Capitolo 20

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Stavolta non la lascerò andare via, stavolta la seguirò e le chiederò scusa, anche in ginocchio, finché non mi perdonerà. Apro la porta di casa e vedo la sua chioma bionda che si agita a causa del vento. "Taylor!", la chiamo, ma lei mi ignora, quindi mi metto a correre e la raggiungo, poi le afferro il braccio e lei, automaticamente, si gira. "Lasciami cazzo!", grida, si dimena e si libera dalla mia presa. Ha gli occhi lucidi, e la voce spezzata. È un attimo: lei si asciuga le lacrime e tira su con il naso, e senza neanche guardare attraversa la strada. Sarebbe andata diversamente se non l'avessi lasciata andare? Non lo so, ma mi piace pensare di no, altrimenti sensi di colpa mi invadono.
"Signorina Prepon, vuole un caffè?", mi chiede Bennet, un poliziotto. Ormai qui in centrale sono di casa: da due settimane vado a lavoro la mattina, torno a casa, pranzo e alle 3 vengo qui, a vedere se ci sono aggiornamenti sul caso di Taylor.
"Sì Bennet, grazie mille". Lui mi porge una delle due tazze che ha in mano, e si siede sul tavolo, io sulla sedia lì di fronte. "Novità?" gli chiedo, e lui scuote la testa. "Sto facendo il possibile Laura, mi dispiace un sacco".
Quei bastardi me l'hanno presa, non ho sue notizie da due settimane. Sembra avvenuto tutto un secolo fa: il giorno dopo il nostro litigio sono andata a casa sua a chiarire e così per i successivi due giorni, e a scuola non si vedeva, ho scoperto che aveva chiamato la mattina per dire di essere in malattia. Dopo 4 giorni ho deciso di porre fine a questa storia e ho usato le chiavi che lei stessa mi aveva dato, non avrei mai voluto invadere la sua privacy ma non mi lasciava scelta. Una volta entrata ho visto lo stesso identico ambiente dell'ultima volta che ero stata lì: le valigie pronte appoggiate alla parete, un giubbotto buttato per terra, il telecomando sul cuscino del divano. Sono andata in camera sua e c'era il letto ancora perfettamente intatto. Ho capito che c'era qualcosa che non andava e ho provato a contattarla, ma evidentemente il suo cellulare era spento, e quindi mi sono precipitata dalla polizia per denunciare la sua scomparsa. Hanno provato a cercarla ovunque: posti che era solita frequentare, parenti, amici... nessuno sapeva niente. E poi la chiamata, cinque giorni dopo la sua scomparsa: "Ce l'abbiamo, Laura, e non la lasceremo finché non ti consegnerai a noi. Sai già chi siamo". Quella voce, un fantasma dal passato: Kubra. Non ho detto la polizia la verità su di me e sul perché Kubra abbia Taylor, ma forse sarebbe d'aiuto, forse...
"Ehi Bennett, devo dirti una cosa". Lui si gira e mi guarda eloquente, come ad invitarmi a parlare. "Kubra, l'uomo che ha rapito Taylor, lo ha fatto a causa mia, e non ce la ridarà finché io non mi consegnerò a lui, e probabilmente alla morte". Finalmente l'ho detto.
"Laura che dici? Perché un grande boss mafioso e spacciatore internazionale come Kubra, dovrebbe volere semplicemente te? Cioè senza offesa-" "Vuole me perché io lavoravo per lui, ma l'ho tradito". Mi sono liberata da questo peso, ho rivelato il mio passato. "Tu... spacciavi con... non sei in prigione perché hai collaborato con la polizia?". Annuisco. "Bene..." risponde lui, poi continua "Potevi parlare prima, Laura!". Vede il mio sguardo torvo e si corregge "Signorina Prepon". Fisso un punto nel vuoto e commento: "no tranquillo, Laura va bene". Lui mi sorride e si tira indietro i capelli, sorridendo. "Adesso sappiamo cosa vogliono per lasciarla libera, vogliono te!". "Ora dobbiamo solo localizzarli..." la sua allegria sparisce. "La chiamata a lavoro", mi illumino. "Quale chiamata?" mi chiede confuso Bennett. "Quella per avvisare della malattia..." passano alcuni secondi e mi risponde "Dire le cose tutte insieme non fa per te, eh?" rido perché sono felice, stiamo giungendo alla fine del caso. "Dobbiamo localizzare da dove veniva quella chiamata" mi dice. Si alza e va verso l'auto della polizia, io lo seguo. "Bennett per favore, fammi venire con te!" lo supplico, ma lui è irremovibile, e io rimango fuori dalla caserma, ma non demordo, e resto seduta sul marciapiede. Estraggo gli auricolari dalla borsa e inizio ad ascoltare alcune fra le mie canzoni preferite, tra cui "I was born to love you" dei Queen.

I was born to love you
with every single beat of my heart
yes, I was born to take care of you
every single day of my life

Sono costretta ad asciugarmi il volto con le mani, perché delle lacrime stanno solcando il mio viso. E se le succedesse qualcosa? Se non potessimo mai chiarire?
In mezz'ora Bennett è di ritorno direttamente con il telefono fisso della segreteria scolastica, la situazione è quasi comica. Entra in caserma senza neanche rivolgermi la parola, ma esce circa 20 minuti dopo. "Ho consegnato il telefono al reparto intercettazione, entro un'ora sapremo da dove viene quella chiamata e potremo mettere in atto il nostro piano". "Ovvero?" gli chiedo. "Vieni, accomodati".

Taylor's POV
Il mio sequestratore rientra nella cupa stanza in cui mi tengono rinchiusa.
"Taylor, oggi sono 15 giorni che sei qua dentro, e la tua amica non è ancora venuta a cercarti... quante altre ragazze credi si sia già fatta quella troia lesbica?". Urlo insulti, o almeno ci provo, visto che ho un pezzo di nastro adesivo nero sulla bocca. Non mi faccio una doccia da 15 giorni, e mi portano in bagno due volte al giorno. Il cibo è disgustoso, scarso, sottomarca e forse scaduto.
Laura, dove sei?
"È ora di andare in bagno" mi dice freddamente il sequestratore, mi prende per i polsi (legati con dell'altro nastro adesivo) e mi dà una spinta, così io cado per terra sbattendo il lato destro del viso. Inizio a piangere. Non so perché, ma basta, non ne posso più! Da quando sono qui sono stata trattata come un animale, presa in giro, percossa, legata, palpata dai sequestratori... non ce la faccio più, vorrei solo morire ora, oppure addormentarmi e risvegliarmi quando tutto questo sarà finito... risvegliarmi accanto a lei.

Laura's POV
"Laura, abbiamo il luogo!" urla Bennett, al telefono. Io ho colto l'occasione per andare a mangiare qualcosa. Pago subito il conto della mia cioccolata calda e mi precipito correndo fino alla caserma. Mi precipito correndo nell'ufficio di Bennett, e spalanco la porta senza neanche bussare. "È ora di mettere in atto il nostro piano", afferma, quindi lo ripasso mentalmente, è molto semplice: chiamerò il sequestratore dicendogli di aver ceduto al ricatto. Lui mi dirà luogo e ora, ma a quel punto non sarò sola, dei poliziotti in borghese mi accompagneranno.
"Sei sicura di volerlo fare?" mi chiede per l'ennesima volta Bennett. "È molto rischioso"
"Senti Bennett, io senza lei non vivo, se non riusciamo a recuperarla tanto vale non vivere proprio..."
"va bene Laura, chiedo cinque agenti e agiamo. Entro domani sera Taylor sarà libera, promesso".

Still loving you-LaylorDove le storie prendono vita. Scoprilo ora