Capitolo 12: Disarmato

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BRIAN

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BRIAN

Che tipetta tosta!

Con un balzo scendo dal tetto della veranda e mi pulisco le mani sbattendole tra loro e contro i pantaloni, dopo aver riposto gli attrezzi. Mi stai disturbando! – quella vocetta impertinente continua a risuonarmi in testa senza che io possa trattenere un sorriso.

Nel giro di pochi secondi la doppia porta finestra con i vetri all'inglese si apre alle mie spalle. Mi volto e, sul portico davanti a me, ritrovo la ragazza di poco fa con le braccia conserte e un'aria scocciata. E pensare che ha fatto tutto lei!

"Senti, Kenneth" comincia; mi sorprendo del fatto che si ricordi il mio nome, tuttavia la correggo: "Brian". Lei esita a causa della mia precisazione, poi fissa lo sguardo nel mio con un'intensità che non mi aspettavo e completa, ribadendo il mio cognome: "Kenneth." Fa un profondo respiro: "Senti, sono sicura che di qualunque cosa si tratti può aspettare qualche ora" afferma convinta, riferendosi al mio lavoro.

Io tuttavia non la lascio concludere e la prendo delicatamente per le spalle; ignorando la sua rigidità, la sposto davanti a me in modo che mi dia le spalle e possa rivolgere lo sguardo al punto in cui la trave di legno che regge il portico incontra il tetto. "Vedi, lì è tutto marcio" le faccio notare. "E se non vuoi che la veranda che sembri apprezzare tanto, dal momento che ti rintani sempre qui, ti cada in testa, è il caso che venga immediatamente effettuata una manutenzione."

Dopo essere rimasta in silenzio per qualche secondo, la ragazza emette un sospiro arreso. Musica per le mie orecchie, dal momento che immagino questa sia l'unica espressione a cui si limiterà per darmi ragione. Si volta verso di me, sempre con le braccia conserte, e fa subito un passo indietro per ripristinare una considerevole distanza tra di noi.

Dallo sguardo sospettoso che mi rivolge intuisco quella che potrebbe essere la sua domanda successiva, così mi affretto ad aggiungere: "Lavoro qui tutti i giorni e tutti i pomeriggi ti vedo seduta nella stessa posizione su quel divanetto con un quadernino in mano" le spiego, indicandole la panca di legno ricoperta di cuscini colorati posta ad un'estremità del portico e sovrastata da alcune lanterne appese alle travi del tetto. "Allora dovresti sapere che non mi piace essere disturbata" ribadisce imperterrita. Scuoto la testa e non mi trattengo dallo sbuffare: "Forse è proprio per permetterti di continuare a startene qui in pace che ora sto sistemando il tetto" le faccio notare con un tono più esasperato di quanto avrei voluto. La vedo ritrarsi sorpresa tanto quanto me dal mio sfogo. Schiude le labbra tenendo gli occhi leggermente spalancati, ma non pronuncia nulla.

Mi passo una mano sul volto con un sospiro e mi siedo su una delle poltroncine di vimini posta li accanto. "Scusami, non avrei dovuto" dico subito. Del resto immagino che, trovandosi qui, l'ultima cosa di cui abbia bisogno sia un ulteriore motivo di stress. Eppure, proprio nel momento in cui accenno a ritrarmi, la ragazza fa un passo verso di me. "No figurati. In effetti hai ragione" si affretta a chiarire con affanno e sembra persino che voglia confortarmi. Poi si ricompone e si schiarisce la voce. "Insomma, mi rendo conto che a volte so essere davvero esasperante" abbozza un sorriso che non posso fare a meno di ricambiare, sollevando il capo e osservando il suo viso pulito e delicato.

"Come ti chiami?" le domando istintivamente, senza alcuna premessa, secondo il mio solito modo di conversare. La ragazza pare presa alla sprovvista, così aggiungo con tono scherzoso: "Vorrei almeno sapere chi gestirà il mio lavoro d'ora in avanti, dal momento che ti proponi come nuova consulente per la manutenzione della Tenuta". Per la prima volta la vedo accennare un sorriso e resto a fissarla un secondo di troppo: il suo viso si illumina all'improvviso e gli occhi verdi sono attraversati da un bagliore inatteso. Adesso sono io a distogliere lo sguardo. "Insomma, quando ci siamo incontrati davanti all'Auditorium, in città, mentre aspettavi l'inizio dello spettacolo, non mi hai detto il tuo nome" le chiarisco.

"Oh" La ragazza sembra rianimarsi all'improvviso: "Non era uno spettacolo, ma un Servizio" mi spiega imperturbabile. Resto per un secondo destabilizzato, non me l'aspettavo. Immediatamente però, ricordo che l'Auditorium è usato come luogo di raduno da molti gruppi ed evidentemente anche dalla Comunità locale. Mi alzo e mi avvicino, mentre lei compie un impercettibile passo indietro. "Ah, quindi sei cristiana?" le domando, secondo la mia connaturata spontaneità. "Lo dici come se avessi scoperto che sono portatrice sana di una malattia trasmissibile" commenta con tono altrettanto spontaneo, abbassando lo sguardo. Senza che possa trattenermi, scoppio a ridere. Allora è capace di fare una battuta! – constato tra me e mi trovo a pensare che questa dev'essere stata la prima volta in cui ha parlato senza soppesare ogni parola. "Scusami, hai ragione, ma non era mia intenzione" mi correggo, abbassando lo sguardo e passandomi una mano tra i capelli. "E' che non me l'aspettavo, tutto qui" provo a giustificarmi, senza in realtà saper spiegare il perché nemmeno a me stesso. "In ogni caso si tratta di una Comunità protestante episcopale" chiarisce lei e, senza che le chieda null'altro, mi sorprende raccontandomi: "Era la prima volta che ci andavo, perché sono arrivata qui da poco, ma mi sono trovata davvero bene." "Mi fa piacere" replico istintivamente, ed è la verità, dal momento che mi ritrovo per la seconda volta ad indugiare con lo sguardo sul sorriso dolce che le illumina il viso.

"Brian!" Una voce roca, sfortunatamente fin troppo familiare, mi chiama strillando e mi costringe a distogliere l'attenzione dalla sempre più interessante ragazza che ho di fronte. Abbasso il capo e incurvo le spalle, cercando di trattenere un sospiro. "Muoviti a tornare a casa, ho bisogno di te!" La voce insopportabile di mia madre mi raggiunge chiaramente persino a questa distanza. Mi volto e la scorgo in lontananza vicino alla cancellata, in prossimità dell'ingresso della Tenuta. Deve aver finito il turno di lavoro e, non sapendo come impiegare il suo tempo, avrà pensato bene di venire a rompere le palle a me. Le rivolgo un cenno annoiato e proseguo nell'ignorarla.

Torno a concentrarmi sulla ragazza, la quale tuttavia lascia cadere sui fianchi le braccia che ha tento incrociate sul petto per tutto il tempo e mi dice: "Ti lascio lavorare". Con una certa delusione mi accorgo che per la prima volta sono privo di una risposta adatta a trattenerla un altro po'.

"Ah..." Prima di rientrare in salotto però, si volta nuovamente verso di me, posando una mano sull'anta della porta finestra. "Mi chiamo Chloe comunque" mi comunica con un sorriso, per poi scomparire in casa lasciandomi con la sensazione tutta nuova di trovarmi completamente disarmato di fronte a qualcuno.

MOLTO FORTE INCREDIBILMENTE VICINO Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora