Capitolo 1

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«Sinceramente, Ale? Tutto questo mi sembra un immenso spreco di tempo e fatica», commento reggendo il telefono tra l'orecchio e la spalla, mentre tolgo il tappo a un evidenziatore rosa pallido e inizio a tracciare righe sul mio manuale fotocopiato di linguistica generale e applicata, che figuriamoci se avrei speso quaranta euro per acquistarlo contro i sette che ho pagato le fotocopie.

«Non dirlo a me, come se poi mi fosse utile per tradurre sapere che un filosofo ha diviso i verbi in sei categorie a seconda della forza invettiva che hanno... a proposito, cosa sarebbe la forza invettiva?».

«È forza illocutiva, ed è quella che ha ogni...», inizio a spiegare, ma mi blocco immediatamente. «Ma hai aperto il manuale almeno?».

Il silenzio dall'altra parte del telefono è già una risposta.

Sono questi i momenti in cui mi rendo conto che potrei essere peggio di come sono, potrei ad esempio non aver ancora iniziato a studiare per un esame che sarà tra meno di una settimana, eppure per i miei genitori rimango ugualmente una delusione.

Un'infermiera e un medico di base, conosciutisi in facoltà da giovani, non si aspettavano altro che la loro unica figlia seguisse le loro orme, tanto che hanno cercato sin da quando ero piccola di inculcarmi la passione per la medicina. Inizialmente ci erano pure riusciti, io li vedevo come due eroi che salvavano la vita alle persone, un po' come facevano gli specialisti con le Winx insomma, e io volevo essere come loro. Volevo anche io quel mantello bianco che indossavano, e indossano tutt'oggi, i miei genitori. Peccato che crescendo abbia capito non si tratti di un mantello, ma di un semplice camice, che mia mamma è una semplice infermiera e mio padre un semplice medico di base che si limita a diagnosticare influenze e prescrivere medicinali, per non parlare della malsana fobia per gli aghi che ho sviluppato negli anni, tanto che appena ne immagino uno sento la testa girarmi.

Un quadro perfetto, insomma, per far sì che la carriera medica rientri nella parte più bassa della mia classifica di lavori che mi piacerebbe fare per vivere.

Forse ha anche contribuito l'idea di mio padre di trasferire in casa, due giorni la settimana, il suo ambulatorio, lasciando così che persone malaticce si aggirassero per il nostro appartamento e lo infestassero coi loro germi. In quei giorni, ormai è chiaro, vengo espropriata del mio divano in salotto, e mi trovo costretta a starmene in camera, con l'ordine di non fare rumore perché "abbiamo ospiti". Quindi nemmeno l'ipotesi di mettere la musica della mia band preferita a massimo volume, salire in piedi sul letto e fingermi la rockstar che non sarò mai, può essere portata a termine in quei giorni. Di solito mi do al gaming sul computer che ho in camera, oggi ho deciso di fare la persona equilibrata e studiare, come una studentessa seria farebbe in piena sessione d'esame. Il fatto che sia alla mia prima sessione e che sia già indietro con gli esami, è marginale, ovviamente.

«Si sa già in che aula saremo?», chiede Alessia, facendomi rendere conto di essermi del tutto assorta nei miei pensieri col sottofondo di qualcuno che tossisce in salotto.

Che schifo.

«Aula Q».

«Grande! La struttura architettonica dell'aula è dalla nostra, se ci mettiamo a sinistra, verso la sesta, settima, fila...», inizia a spiegare con tono entusiasta, ma la interrompo subito.

«Tu davvero preferisci fare calcoli su come la struttura architettonica dell'aula possa permetterti di copiare, piuttosto che studiare?».

«Sì», risponde lei, come fosse una cosa ovvia e io sia davvero stupida se ho qualche dubbio al riguardo.

«Questa è la mia compagna», concludo, quasi fiera di lei che non si smentisce mai. Se non altro, è una certezza.

***

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