Testo 3.3

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Eravamo il cibo e la fame l'uno dell'altra, ci piaceva morderci, assaggiarci; viziarci e mai saziarci.
Vi posso assicurare che in certi casi, il plurale non esiste, in quel momento eravamo una cosa sola io e lei, come l'inchiostro su una pagina, due corpi e una sola anima.
Da sopra mi spogliava dei jeans per indossare me, si accavallava con le gambe sul mio bacino, e cominciava a scontrarsi su di me come il mare che si infrange su uno scoglio e poi torna indietro per infrangersi di nuovo un po' più forte di prima.
Labbra contro labbra, petto contro petto, il suo seno soffocava il mio cuore, con le mie mani sui suoi fianchi aiutavo la nostra sintonia, mentre le sue mi tenevano sotto il suo controllo, aggrappandosi al mio collo.
Le piaceva essere la mia Dea, le piaceva come la veneravo, le leccavo i capezzoli profondamente come la Nutella che rimane sul cucchiaio.
Con lei ho imparato che a una donna piace comandare, sottomettere un uomo, e io glielo lasciavo fare, ma solo per poi ribaltare i giochi, girarla sotto e spingere più forte, con il suo fiato eccitato che mi appannava il cuore.
Era la mia Shahrazad, ne facevamo mille in una notte, mai una volta che non facevamo tardi, mai che non mi coprivo di lei e la mia schiena non si copriva dei suoi graffi.

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