Newtmas AU|La storia può essere letta anche senza conoscere l'opera originale!
"La luce fioca e intermittente del lampione rischiarava a stento Lincoln Avenue, che sarebbe stata deserta, se non fosse stato per quei due ragazzi, illuminati dalla luce...
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Si chiuse la porta alle spalle, e appoggiò la schiena ad essa, inspirando profondamente e permettendo finalmente alle lacrime di scorrere liberamente. Scivolò lentamente lungo la porta, fino a sedersi sul pavimento del bagno, l'aria pervasa dai suoi forti singhiozzi. Pianse a lungo, o almeno, gli sembrò di aver pianto a lungo: furono istanti di dolore interminabile.
Per la prima volta da quando aveva letto quella lettera, si ritrovava da solo con tutto il suo dolore, l'agonia, i sensi di colpa e quell'immenso vuoto che aveva nel petto che adesso non riusciva più ad ignorare. Per un momento credette di poter morire, tanto il cuore gli stava battendo forte e tanto gli mancava il respiro. Credette, per un lungo, interminabile istante che fosse arrivata la sua ora, e si ritrovò a pensare che non gli sarebbe dispiaciuto andarsene via da quel mondo nel quale non si sarebbe dovuto nemmeno trovare. La sua esistenza iniziò più a non avere un senso: avrebbe preferito non essere mai nato, ed evitare così tanto dolore a qualcuno come sua madre che non se lo meritava per niente. Considerò seriamente l'ipotesi del suicidio, solo per mettere fine alle sue sofferenze, per avere ciò che si meritava dopo tutti quegli anni passati a colpevolizzare la madre senza sapere proprio niente. La morte l'avrebbe portato lì dove si meritava di stare, in fondo a quel baratro dal quale ogni giorno doveva sforzarsi di allontanarsi pur di tenersene alla larga e non caderci. Era stufo di lottare, stufo di lottare per la propria vita, che adesso non gli sembrava nemmeno degna di essere chiamata tale. Ma se allo stesso tempo non aveva senso continuare a vivere, allo stesso tempo non aveva senso nemmeno morire proprio in quel momento: a che sarebbe servito? Non avrebbe certo evitato alla madre tutto il dolore che era stata costretta a sopportare, era troppo tardi ormai.
Ecco, l'ennesimo paradosso con il quale si trovava a dover fare i conti. La sua stessa esistenza era un enorme paradosso: una creatura nata dalla violenza che tenta di amare qualcun altro. E' matematicamente impossibile.
E gli ritornò in mente Thomas, il modo in cui era riuscito a farlo stare meglio, il modo in cui l'aveva fatto sentire, forse per la prima volta nella sua vita, come se avesse un posto nel mondo. E il suo posto nel mondo sembrava proprio essere tra le braccia di Thomas. Il suo posto nel mondo sembrava proprio essere il sapore delle labbra del moro, le sue braccia che lo stringevano, le sue dita che asciugavano le sue lacrime, la sua voce che lo aiutava a calmarsi e a conciliare il sonno, le sue dita intrecciate alle sue che scacciavano gli incubi e i mostri cattivi. Ma poi si ricordò che probabilmente quelle parole, Thomas, le aveva rivolte a chissà quante altre persone, e tutto crollò per l'ennesima volta, perdendo il suo valore.
Newt si alzò in piedi, barcollando e dirigendosi verso il lavandino, appoggiandosi al bordo di esso. Alzò lo sguardo, incrociando lo sguardo del suo riflesso, che in quel momento sembrava guardarlo con una punta di compassione negli occhi scuri.
Portò le dita a tracciare il contorno del suo viso, sforzandosi di ricordare il volto della madre il più possibile, in un tentativo disperato di accertarsi che ogni suo tratto somatico somigliasse a quelli della madre e che dei geni del suo fantomatico padre non fosse rimasto nulla, perchè non avrebbe sopportato di avere il suo stesso naso, o la sua stessa forma delle labbra. Il ricordo di sua madre era però troppo sbiadito perché potesse fare un confronto, e sentì il panico invadergli il petto e le lacrime rigargli le guance.