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E chi erano loro per contrastare l'universo?

Newt uscì di casa che non erano nemmeno le sette del mattino

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Newt uscì di casa che non erano nemmeno le sette del mattino. A quell'ora il quartiere iniziava già a rianimarsi, le luci delle case si accendevano, da alcune si sentivano anche i cartoni animati che qualche bambino all'interno stava probabilmente guardando mentre faceva colazione.

Si guardò intorno, il cinguettio di un gruppo di uccelli in lontananza riempiva l'aria, mentre si rigirava le chiavi di casa fra le dita. Quella notte non aveva dormito; non che di solito dormisse poi così bene, ma almeno lo faceva. Ma quella sera no: gli era stato impossibile prendere sonno. Aveva un brutto, orribile presentimento che gli pesava come un macigno sullo stomaco, come se ci fosse qualcosa di sbagliato nella sua vita, un errore del quale non si era accorto o non aveva voluto accorgersi. Tutta la sua vita faceva un po' schifo, ma in generale il novantanove percento delle cose che la rendevano tale non dipendevano da lui.
Adesso, invece, sentiva che quell'uno percento dipendeva proprio da lui, e sembrava pesare più di tutto il resto.
Una parte di Newt sapeva benissimo quale fosse stato l'errore: isolarsi, estraniare dalla sua vita le persone (o forse l'unica) alla quale fosse mai importato di lui. Ma ammetterlo era troppo difficile.

Si diresse verso il piccolo parco giochi del quartiere, spinse il cancelletto cigolante per entrare, poi si sedette su un altalena, ancora leggermente umida per la rugiada mattutina che stava però iniziando a sciogliersi con il sorgere del sole.

Si spinse con i piedi, il cigolio delle catene dell'altalena che rimbombava paurosamente nel parco giochi deserto, che sarebbe potuto essere, in quel preciso momento, una location perfetta per uno di quei film horror da quattro soldi.

Un fruscio improvviso dietro di lui lo fece voltare, e prima che realizzasse che era stato un gatto nero a provocarlo, credette che quell'uomo che l'aveva picchiato nel vicolo fosse tornato per finire ciò che aveva iniziato. Ma un secondo dopo si diede dello stupido, sospirando rassegnato. Se era stato fortunato, quello psicopatico sarebbe rimasto in carcere per un po'.

Era strano come in tutte quelle settimane non si fosse mai soffermato a pensare a quell'orribile esperienza che aveva dovuto affrontare. Erano successe così tante cose nell'ultimo mese che quasi aveva rimosso quegli interminabili attimi in cui aveva creduto che la sua fine stesse per arrivare. Era stata una sensazione orribile, che aveva quasi dimenticato, e adesso ritornava a galla, provocandogli un groppo in gola che gli impediva di respirare regolarmente. Si girò da una parte e dall'altra, il fiato corto e il cuore che gli batteva fortissimo dentro la cassa toracica, e tirò un sospiro di sollievo nel vedere già un po' di movimento per le strade e nel notare che quindi non era più solo.

Gettò un'occhiata al suo orologio da polso: erano ormai quasi le otto. Per quanto tempo era rimasto a fissare il vuoto, senza riuscire a sbrogliare l'enorme casino che aveva in testa?

Sospirando, si alzò dall'altalena, che continuò ad ondeggiare, sola, nel vento, anche quando lui se ne andò. Spinta da una leggera brezza mattutina tipicamente estiva, dondolava per inerzia, tenuta in vita solo da quel soffio di vento, che avrebbe potuto cessare da un momento all'altro. Sembrava quasi che avesse un'anima, quella vecchia altalena malridotta, sembrava che le mancassero pochi respiri prima della fine, fine che, oltretutto, avrebbe raggiunto da sola, perchè ormai più nessun bambino la usava. Solo quel ragazzo dall'anima tormentata l'aveva fatto, dopo così tanti che l'altalena si era quasi dimenticata cosa volesse dire.

Rainy Days|NewtmasDove le storie prendono vita. Scoprilo ora