L'ascensore

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Mi piace lavorare.
Come nel film con Nicoletta Braschi ma senza il mobbing. È solo che sono quindici anni che faccio un lavoro che non è il mio o meglio che io non avrei scelto per me. Sono laureata e sono un'insegnante di matematica. No, mi correggo. Ho sbagliato di nuovo. Non sono un'insegnante nonostante l'abilitazione lo confermi, sono una supplente. Una supplente a chiamata.
Instabile e logorante.
Studiare non ripaga. Oddio ripaga tantissimo per molte altre cose come la crescita personale, come apertura della mente e confronto con il mondo.
La facoltà ti porta a contatto con persone strabilianti che fanno tutto o niente, con artisti, professori padri e amanti e veri insegnanti.
Fuori la facoltà non c'è più nulla. Solo la vita reale.
E dopo corsi, corsini, corsetti e molti soldi in meno ti segni in una graduatoria e aspetti di essere chiamata nei secoli dei secoli.
Accumuli punti come al Conad e per la vecchiaia oltre ad avere la trapunta in vera piuma d'oca a soli 8453 punti avrai anche una cattedra e passerai di ruolo. Forse.

A 19 anni, per togliermi qualche sfizio e non pesare sulla famiglia, ho iniziato a fare la segretaria in un grosso studio notarile. Dicono che in fabbrica sei un numero, solo perché non hanno visto lo stuolo di segretarie e assistenti dei grandi studi.
Ovviamente ho ottenuto il posto con una raccomandazione di mio padre, non avevo né meriti né capacità. Sono stata catapultata in un ambiente con meccanismi già ben avviati e strattonata da una decina di segretarie cattive e in guerra l'una con l'altra, ma tutte soprattutto contro di me. Io ero la raccomandata e non avevo sudato per ottenere quel posto come avevano fatto loro.
Sono partita in sordina: coda, camicetta e jeans, ma attenta al dettaglio.
Smalto e glassa sulle labbra.
Sempre buona e zitta ma decisa e forte abbastanza da far capire che i miei silenzi non erano timorosi. Con il tempo ho imparato a muovermi e a captare tutto il sottotesto che si muove silenzioso negli uffici... Umori, sfumature, feeling.
Insomma ad oggi sono la segretaria personale di uno dei soci. La sua prima segretaria. Mi aiutano altre due che dipendono da me e che fanno le cose che non mi va di fare.
Questo di posto l'ho ottenuto con onesta e con i miei meriti. Lo giuro.
Ho iniziato così a sciogliere i capelli ed indossare anche qualche completo, senza però rinunciare del tutto ai miei jeans.

Oggi io sono lui. Faccio tutto al suo posto, anche bere il caffè. Lui mette solo firme, e non sempre, alcune volte metto anche quelle. I meriti sono comunque tutti i suoi. Io non esisto in questo.
Nel tempo e con le soddisfazioni mi sono impigrita e accomodata su quella scrivania e in quell'ufficio tutto mio da gestire, arredare, respirare e vivere. Ho iniziato a rifiutare più di qualche chiamata dalle scuole e con l'arrivo del primo reale contratto tutte quante. Mi sono fatta le ossa e guadagno bene. Fermarmi è stato naturale.
Con il matrimonio e i figli da un lato e l'essere riconosciuta e apprezzata dall'altro la scuola si è sempre più spostata in una sorta di zona grigia, non meglio identificata, in cui non si fanno domande.
È una piccola spina che ogni tanto mi punzecchia, una canzone che mi ronza in testa di cui non ricordo le parole, una puntina su una bacheca. Sta lì e io lo so.
Forse dovrei tirarla fuori da quella zona grigia ed elaborarmela ma poi mi dico che va bene così e che le scelte che ho fatto le ho fatte seguendo i miei desideri e le mie necessità.

Guardo dalla finestra del mio ufficio lo scendere costante della pioggia. Sono apatica. Il volto appoggiato alla mano. Mi manca Saverio. Menomale che piove, non potrei tollerare in questo momento una bella giornata di sole. Sarebbe troppo.
Guardo il mio telefono. Infiniti messaggini WhatsApp e chiamate. Nessuna è quella giusta.
Mi dico che devo scrollarmi, riprendere in mano la situazione e soprattutto lavorare, altrimenti tutte quelle chiamate e messaggini si trasformeranno in problemi.
Mi alzo per raggiungere la macchinetta del caffè nella sala ricreativa vicino al mio ufficio. Riparto da lì. Caffè, controllo del telefono e pc.
Ce la posso fare.
Bevo il caffè amaro e bollente, come piace a me. Pochi istanti svuotati di tutto dove c'è spazio solo per il nero del caffè, per il suo odore forte e per il calore che mi brucia le pupille gustative. Torno nel mio ufficio e prendo in mano il telefono. Chiamo mio marito. No, chiamo il mio ex marito e gli chiedo cosa fanno i bambini. Lo rassicuro che per cena sarò a casa e gli darò il cambio.
Prenderò pizza e patatine. Non ho preparato nulla. Sono una pessima madre, lo so.
Riattacco. Pc.
Il pomeriggio scorre tra pratiche da sistemare, avviare e archiviare; mail, telefonate e fascicoli da controllare. Non tralascio nulla, sono molto stanca ma ho lavorato bene. È stato un pomeriggio produttivo, sono orgogliosa di me.
Chiudo il pc e con la mia grandissima capacità di slalom evito tutti i colleghi che probabilmente vogliono incastrarmi o rubarmi altro tempo.
Sono in ascensore. Ora passo a prendere pizza, supplì, patatine, coca cola e birra e poi di volata a casa mia dai miei figli.
E quando penso che tutto andrà bene.
Bang. Eccoli li.
Un pugno che mi colpisce allo stomaco talmente forte da togliermi il respiro.
Ero stata brava. Mi ero concentrata ed ero riuscita a focalizzare tutta la mia attenzione sul lavoro. E davvero non c'era stato nient'altro. E ora, li dentro, in quel cubicolo in movimento, il suo pensiero o meglio il pensiero della sua assenza mi aveva completamente destabilizzata.
Saverio non c'è.
In passato avrei approfittato della scappata in pizzeria per chiamarlo e rassicurarlo, desiderarlo anche solo per telefono, come facevamo sempre. Ridere e parlare di cose inutili e lui mi avrebbe raccontato uno dei suoi aneddoti noiosissimi.
Possibile che rimpiango anche quelli?
Sono alla frutta.
Sono al secondo giorno e mi sembra di aver fatto uno sforzo immenso, ai limiti del possibile, per tenerlo lontano dalla mia testa. Per ignorare quel piccolo dolore al petto. E dopo tutto questo estenuante lavoro realizzare che siamo solo al secondo giorno.
Impossibile.
Nemmeno separarmi dal mio ex marito era stato così difficile.
Esco dall'ascensore e mi dirigo verso la porta scorrevole. Devo trovare una soluzione. Ho tempo da qui alla pizzeria.
E cascasse il mondo la troverò.

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