli orari e dei giorni di ricevimento di mio padre, il che sinceramente mi sta portando all'esaurimento nervoso, quindi decido di fingere non ci sia nessuno in casa. Non ho musica accesa, nemmeno la tv, sono avvolta nel silenzio più totale, non sarà difficile pensare che non ci sia nessuno, no?

Il campanello però continua, e il mio pugno si serra quando il mio orecchio riconosce la ritmicità con cui viene suonato. Giuro che gli tiro un pugno, prima o poi.

Mi alzo indispettita, con in sottofondo il suono del campanello che mi urta i nervi, oltre che i timpani, e apro di scatto la porta, frustrando su di lei tutto il mio nervosismo.

«Sei un ipocondriaco», accuso l'eschimese che mi trovo davanti, senza dargli nemmeno il tempo di parlare.

«Buongiorno anche a te raggio di sole, tuo padre è in casa?», chiede lui ignorandomi e sporgendosi per guardare dentro, ma quando sta fare un passo in avanti per entrare, gli sbarro la strada spostandomi leggermente.

«No».

«Puoi chiamarlo per me? A me non risponde».

Sospiro e roteo gli occhi, curiosa di sentire quale sia il problema oggi. L'altro ieri era tachicardia, ieri era una presunta influenza che ovviamente si è rivelata inesistente, oggi che sarà mai? Epatite B?

«Cosa c'è che non va?».

«Credo mi stia venendo un attacco di appendicite», mi dice tremendamente serio, anche se conciato così, come fosse l'omino Michelin in missione speciale in Siberia, di serio non ha proprio niente.

«Dove hai male?», gli chiedo quindi, rassegnata.

Forse ha solo bisogno di essere rassicurato da qualcuno.

«Senti, non che metta in dubbio le tue qualità da medico, ma vorrei parlare con Stefano se è possibile».

«Se vuoi raggiungerlo in via Cavour e metterti in fila fuori dal suo ambulatorio, fai pure», scrollo le spalle, consapevole che non farà mai quaranta minuti di strada per una cosa del genere. Sa anche lui che è una stronzata, dai. Mi rifiuto di pensare che lui possa credere per davvero di avere una malattia diversa ogni giorno.

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