Quando riapro gli occhi lei era ancora accanto a me. Non più appoggiata al mio petto, ma voltata su un fianco, che mi da le spalle e respira profondamente.
Il cuore ancora mi pulsa nelle tempie, in gola e nel petto. Violento, come se volesse sfuggire dal mio corpo, prigione troppo piccola, troppo insignificante, immeritevole.
Mi asciugo la fronte, imperlata e luccicante di sudore gelido, mi alzo in piedi cercando di fare meno rumore possibile e mi volto a guardarla. Non si è accorta di nulla.
Raccolgo i miei vestiti sparsi sul pavimento ed esco dalla stanza senza fare rumore.
Mi rivesto in cucina, distrattamente, mentre un fiume di pensieri ed emozioni contrastanti imperversa nel profondo della mia coscienza. Ognuna di esse mi trafigge come lance scagliate con odio da guerrieri tribali che mirano al mostro nel mio petto.
Ho già deciso che non sarei rimasto, ma qualcosa mi fa temporeggiare. Più volte mi siedo e mi rialzo dalla sedia, faccio qualche passo silenzioso, avanti e indietro inquieto come un gatto rimasto chiuso sul balcone, e poi torno fermo.
"Sei un codardo" mi sussurra una vocina da qualche parte nel profondo della mia mente, e la parola codardo rimbalza tra le pareti del mio cranio, amplificandosi sempre più invece che affievolire, tramutandosi in un ruggito scomposto e incomprensibile.
Si. È vero, sono sempre stato consapevole di esserlo. E in questo particolare momento lo sono ancora di più, perché non solo non ho il coraggio di restare, di affrontare la vita, ma nemmeno ho il coraggio di andarmene come se nulla fosse successo.
Più volte, nella vita, mi ero ritrovato a pensare di non essere adatto a vivere. Non desideravo la morte, quello no, anche se mai l'avevo temuta. Semplicemente non mi consideravo adatto alla vita. Ero incapace di affrontare tutto ciò che comporta, incapace di assumermi le responsabilità, di sopportare l'onere e l'onore. Ma mai come in questo momento questo pensiero mi attanaglia e mi mortifica.
Noto, sul tavolo, un blocco per gli appunti e una matita. Lo prendo tra le mani, impugno la matita e inizio a scarabocchiare.
Avevo appena iniziato a suonare quando Daniel mi insegnò uno dei brani che avrebbero rappresentato la mia vita. Creep dei Radiohead.
"Sono una persona sgradevole, sono uno strano. Che diavolo sto facendo qui? Non appartengo a questo posto"
Ed in effetti questo ero io. Da sempre. Per sempre
Strappo una pagina bianca e scrivo poche, semplici parole. Carol le troverà al suo risveglio. Mi volto un'ultima volta, incerto, per riguardare come che le ho lasciato..
"Non posso restare, ti prego di non dispiacerti.
Non è colpa tua.
Odiami, dimenticami.
I'm a Creep. I'm a weirdo.
Questo è ciò che sono."Lottando con tutto me stesso per non fermarmi raggiungo la porta, traggo un lungo sospiro ed esco, chiudendomi alle spalle, ancora una volta, la vita, le emozioni e qualunque altra cosa mi faccia paura.
Sto scappando ancora una volta. Salgo in macchina, accendo il motore e parto. Non so dove sto andando, ma so ciò che mi lascio alle spalle, so ciò da cui fuggo.
Ancora oggi, che ti sto raccontando per l'ultima volta la mia storia, non riesco a perdonarmi ciò che ho fatto, le persone che ho ferito, coloro a cui ho regalato solo illusioni e bugie. Ti prego di non giudicarmi, la mia storia non è ancora finita, e l'unico favore che ti chiedo è proprio questo. Ascoltami. Fino alla fine.
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Shadow Of The Day
General Fiction"Io sono Gabriel. Ho perso la mia vita, e ne ho ricevuto una nuova. Adesso sto scappando. Scappo dal mio passato. Scappo dalla mia mente. Scappo da me stesso. Ma non posso sfuggire al mio destino. Nessun uomo può." Alla donna che ha fatto innamorare...