Capitolo 18

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Jackson uscì di casa di Namjoon con il cuore pesante. Non avevano mai litigato così e mai lui si era permesso di alzare le mani. Nonostante tutto quello che si erano detti e quello che era accaduto continuava a sentirsi in colpa. Non aveva fatto nulla per esserlo ma era un riflesso incondizionato dopo tutta una vita passata ad ammirarlo. Si sedette in auto e compose il numero di Jen. Gli dispiaceva così tanto doverle dire che le cose non si erano risolte come loro auspicavano, ma non era giusto darle false speranze: Namjoon era sempre stato un testardo, se si metteva in testa qualcosa era quasi impossibile fargli cambiare idea e se aveva detto che non li avrebbe perdonati, beh, semplicemente non l'avrebbe fatto. Quando sentì il segnale di libero il suo cuore ebbe un tonfo, aveva voglia di sentire la sua voce, ma odiava essere portatore di brutte notizie. Abbassò la testa e cominciò a massaggiarsi la fronte e le tempie cercando di allontanare le avvisaglie di un mal di testa incipiente. Il telefono continuò a squillare a vuoto. Jackson chiuse la comunicazione e avviò il motore. Quando arrivò a casa sua provò ancora una volta a contattare Jen ma, non ricevendo risposta, si buttò sul divano con il cartone delle birre ai suoi piedi, intenzionato a berle tutte fino all'ultimo goccio.

***

Jen accompagnò a casa sua madre dopo aver trascorso una serata piacevole. Entrò in casa canticchiando allegra e si mise subito alla ricerca del suo telefono. Si guardò intorno e lo vide proprio dove lei pensava di averlo lasciato. La spia delle notifiche lampeggiava. Si chiese come fosse possibile che durante il giorno non la cercasse mai nessuno poi, bastava dimenticare il cellulare qualche ora per ritrovarlo pieno di chiamate perse. Illuminò il display e lesse il nome di Jackson. Un brivido le corse lungo la schiena: perché era sicura che tutto ciò non fosse di buon auspicio?

Azionò la telefonata immediatamente poi si mise in ascolto. Dopo l'ennesimo squillo a vuoto stava quasi per riattaccare quando le rispose la voce impastata di lui.

"Pronto?"

"Jackson? Sono Jen. Tutto ok?"

"Mmmh direi di no, tesoro" ribatté lui faticosamente. La bocca gli faceva un male terribile, ma per fortuna l'alcool che aveva ingerito cominciava a fare un blando effetto.

"Ma sei ubriaco?" gli chiese lei titubante. Le cose non potevano sicuramente andare bene se lui aveva sentito il bisogno di stordirsi in quel modo.

"No, ho bevuto solo qualche birra. Sto benissimo" mentì lui.

"Ho visto che mi hai chiamato, cosa c'è?"

"Jen, io... io penso che sia tutto finito..."

"Come sarebbe a dire? Cosa?"

"L'altra sera... sabato sera... non so come dirtelo, maledizione!" urlò sbattendo il cellulare sul bracciolo del divano lì vicino.

"Jackson cosa c'è? Namjoon sta bene vero? Gli è successo qualcosa?" gli domandò lei con preoccupazione crescente. Il cuore le batteva furiosamente nel petto e le tornò alla mente il viso pallido e stralunato che aveva lui nel suo sogno.

"Sì sta bene, ma ci ha visti... Era parcheggiato davanti a casa tua. Si era deciso a venire da te per parlarti, ma poi ci ha visti insieme..."

"Oh no... Cosa ti ha detto?" Jen era sull'orlo delle lacrime. Sentiva la terra sgretolarsi sotto i suoi piedi.

"Mi ha confessato che non ci perdonerà mai per averlo tradito..." replicò lui in un soffio.

"Ma tu non gli hai detto che non abbiamo fatto nulla? Non gli hai detto che tra noi non c'è niente? Non gli hai spiegato che..." e si interruppe sconfitta.

"Gli ho detto solo la verità... mi dispiace..." replicò lui sottovoce, consapevole che le sue domande in rapida successione non facevano altro che dimostrare che se anche non fosse stata con Namjoon comunque non sarebbe mai stata sua.

Jen si abbandonò sulla sedia vicina. Le sembrava che il mondo le crollasse addosso.

"Secondo te potrei migliorare le cose se andassi da lui?"

"Io non credo. Sai mi ha picchiato. È arrabbiato e deluso e non so nemmeno se ti ascolterebbe"

"Come? Ti ha picchiato? Cosa gli è saltato in mente? Ma stai bene adesso?" gli chiese mentre gli occhi cominciavano a riempirsi di lacrime e il mondo si confondeva dietro il loro specchio deformato.

"Non so, non l'aveva mai fatto. Sto bene ma so che qualcosa si è guastato tra di noi". Il tono di Jackson era sconfitto, amareggiato. Dopotutto l'alcool gli aveva annebbiato il cervello ma non abbastanza da evitargli di stare male.

"Gli ho detto che venerdì farai il turno serale. Se si farà vivo saprai che vale la pena continuare a pensare a lui ma se non dovesse venire allora ti prego cancellalo dalla tua mente perché ti farebbe solo ed unicamente soffrire".

***

Namjoon rimase seduto per molto tempo dopo che Jackson se ne fu andato. La luce del giorno prese i colori caldi del tramonto per poi lasciare il posto all'oscurità della sera. Non si preoccupò di accendere la luce, non ne aveva bisogno. Amava il buio, la notte, la solitudine, ne era sempre stato affascinato e lo aiutava a riflettere. Terminò la birra in un sorso e riprese a massaggiarsi la mano indolenzita. Quella sera aveva fatto tante cose che andavano contro i suoi principi. Prima di tutto aveva picchiato il suo migliore amico. In secondo luogo lo aveva picchiato a causa di una donna. E poi... e poi si era accorto di essere davvero geloso di quella stessa donna. Infine la cosa più grave di tutte era che aveva avuto la certezza di amare Jen. Aveva lottato contro i suoi stessi sentimenti per tanto tempo ma ora più guardava nel suo cuore più si rendeva conto che era proprio quello che provava per lei. Ripensò al suo sorriso, al suono della sua voce e della sua risata e si ritrovò a sorridere anche lui, involontariamente, nel buio di casa sua, senza motivo. In realtà un motivo c'era, odiava ammetterlo ma gli piaceva la sua compagnia, la trovava spassosa e allo stesso tempo intelligente e aveva assaporato ogni momento con lei anche quando non facevano l'amore. Aveva cominciato ad apprezzare piano piano, giorno dopo giorno, alcuni particolari di lei che lo intenerivano, come ad esempio la sua camminata strana, quasi saltellante, che riconosceva dal rumore. Gli permetteva di sapere con certezza che lei era lei prima ancora di vederla o di sentirne la voce così alzava gli occhi nell'esatto momento in cui entrava in ufficio e incrociava il suo sguardo in perfetta sincronia. Adorava quando era nervosa e iniziava a muovere le gambe sotto la scrivania senza sosta. Oppure quando era imbarazzata che le guance le si arrossavano immediatamente e la vena alla base del collo cominciava a pulsare. Gli piaceva che fosse sempre gentile e disponibile con tutti ma quando si arrabbiava diventava inarrestabile e le sue orecchie prendevano uno strano color porpora. Forse però la cosa di lei che amava maggiormente era la completa fiducia che gli aveva dimostrato. Quando erano insieme lei lo faceva sentire importante, quasi invincibile. Aveva la capacità di mettersi totalmente nelle sue mani e questo lo esaltava dandogli una carica di autostima che durava per giorni.

Alla fine erano tutte piccole cose ma prese insieme la rendevano unica ed indispensabile.

Non poteva nascondere ancora i suoi sentimenti, doveva dirglielo e quel venerdì sera l'avrebbe fatto. Non gli importava di sembrare debole, avrebbe detto al mondo intero che la amava e che non poteva vivere senza di lei.

***

Jen era disperata. Sentiva di aver perso Namjoon per sempre ed era un dolore insopportabile. Aveva solo un lumicino di speranza per quel venerdì ma era veramente ridotto all'osso perciò si preparò svogliatamente e uscì di casa. Per tutto il viaggio continuò a pensare che fosse tutta colpa sua e questo non la aiutava minimamente. Una parte del suo cervello le diceva che era giusto che lei gli avesse fatto sapere con chiarezza come si era sentita quel giorno quando lui aveva organizzato l'incontro con Jackson ma l'altra parte, quella che stava soffrendo di più, le urlava che se avesse taciuto probabilmente in quel momento avrebbe potuto essere tra le sue braccia. Ma quale relazione può essere basata sul malcontento e sull'accettazione passiva? E poi, ci sarebbe mai stata davvero una relazione tra loro? Lui non aveva sempre detto che non voleva legami di nessun tipo? Si costrinse a non pensare per qualche ora, altrimenti non sarebbe riuscita a lavorare. Entrò nel bar con il suo solito sorriso stampato in faccia ma dentro si sentiva morire.

Oltre quel ponteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora