Capitolo 14

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Se gli sguardi potessero uccidere, a questo punto sarei già morta e risorta un minimo di ventiquattro volte nel corso della mia relativamente breve esistenza.

Sarei morta tutte le volte in cui mia mamma, al venirmi a prendere da scuola quando ero piccola, mi trovava con i vestiti sporchi, le ginocchia sbucciate o i codini disfatti. Sarei morta quando ho comunicato ai miei genitori la mia indisposizione verso il sangue, gli aghi e qualsiasi cosa legata al mondo medico; così come sarei morta nel comunicare loro la mia decisione di seguire studi umanistici all'università, al posto dei tanto a loro cari studi scientifici. Sarei morta quando mia nonna mi ha propinato quella ricetta strana vista alla televisione che sapeva di sapone per i piatti e io l'ho sputata con forza, facendo finire il boccone nel piatto del nonno. Sarei morta quando in Germania ho superato una ragazza tedesca in fila all'entrata di un concerto, ma almeno in quel caso ne sarebbe valsa la pena: ho conquistato la prima fila al concerto degli All Time Low e Alex mi ha guardata negli occhi diverse volte. Ok, forse in quel caso stavo davvero per morire, sempre per uno sguardo, ma non perché di fuoco. Anche se il fuoco lui me lo aveva fatto sentire eccome, tutto addosso. Ma, tornando a noi, sarei morta in tantissime occasioni, per non parlare di quando la professoressa di matematica mi ha interrogata alla lavagna e mi ha dato 1 "soltanto perché non esiste lo 0", quando quella di educazione fisica ha dovuto attendere tre ore perché io mi degnassi di scendere dal quadro svedese, troppo terrorizzata dall'altezza per spostarmi anche di un solo millimetro, o quando ho fatto esplodere una boccetta di vetro nel laboratorio di chimica perché non avevo ascoltato l'insegnante e avevo fatto un po' di testa mia.

Infine, sarei morta pochi istanti fa, quando il mio telefono ha preso a squillare nel bel mezzo di un melodramma di Mattia, facendo azzittire tutta l'allegra compagnia danzante dell'università, che si è voltata verso di me a guardarmi.

«Rispondi a quel dannato telefono prima che te lo lanci dentro al Tevere!», esclama Mattia col suo forte accento pugliese, indicando indignato la porta e facendomi così intuire che io sia gentilmente pregata di lasciare la stanza.

Mattia è sempre nevrotico, c'è poco da dire. Ma Mattia che si prepara per un appuntamento sfiora livelli di irascibilità che mai avrei creduto possibili prima che quel ragazzo capitasse lungo la mia strada e decidesse di percorrerne un po' con me, non si sa fino a dove.

Dopo lezione, questa mattina, ci ha imposto di seguirlo nell'appartamento che condivide con altri tre studenti nei dintorni della sede di lingue. E con ci, intendo tutti noi del gruppo, tra cui Giulia che sta per avere una crisi d'astinenza da studio, Giorgia che ha dovuto dare buca al suo ragazzo, Alessia che non ha potuto appostarsi fuori dalla sede di ingegneria per osservare Bruno da lontano come fa ogni giorno, e Luca che... no, lui non aveva nulla da fare, proprio come me.

La nostra vita sociale non è esattamente florida e rigogliosa, forse è per questo che andiamo tanto d'accordo e ci sentiamo spesso nel corso delle giornate. Nell'ultimo mese è capitato spesso che ci trovassimo di pomeriggio senza niente da fare, quindi lui mi passava a prendere e iniziavamo a girare per le strade di Roma senza avere la più pallida idea di dove stessimo effettivamente andando. A Luca piace guidare, a me piace stare in macchina ma non guidare. I nostri modi di rilassarci coincidono e spesso ne abbiamo approfittato per farci compagnia a vicenda, talvolta senza nemmeno sentire il bisogno di parlare per colmare il silenzio. Ho trovato un buon amico in lui e non potrei essere più grata per questo.

«Ancora qui stai? Va! Va! Sparisci! Evapora! Smolecolati!».

Già, mai stare intorno a Mattia prima di un appuntamento. Questa è una regola da tenere a mente più di dei dieci comandamenti.

Esco quindi dalla porta della sua stanza e me la chiudo alle spalle, per poi rispondere alla chiamata in entrata prima che il mittente si arrenda ma, quando leggo il suo nome, capisco che arrendersi non fa proprio parte del suo dna.

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