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Entrò nella stanza buia titubante.
Lentamente si avvicinò al letto del biondo: coperto di bende e cerotti, dormiva profondamente.
Lo guardò per un instante e poi scoppiò silenziosamente in lacrime.
L'unica rassicurazione era il suono dell'elettrocardiogramma che segnalava il battito del cuore in modo costante.
L'unica cosa che facesse capire che era ancora vivo.
Kirishima pensò a tutto quello che era successo nell'ultimo periodo e i sensi di colpa emergevano, uno ad uno, creandogli una crepa in quello che era il suo orgoglio.
"Se solo ti avessi protetto..." sussurrò fra le lacrime.
Si avvicinò di più al ragazzo e gli accarezzò il viso.
"Potrai cercare in tutti i modi di allontanarmi, ma rimarrò sempre al tuo fianco. Anche se non vorrai, diventerò il tuo scudo. Non voglio perderti..."
Amore.
Una parola che non gli era mai passata per la testa.
Un sentimento che non aveva mai voluto provare.
Eppure si era innamorato senza accorgersene.
La lontananza da quel ragazzo aveva rafforzato questo sentimento di cui non si era accorto.
Probabilmente aveva sempre confuso il loro legame per "grande amicizia", ma il quasi perderlo aveva fatto scattare in lui quel qualcosa da fargli capire di amarlo.
In quei giorni, in cui stava accanto a quel letto nella speranza che il biondo si svegliasse, aveva riflettuto su tante cose.
Come avrebbe fatto senza i loro battibecchi?
Con chi sarebbe andato in sala giochi?
O a chi avrebbe confidato delle sue preoccupazioni?
Probabilmente l'altro non ricambiava i suoi sentimenti: era troppo preso dal "Voglio essere il numero uno" per pensare a queste cose, ma il rosso decise che gli sarebbe andato bene comunque, pur di godere di quelle piccolezze che li univa.
Stringeva quella mano fredda come se volesse scaldarla. Stava rinunciando anche ai suoi doveri lavorativi: voleva essere lì quando si sarebbe svegliato.
Doveva.
"Sai Bakugou, oggi i dottori hanno detto che sei una persona forte, perché le tue ferite si stanno rimarginando in fretta. Io sai cosa gli ho risposto? "Certo: lui è il numero uno!" Che sciocco vero?"
Il giorno dopo gli raccontò della nonnina accanto al suo letto, che gli aveva augurato buona guarigione quando stava uscendo dopo essere stata dimessa.
Quello ancora successivo che aveva visto il trailer di un film che gli sarebbe piaciuto andare a vedere insieme.
Ed così ogni giorno, per quei mesi interminabili.
"Sai, ho comprato il DVD di quel film che ti dicevo. Purtroppo non siamo andati al cinema a vederlo. Sai che effetti speciali! Quando uscirai, ti inviterò a cena a casa mia e lo guarderemo insieme. Ah! Adesso mi hanno assegnato una casa tutta mia, quindi ci potrai venire tutte le volte che vorrai, senza che i miei genitori ti mettano in imbarazzo."
E di nuovo si mise a piangere sul petto del ragazzo.
Ormai non aveva nemmeno più una benda. Solo, non si svegliava.
Due mesi. Le prime settimane le aveva trascorse interamente in ospedale al capezzale del ragazzo, poi il lavoro lo aveva chiamato e dovette organizzarsi ad andare a trovarlo nel tempo libero.
Aveva persino chiesto se poteva dormire lì, ma non gli era stato concesso.
Ogni tanto incrociava i suoi genitori, che lo ringraziavano per la costanza nell'andare a trovarlo e lui rispondeva con un sorriso imbarazzato o con un "Per lui farei questo ed altro.".
Già, farebbe di tutto lui per rivedere quegli occhi rubini, per risentire la sua voce, per ricevere i suoi rimproveri e le sue esplosioni in viso quando gli faceva perdere la pazienza. Sebbene rischioso, avrebbe combattuto nuovamente al suo fianco, per proteggerlo, per farsì che non si ferisse più.
Stanchezza, troppa.
Spesso si addormentava in ufficio, ma Fatgum o Sun Eater non gli dicevano più nulla. Speravano solo che tornasse a sorridere come una volta.
Tutti in agenzia lo avevano notato: Kirishima si stava spegnendo sempre di più, come una candela a cui finisce lo stoppino. Se lui non sorrideva, nessuno lo faceva. Certo, il rosso si sforzava sempre di sorridere, ma non era lo stesso di cui tutti erano abituati: era forzato, come se fosse l'unico appiglio che avesse per non abbandonarsi allo sconforto.
Anche nelle missioni a cui partecipava: distratto, impacciato, esausto. Cercarono di ridurgli al minimo le uscite all'esterno, perché in un momento critico avrebbe involontariamente messo a repentaglio la propria vita o quella degli altri con quel comportamento.
Speranza?
Lentamente lo stava abbandonando.
Per quanti sforzi lui faceva, l'altro non si svegliava.
Forse non lo voleva trovare lì quando si sarebbe svegliato?
Forse per la sua insistenza nell'andare a trovarlo?
Forse per la sua presenza?
Amore.
Non sapeva nemmeno se andava lì per amore o per i sensi di colpa.
Se lui non si fosse fatto male e non avesse creato quella crepa nel loro rapporto, forse...
No, lo amava.
Solamente lo amava.
Quel giorno di fine inverno, Kirishima era di nuovo lì, su quella sedia, a tenere quella mano inerme.
Non aveva grossi argomenti da raccontare.
"Dovevi vederli: appena siamo entrati si sono arresi senza dire nulla." disse ridendo.
Quella risata forzata.
Quella risata che non è risata.
Quella risata che non era di Kirishima.
"Comunque fra poco inizierà la primavera. C'è un posto in cui ti vorrei portare che ho scoperto l'anno scorso: è un posto tranquillo e intorno è tutto pieno di ciliegi! Non che mi piaccia il rosa, però è bello." aggiunse sorridendo.
Quello doveva essere un sorriso?
Sembrava che qualche forza misteriosa gli tirasse le guance facendogli creare una smorfia.
Silenzio.
Angoscia.
Solitudine.
Senso di abbandono.
"Sai, ho deciso di tagliare un po' i capelli. Chissà, magari potrebbero iniziare a piacerti."
E di nuovo la voce si incrinò.
E di nuovo le lacrime.
E di nuovo il silenzio.
"Non tagliarli: a me piacciono i tuoi capelli."

The world needs heroes [KiriBaku]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora