Le nostre mani si intrecciavano camminando per le strade, strette e contrastanti alle nostre ombre che fuggivano e tornavano a passo della città. Gli occhi si accarezzavano, interrompendo i discorsi per lasciare spazio a qualche silenzio imbarazzante che ci faceva da mantra. Niente contava; io, non contavo. Dovevo darti una ragione per restare, una ragione per smettere di seguire l'odore di asfalto bagnato che tanto ci sfiorava i volti.
<<Dove mi porti?>> chiedevi ripetutamente, ma io restavo zitto, mentre acceleravo il passo per arrivare più in fretta a destinazione.
<<Allora?>> dicesti, tirando via la mano per bloccarmi.
Immobile, ti guardavo.
Sorridevo.
<<Vigliacco>> affermasti, dandomi le spalle per andartene.
Afferrandoti per il polso ribattevo arrabbiato: <<Cosa sono?>>
<<Hai capito, un vigl...>> un sospiro pesante aveva interrotto la frase, mentre ti afferravo per i fianchi e scivolavo con il palmo per affondare le dita sul tuo culo.
<<Continuo a non capire>> sussurrai, con le tue braccia attorno al collo.
Ti avvicinasti dolcemente, aspettando il momento per ripeterlo.
<<..vigl->> un leggero morso sotto il collo te l'aveva impedito ancora.
<<vi->> un secondo morso. Quasi non ci provavi più, ma il tuo respiro mi ricompensava.
Ti aggrappavi alle mie spalle ogni volta che avvicinavo le labbra al tuo collo, sfiorando, ma non dandoti la soddisfazione di finire.
Mi divincolai dall'abbraccio, prendendoti la mano per riprendere il percorso verso casa.
Non facevi più domande, giusto così, ma una volta a casa, iniziavo a baciarti con foga ancora prima di aprire la porta principale. Dopo averti presa per i fianchi, ti portavo in camera mia. La mano sensibilmente navigava il tuo corpo da poppa a prua, dal collo, dal fianco, dalla coscia e da capo. I baci ferocemente eccitati rimangiavano le tue parole, ma io dovevo essere coerente con questi; le mani, afferrando il collo della canottiera, strappavano il tutto per avere più spazio nel percorrere il tuo seno.
Iniziavo con il lobo, mordendo delicato, ma poi scendevo lungo il collo usando la lingua come pennello per ridisegnarne il contorno, e come la tempera su un foglio, io soffiavo leggero per asciugare il quadro.
Scendevo poi lungo la spalla, baciandoti la clavicola e cominciando a infilare la mano tra mutande e jeans.
La mano passava su e giù a ripetizione mentre il tuo cuore mi batteva in bocca: le labbra si completavano con le areole e la lingua solleticava i capezzoli, ma non mi piaceva mai continuare a fare la stessa cosa a lungo, così ogni tanto pizzicavo con i freddi denti le tue calde vette.
Non riuscivo a togliermi dalla testa cosa mi avevi detto prima, così ti girai supina. Ricominciavo a baciare, e come un aereo che atterra sulla sua pista seguivo la scia della tua spina dorsale.
Di prepotenza tolsi di colpo jeans e mutande, e, dopo uno schiaffo sul culo chiesi:
<<sono ancora vigliacco?>>
ma tu, testarda, risposi:
<<sì>>.
Un'altro schiaffo sul culo, più forte.
<<come?>>
<<vigliacco.>>
Un'altro, ancora più forte, quasi uno sparo.
Bagnata e ansimante, continuavi a negare.
Decisi di trascinarti le gambe verso il bordo del letto, mentre tu ignara chiedevi <<cosa stai facendo?>>;
ma non ti risposi subito.
Prima baciai le tue linee al centro, affondando la punta della lingua su ogni punto, mischiando la mia saliva dolce alla tua linfa amara. Poi, dopo essermi liberato anche dei miei jeans e gettato via le mutande, risposi alla domanda di prima: <<il vigliacco.>>
<<non capi- ...ah>>
Lo presi in mano per passare su e giù la punta, lì in centro, fingendo di entrare a volte, ma tirandomi indietro ricominciando il circolo. Tremavi.
<<dai...>>
<<entro o non entro?>> chiedevo, continuando a pennellare sullo stesso punto.
<<entra, ti prego, entra.>> ripetevi.
Era diventato il mio di gioco.
<<sono un vigliacco.. non saprei>>
<<dai...>>
<<l'educazione?>>
<<per favore, entra. Sto impazzendo.>>
<<quasi>> dico, premendo più deciso.
Poi ti avevo presa per i fianchi, e lentamente cominciavo ad affondare. Fuori e dentro con tranquillità, ma accelerando di punto in bianco. Ti aggrappavi alle lenzuola, pentita e felice di quello che mi avevi reso quella sera. Ma poi, quando avevo provato a prenderti per la coda... mi sono svegliato di colpo.
È così, che ti ho sognata stanotte. Ma il cuscino è ancora freddo ora e le lenzuola le ho avute solo per me, non le voglio, lo sai, le vuoi tu.
Dovresti tornare. Mi fa rabbia tutto, anche il fatto che non sia più tu a farmi rabbia.
Qui addirittura dicono che scopare non sia fare l'amore, ma nessuno sa veramente un cazzo.
Noi ci amavamo prepotentemente, e ci facevamo l'amore sempre.
Non c'era niente che con te non fosse amore.
Niente.