Capitolo 19

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La serata trascorse abbastanza tranquilla.

Gli imbecilli, fortunatamente, dovevano aver deciso di restarsene a casa o, ancora meglio, di andare in un altro locale a rovinare la vita a qualcuno che non fosse Jen.

Si guardò intorno ancora una volta prima di andare sul retro a togliersi il grembiule e le scarpe che usava sul lavoro, ma la visuale le restituì il solito deprimente risultato: non c'era più nessuno e Namjoon, alla fine, non era venuto. Abbassò gli occhi e li sentì pizzicare. Non voleva piangere, ma sapeva che l'avrebbe inevitabilmente fatto, forse non in quel preciso momento, ma sicuramente più tardi.

D'altronde non le restava tutta la vita per farlo?

Salutò Luigi con un cenno della mano e uscì nel parcheggio.

Si avviò lentamente verso la macchina guardando le sue stesse scarpe, non aveva assolutamente voglia di andare a casa, si sentiva sempre sola ultimamente. Forse avrebbe dovuto andarsene a ballare da qualche parte, chissà se la compagnia di altri ragazzi l'avrebbe aiutata a non deprimersi ancora di più. In realtà però non voleva la compagnia di chiunque altro che non fosse Namjoon, al massimo avrebbe accettato quella di Jackson, ma non era giusto usarlo più di quanto sentiva di avere già fatto.

Si avvicinò allo sportello della macchina e, come al solito, prese a frugare nella sua borsa in cerca delle chiavi. Tutto ad un tratto sentì una mano forte e pesante spingere violentemente la sua testa contro il finestrino. Avvertì il rumore del naso che si incrinava e gli occhi si riempirono immediatamente di lacrime.

"Ciao troietta!" le disse una voce viscida che non riconobbe, proprio vicino al suo orecchio.

Cercò di girarsi, ma lui le bloccò un braccio dietro la schiena e lo spinse verso l'alto. Il dolore le saettò fino alla spalla. "Ma come? Non ti ricordi di me? Io mi ricordo benissimo di te, anche se vestita così da brava ragazza ho faticato un po' a riconoscerti"

"Ti prego... mi fai male" disse Jen piagnucolando. Avvertiva il sangue colare dal naso tra le labbra e scendere giù per la gola causandole un senso di nausea crescente.

"Oh ti sto facendo male? Mi dispiace, ma non posso rischiare che tu mi scappi proprio adesso che stiamo cominciando a conoscerci meglio, non credi? Prima ti ho chiesto se ti ricordi di me, ma non mi sembra di aver sentito la tua risposta"

"No... non mi ricordo..." gli rispose lei lottando contro la voglia di piangere apertamente.

"Sei proprio scortese. Non ci si dimentica così alla svelta delle persone. Eh no. Oppure quando ci siamo incontrati eri troppo ubriaca?"

"Per favore, se mi lasci potremmo parlarne con calma" cercò di replicare.

"Ah adesso vorresti parlare? Dato che qui non c'è nessuno a difenderti adesso vorresti davvero sapere chi cazzo sono, eh?"

Jen tutto ad un tratto ricordò: era il tipo che aveva incontrato nel ristorante di Jackson! Una sensazione di gelo le riempì le viscere, inspiegabilmente ora che aveva capito chi fosse era ancora più spaventata.

"Sai, come ti dicevo, ho faticato un po' a riconoscerti vestita così, non ero sicuro che fossi tu, ma poi sabato scorso ti ho visto con quel brutto muso giallo che mi ha cacciato dal suo locale e allora ne ho avuto la prova. Ti piacciono i cinesi eh?" le disse mescolando nella sua voce disprezzo e rabbia, mentre strusciava oscenamente la patta dei pantaloni contro la rotondità delle sue natiche contratte.

"Io..." cominciò a dire Jen, poi prese un lungo respiro per prepararsi a gridare, ma lui la interruppe immediatamente: "Non provare ad urlare! Se lo fai ti giuro che ti pianto il mio coltello direttamente in un polmone". Lei si zittì di colpo sentendo qualcosa di appuntito appoggiato al suo costato.

Oltre quel ponteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora