Capitolo 22

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Namjoon era distrutto. La sua situazione andava peggiorando di ora in ora. Aveva cercato di mantenere la dignità che gli spettava in quanto innocente ma era veramente stanco. Prese in mano il cellulare e chiamò Jackson che rispose al primo squillo.

"Namu? Dove sei?" la sua voce era preoccupata quasi stridula.

"Sono arrivato a casa adesso. Ti va di venire? Dovremmo parlare... credo"

"Arrivo subito. Sono praticamente già in auto"

Nell'attesa Namjoon si buttò sotto la doccia. Aveva bisogno di togliersi di dosso lo sporco, il sudore, l'appiccicaticcio della mala notte appena passata, l'odore della paura di non farcela. Mise la testa sotto il getto dell'acqua bollente cercando di liberare la testa almeno per qualche minuto ma sentiva il cuore pesante. Nonostante le cose andassero così male non riusciva a non pensare a Jen. Gli tornava continuamente in mente il suo naso rotto, i lividi scuri sotto i suoi occhi, il pallore cadaverico del viso e il suo sangue sulle mani. Voleva vederla, parlare ancora con lei un'ultima volta poi, se l'avessero arrestato, beh, avrebbe affrontato il suo destino come aveva sempre fatto da quando era nato. Non si era mai nascosto prima e non l'avrebbe fatto certo adesso, ma avrebbe combattuto, questo sì. Arrendersi non era mai stata un'opzione per lui. Alzò la testa con gli occhi chiusi e cominciò a piangere. Sentiva le lacrime mescolarsi con le gocce d'acqua che scorrevano sulla sua pelle. Avrebbe mai potuto mescolarsi, anche lui, all'altra gente? Mescolarsi come le gocce di pioggia o come le persone sotto gli ombrelli, tutte uguali ed indifferenti agli altri? Perché la sfortuna continuava ad accanirsi contro di lui? Non voleva essere unico, non gli era mai importato di esserlo, gli bastava solo un po' di pace. Era così difficile da ottenere?

Interruppe il flusso dell'acqua ma non uscì subito dalla doccia, rimase fermo lì a rabbrividire mentre le lacrime continuavano a scorrergli sul viso.

Sentì suonare il campanello. Si asciugò velocemente, indossò solo un paio di boxer e andò ad aprire la porta.

"Come è andata?" chiese Jackson appena messo piede in casa.

"Male. Quell'ispettore Cardelli è veramente tenace e devo anche dire che è bravissimo a fare il suo lavoro. Se non sapessi di essere innocente crederei ciecamente anche io alla sua versione" rispose Namjoon cercando di fare un po' di ironia e sorridendo alla sua stessa battuta. Jackson lo guardò con un sopracciglio sollevato: "Questa è tutt'altro che una buona notizia, direi". Si lasciò cadere sul divano, abbattuto. "Ho cercato un modo per venirne fuori ma non ho trovato nulla. L'unica cosa è aspettare il riscontro delle impronte sul coltello".

"Oh andiamo Jacks! Lo sai benissimo che questo non proverebbe nulla. Si scoprirebbe che non ci sono le mie impronte non che il coltello non è mio e ancora meno che io non abbia commesso il fatto"

"Ma sarebbe già qualcosa"

"Mmh magra consolazione in realtà"

"A che ora devi tornare in commissariato?"

"Mi hanno detto di andarci il più presto possibile"

"Hai mangiato?"

"No, ma non ho molta fame"

"Ma non scherzare, devi mangiare se vuoi arrivare in fondo a questa faccenda. Vieni dai!"

Si spostarono in cucina e Jackson aprì il frigo.

"Che desolazione! Di fresco non c'è proprio niente"

"E secondo te quando avrei avuto il tempo di fare spesa?"

"Ah già. Hai ragione. Farò un po' di pasta con olio, aglio e peperoncino allora"

Mise sul fuoco la pentola con l'acqua e nell'attesa che prendesse bollore si sedette di fronte a Namjoon. Lui lo guardò con gli occhi più stanchi e desolati che avesse mai visto.

Oltre quel ponteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora