Ho guidato per oltre 16 ore senza fermarmi. Appena uscito dalla casa di Carol tutto ciò che volevo era perdermi, e possibilmente non ritrovarmi mai più. Avevo ceduto a una parte di me che mi ero dimenticato esistesse, con lei, e per colpa di questa mia debolezza probabilmente avrebbe sofferto. Non riuscivo a perdonarmi.
Finalmente decido di fermarmi. Ho raggiunto una piccola città, e mi sono lasciato guidare dal traffico per le strade come una foglia secca dalla corrente. Il fiume di auto, deviazioni, semafori e luci al neon mi ha condotto ad un quartiere di periferia.
Scendo dal veicolo e mi guardo intorno. È sporco, squallido, vuoto. "Come la mia anima" sussurro tra me e me, mentre proseguo a piedi tra i vicoli ricolmi di rifiuti ed un'illuminazione talmente fioca e rada da far sembrare gli anelli di luce piccole isole in un immobile oceano nero.
Mi muovo come se il mio corpo non mi appartenesse, come se fossi uno spettatore passivo di un film che nemmeno mi piace, mentre la mia figura scivola tra le creature della notte, sotto lo sguardo voluttuoso di chi per obbligo o per scelta vende il suo corpo, e i richiami bramosi di chi invece vende veleni travestiti da cure per la mente e gli affanni della vita.
Un lampo squarcia il buio, illuminando i corpi e gli oggetti di quelle strade, squarciando il velo mistico che la penombra gettava dinanzi ai miei occhi, risvegliandomi dal mio torpido girovagare e sbattendomi in faccia lo squallore di quel luogo, che tanto somiglia alla mia vita e alla mia persona.
Un vecchio raggomitolato tra i cartoni stringe tra le braccia un randagio pieno di zecche, preparandosi a scaldare e farsi scaldare dalla bestiola, prima che l'inevitabile pioggia si avventi su di loro come la lama di un rasoio.
Sono appoggiati alla parete di uno di quei discount aperti 24 ore su 24. Mi infilo dentro il negozio, non per ripararmi dalla pioggia, ma per sfuggire alla morsa che si stringe attorno al mio cuore a vedere quella persona e il suo compagno. Loro si che avrebbero motivo di odiare la vita ed il mondo. Io... Io che motivo ho?
Vago tra gli scaffali senza sapere che cosa desidero, mentre la guardia all'interno mi segue cercando di non farsi notare troppo, probabilmente aspettandosi di carpirmi nell'atto di rubare qualcosa.
Dopo qualche minuto mi avvicino alla cassa con un piccolo carrello ripieno di oggetti vari. Ho del pane, dei salumi, posate e piatti di plastica, coperte, cioccolato, acqua, bevande energetiche, due bottiglie di liquore, qualche lattina di birra, 2 ombrelli, delle scatolette di cibo per cani, una torcia e delle pile. Sento gli occhi della guardia che mi forano la nuca mentre ripongo tutto sul nastro e pago. Una volta sicuro del fatto che io non abbia rubato niente, questi (un giovane sui 19 anni) mi aiuta a infilare i miei acquisti dentro una busta della spesa e mi lascia andare sputando un freddo "arrivederci".
Mi avvicino al vecchio e al suo cane, e mi affretto a ripararli con uno degli ombrelli che ho acquistato. Lo sguardo dell'anziano tradisce la sua sorpresa, mentre balbetta un ringraziamento e non sembra capire che l'ombrello gliel'ho offerto, non mi sono fermato solo qualche minuto a ripararlo.
Mi siedo vicino a lui, per terra sull'asfalto fradicio, ed inizio a tirare fuori dal sacchetto le coperte, e a porgergliele senza dire una parola. "Quest'uomo non deve essere abituato alla gentilezza, ne a parlare molto" rifletto tra me e me, mentre ascolto la sua voce balbettante esprimere gratitudine.
"Io sono Gabriel. E questa sera ti farò compagnia"
"F-Franco..."Dopo pochi minuti, con un po' di pane e salame nello stomaco, due sorsi di liquore bollente in gola e soprattutto dopo aver nutrito il suo compagno (Georgie. Che nome bizzarro per un cane) Franco riesce a parlare meglio. Non ci ha messo molto ad abituarsi alla mia compagnia, anzi sembra gradire di più quella che il mio aiuto materiale. Forse è questo che significa essere invisibili. Non so se ho mai provato questa sensazione in vita mia.
Nessuno mi ha mai ignorato, anzi. Sono cresciuto un po' viziato, non solo dalla mia famiglia adottiva ma anche dagli amici, che hanno sempre fatto di tutto per dimostrare di tenere a me. Dal canto mio, io facevo finta di voler essere lasciato solo. Forse perché non ho mai capito cosa significasse essere solo, fino a che non sono diventato grande, fino a che non ho iniziato a fuggire, fino a che non ho conosciuto Franco...
Franco è davvero una persona interessante. Spesso le persone che all'apparenza si direbbero insignificanti sono quelle che più hanno da raccontare. Franco faceva l'insegnante, era un professore di lettere in un liceo classico. Tutto era andato per il verso giusto per lui. Aveva una bellissima moglie e due bambine (anche se, mi ha confessato, avrebbe voluto un maschietto), non navigavano nell'oro ma riuscivano a vivere felicemente.
Poi un giorno avvenne una disgrazia (non ha voluto dirmi che cosa avvenne esattamente, ed io rispetto la sua decisione) e perse tutto. Iniziò a bere, perse il lavoro, gli amici, la casa e tutto quanto.
Ed eccolo qua, accanto a me, a condividere due cartoni fradici con un vecchio cane e a bere alla mia salute..
"E invece a te cosa è successo Gabriel? Perché sei qua?" Mi manca il coraggio di rispondergli. Che diritto ho di essere afflitto? Io che ho ricevuto mille chance dalla vita, io che ho avuto la ricchezza, la fortuna e l'agio...
Egli sembra percepire il mio disagio, perché mi rassicura dicendomi "Il dolore non si può misurare. Nessuno può mai presumere che la sua sofferenza sia più o meno grave di quella di qualcun altro figliuolo. Ma se questo può aiutarti a rilassarti e a scogliere la lingua... Volevo tenerlo per festeggiare con un amico, ma me ne procurerò altro..." E tira fuori dalla tasca un sacchettino di plastica trasparente contenente un quadratino marrone...Dopo pochi minuti siamo ebbri del fumo, e Franco si scoglie in un sorriso sdentato mentre gli racconto la mia storia. Ho conosciuto quest'uomo da pochi minuti e gli sto raccontando tutta la mia vita. Questo mi fa sentire strano, leggero, ma può essere l'effetto del liquore misto al fumo. A dire la verità non mi importa. Lui è un grande ascoltatore. Non mi interrompe quasi mai, se non per fare qualche domanda, sino alla fine del mio racconto. Si commuove addirittura per me ad un certo punto, e credo che le sue lacrime silenziose valgano più dei mille pianti che ho sentito nella mia breve vita.
Passiamo diverse ore a parlare e bere. Di questo e di quello, dei suoi viaggi e del mio, della sua storia e della mia, di amori e dolori, gioie e disgrazie, donne e arte. Quando finalmente ha smesso di piovere e decido di congedarmi, lasciandogli il sacchetto con ancora un po' di provviste, lui decide di lasciarmi con una frase che, ancora oggi, non ho mai dimenticato.
"Mio caro Gabriel, ricorda che l'esistenza umana altro non è che una folle corsa alla ricerca della felicità. Ma non importa quanto corriamo, o in che direzione, quanto ci avviciniamo o quanto questa si distanzia da noi. Ciò che conta davvero e il non fermarsi mai. Smettere di inseguirla significa fallire miseramente. Tutti noi abbiamo diritto ad essere felici. Addio mio caro"
Non ho mai dimenticato questa frase. Vorrei solo averci creduto.
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Shadow Of The Day
General Fiction"Io sono Gabriel. Ho perso la mia vita, e ne ho ricevuto una nuova. Adesso sto scappando. Scappo dal mio passato. Scappo dalla mia mente. Scappo da me stesso. Ma non posso sfuggire al mio destino. Nessun uomo può." Alla donna che ha fatto innamorare...