Catene

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Jeongin sentì un milione di aghi perforarlo nello stesso momento. E poi di nuovo, e di nuovo ancora.

Poi, finalmente una pausa.
Cercò di controllare il respiro, di recuperare l'aria che gli avevano tolto con quella cosa attaccata al suo petto.
Si afflosciò sugli anelli di metallo che gli circondavano i polsi, appoggiandosi dove ormai c'erano dei piccoli solchi rossi sulla sua pelle candida.
Dopo poco, il fischio che aveva nelle orecchie si spense, e riprese a sentire. Sentì loro dietro il vetro che li separava mentre parlottavano. Stavano decidendo della sua vita o della sua morte. Avevano pieno potere su di lui.

Non aveva mai sentito nulla dietro quel vetro, forse c'era un qualcosa tale da isolarli, ma ora dovevano avere scordato di attivarlo.

Una voce atona parlò per prima: "Non ce la farà". Il secondo rispose: "Potrebbe farcela". E poi la terza voca: "Deve farcela. Ci serve."
E con la coda dell'occhio, Jeongin lo vide prendere l'iniziativa.

Jeongin la percepì ancor prima che arrivasse. La scarica più potente di tutte. Lo scosse dalla testa ai piedi. Lo scosse nel cuore, nel petto e nello stomaco. Sentì sapore metallico in bocca. Sangue. E lui urlò. Si sentì dilaniare e strappare. E si spezzò.

Un tubo collegato al suo petto divenne blu di una sostanza vischiosa che scendeva. Ne sentì ogni goccia mentre questa gli veniva strappata via.

Le tre facce dietro al vetro vi si incollarono. Era lui. Forse era lui davvero, quello che avrebbe potuto dar loro ciò di cui avevano bisogno. E lo avrebbero finalmente ottenuto in grandi quantità, con le buone o con le cattive.

Jeongin urlava ancora. Cominciò a tremare incontrollato fino a che, alla fine, con un ultimo grido era fuori. Lo aveva fatto uscire tutto. Il liquido blu aveva riempito il tubo. Poco ancora ci voleva per svezzare il liquido da lui.

Poi Macchine impazzite. Bip incontrollati. Loro che battevano su una serie di tasti come dei forsennati.

Jeongin non aveva più voglia di urlare, anche se le scosse continuavano. Si afflosciò agli anelli mentre il liquido cominciava a risalire per il tubo, tornando in lui. E lui diventava più forte e più stanco. Poi, tutto si fece buio.

La stanzetta non era un granché. C'era giusto lo spazio per una brandina di legno, una scrivania con una piccola sedia, un gabinetto e un lavandino.

Sulle pareti bianche immacolate niente di niente, se non un'apertura con sbarre in metallo in alto sopra la scrivania e sulla parete opposta una porta completamente di metallo.

Jeongin si sentì sfiorare il viso. Aprì gli occhi immediatamente. Con il tempo aveva imparato a dormire quasi con gli occhi aperti e al più piccolo spostamento d'aria sospetto era sempre pronto a reagire.

Si rizzò saltando seduto e afferrò la prima cosa che trovò: un polso. Spostò in avanti l'altra mano tirando a sè il braccio che aveva afferrato e prese al collo il proprietario del braccio, in una posa alquanto scomoda e letale, se avesse voluto.

La testa scattò in avanti, e sul polso il ragazzo si trovò una matassa di ricci biondi. Jeongin spalancò gli occhi: "Chan..." disse incredulo con un filo di voce. Rimase fermo. Era un'illusione?

Chan lo guardò e semplicemente gli sorrise. Era seduto sulla brandina dove era appoggiato Jeongin all'altezza del suo bacino e lo guardava senza muoversi di un millimetro, ancora in quella posizione scomoda.

"S-sei vero?" E Chan mosse piano il capo come per annuire.
"NON TI MUOVERE!" Urlò I.N. cominciando a tremare e a stringere la presa. Chan smise di sorridere e spalancò gli occhi.

"Sono io. Sono io. Tranquillo." Aspettò che I.N. si calmasse e il suo respiro tornasse normale, poi, come ad un cucciolo spaventato, cautamente provò: "Forse puoi lasciarmi. Piano piano. Così. Bravo.".

_Hellevator_ SKZDove le storie prendono vita. Scoprilo ora