Persone

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C'erano molte persone, coperte e lampade ad olio. Sembrava un accampamento. A colpo d'occhio, la prima cosa che colpì Chan furono i colori. Tutti indossavano abiti color bordeaux, senape, verde e marrone, e tutti gli oggetti che possedevano rientravano in quei colori. Poi, lo colpì la presenza di ninnoli attaccati un po' ovunque sulle donne, che erano tantissime. Solo allora Chan si accorse con sgomento che le persone erano tantissime. Almeno trenta. Non meno. Donne e uomini, ma pochi anziani e pochi bambini.

Anche gli altri osservavano sgomenti quanto si presentò a loro davanti. Chan si concentrò sulle parole. Era una lingua strana, fatta di suoni fluidi ma che a volte di accavallavano in suoni striduli. Era una lingua che non aveva mai sentito.
Solo dopo, Chan si accorse che anche coloro che la parlavano non erano persone che tutti i giorni si potevano incontrare. Avevano la pelle abbastanza scura rispetto a loro, bianchi come il latte e i capelli lisci e neri, e li portavano lunghi. Avevano gli occhi a mandorla come i loro, ma erano diversi, più grandi. Erano diversi appunto, solo questo.

Chan notò che gli altri lo guardavano in attesa di idee. Idee? Tutte sembravano essere sbagliate, ricche di pro e contro. Eppure certo era che avrebbero prima o poi dovuto decidere tra incontrare quella gente oppure allontanarsi.
A gesti cercò di far capire loro che così, dal nulla, non sarebbero potuti uscire e conoscerli. Avrebbero prima dovuto studiarli un po', capire come comportarsi. Minho dall'altra parte annuì.

Poi ad un tratto sgranò gli occhi, guardando appena alle spalle di Chan.

Chan si voltò appena in tempo per vedere uno Hyunjin inciampare su se stesso, sbracciarsi sgraziatamente e pestare i piedi sul metallo in cerca di equilibrio con il meraviglioso risultato di finire a terra, fuori dal corridoio e dritto nella stanza.

Calò il silenzio. Chan potè percepire anche senza vederlo, che trenta paia di occhi si erano fissati su quel danno di ragazzo.

Hyunjin era immobilizzato, ma non guardò verso di loro. Chan poteva leggere i suoi pensieri: finchè credono che io sia solo, non faranno nulla agli altri. Li voleva salvare.

Alcuni passi si diressero verso di lui, e lui che tremava di paura.

Anche Chan tremava di paura, ma mai, mai e poi mai avrebbe abbandonato un suo amico. Prese così tutto il corsggio che aveva in corpo e respirò con forza.
Poi, fece un passo fuori dal corridoio ed entrò nella stanza, affiancando Hyunjin, ancora seduto a terra. Cercò con tutte le sue forze di sembrare sicuro di sé, anche se non saleva quanto ci fosse riuscito.
Chan vide anche gli altri dall'altra parte fare lo stesso, e così erano tutti allo scoperto.

Gli occhi si fissarono anche su di loro.
Occhi ostili? O solo curiosi? Ancora non riusciva a capirlo.

Ci fu un momento di stasi. Nessuno si mosse. Poi, gli uomini si diressero verso di loro e provarono a bloccarli. In un batter d'occhio ci riuscirono. Come fossero dei pivelli, tutti e sei furono bloccati in ginocchio con le mani dietro la schiena da un uomo a testa. Silenzio, questo era l'ordine che Chan ebbe modo di interpretare dalla loro lingua sibilante ed ipnotica.

Poi, dopo un po', arrivò un anziano. Camminava a stento, a piedi scalzi, appoggiato ad un bastone. Ad ogni passo, i ninnoli di metallo che aveva attaccati ovunque sulla veste tintinnavano scandendo i secondi. Camminò senza guardarli, poi si mise di fronte a loro. Aveva un viso che era un ammasso di rughe e lui era piuttosto in carne. Era contratto nell'espressione, eppure non sembrava un viso cattivo.

Arrivato davanti a loro, semplicemente si fermò e li squadrò ad uno ad uno. Ultimamente succedeva un po' troppo spesso che fossero studiati come degli esemplari di laboratorio. Eppure non durò molto.

Poi l'uomo parlò, utilizzando una lingua a loro familiare, dato che aveva capito che i ragazzi non conoscevano quella sibilante.

"Chi siete?" Una voce stanca, ma autoritaria. Il suo accento non era pessimo, come se in un passato avesse imparato questa lingua, eppure era contaminata dai sibili propri di quella gente.
Da come aveva parlato, ben si capiva che doveva essere stato un grande uomo in principio. Chan prese parola: "Siamo scappati di recente dalla Struttura."
L'uomo sgranò gli occhi, e questo incitò Chan ad azzardare una domanda: "... La conoscete?"
L'anziano si fece cupo: "Molti dei nostri sono morti in quella struttura. Ogni famiglia, ogni gruppo vi ha lasciato qualcuno. Non c'è nessuno che io conosca che non ha perso qualcosa, che sia esso una persona cara, la ricchezza, il senno o la vita."
"Noi ci siamo tutti. E... ce ne sono altri"


Woojin non sapeva esattamente se fosse la scelta giusta, e non approvava certo l'avventatezza di Chan, ma apprezzò il fatto che anche quella volta non erano stati uccisi.
Mentre Chan era andato a chiamare gli altri, lui rimase con quel gruppo di persone. Un po' gli facevano tenerezza. Erano gente semplice, vivevano seminomadi di quello che trovavano, e si accontentavano di poco.
Woojin si mise quasi subito a giocare con i pochi bambini, i quali immediatamente lo adorarono. Nonostante i problemi della lingua, fu un bel gioco. Loro gli insegnavano giochi con pietrine e caselle sul terreno: bisognava lanciare la pietrina in uno dei quadrati e saltare su un piede solo in tutti gli quadrati in ordine, poi tornare indietro, e raccogliere la pietrina.

Woojin si maledì per non avere nulla da insegnare loro: lui aveva dimenticato tutti i giochi che faceva da piccolo, considerando anche che non si giocava proprio tanto. Era più un mondo serio che giocoso come dovrebbe essere per un bambino.
Sin da piccolo però aveva capito che non c'è posto nel mondo per il divertimento, almeno non per lui.

Ecco, era il suo turno. Gli venne un'idea: fece finta di sbagliare e mise il piede sulla pietrina. I bambini cominciarono ad urlargli e lui fece finta di cadere sconsolato a terra, sdraiandosi a pancia in su. Tutti i bimbi gli salirono addosso e lo abbracciarono, gli fecero il sollettico. Lui cominciò a contorcersi, ridendo e ricambiando ogni tanto sollettichi.

Esausto poi, si accasciò nonostante i bambini che continuavano a giocargli addosso. Woojin davvero ringraziò quando le mamme dei bimbi, le quali poco lontane li guardavano giocare, ad un certo punto richiamarono i bambini, che obbedienti si alzarono lasciando in pace il ragazzo e si sparpagliarono chi qui, chi lì.

Woojin si avvicinò dunque a loro per ringraziarle con un inchino, ed una delle mamme, una abbastanza anziana, gli porse a due mani una tazza di qualcosa, invitandolo a sedersi. Lui allora ringraziò anche per quella e si sedette con le mamme. Prese un piccolo sorso.
Quando rialzò gli occhi, si accorse che era un pochino osservato. Una mamma allora urlò verso una tenda e presto ne uscì una ragazza più o meno della stessa età di Woojin. Era alta, dai lunghi capelli neri. Indossava un abito corto color vinaccia ed era a piedi scalzi. Si diresse verso di loro e, una volta arrivata, si sedette con la testa abbassata, inginocchiandosi accanto alla sedia della madre che l'aveva chiamata. Solo allora azzardò ad alzare appena gli occhi su woojin, per poi ritrarsi come scottata riabbassando lo sguardo.

La madre parlò a lei, ma rivolgendosi a Woojin. Davvero strano. Lei poi parlò, con una voce dolce ma che ispirava sicurezza: "Le madri ti ringraziano per aver giocato con i bambini." Stava traducendo.
E qui a lui sembrò doveroso rispondere: "Vi ringrazio io per le fiducia nei miei confronti" e lei tradusse. Una madre sorrise, e rispose dunque, ponendo una nuova domanda, tuttavia Woojin non riuscì a seguirla, perchè la sua attenzione fu tutta catturata da ciò che stava avvenendo davanti alla tenda principale.

C'erano Chan e gli altri davanti all'anziano. Chan fece per presentarli, ma l'anziano si diresse subito verso Jisung con un fare tranquillo: "Han Jisung - il ragazzo tremò un attimo - bentornato."

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