Tornavo a casa sempre tardi da lavoro.
Gettavo via le chiavi insieme alle scarpe, e sbottonandomi la camicia mi dirigevo verso la mia stanza.
La trovavo sul bordo del mio letto, mezza nuda, illuminata dal buio, mezzaluna, con un buon vino rosso che volevo bere dalla sua bocca.
Iniziavo sempre spostandole i capelli, per cercare prima un sorriso, poi, un bacio.
Con le mani cominciavo accompagandole il volto sul cuscino, poi passavo la bocca lungo il collo, e dopo averle lasciato un filo di saliva, le slacciavo il reggiseno.
Facevo piombare con una fame vorace i miei denti freddi sulle sue vette calde, affondandoci tutta la bocca e giocandoci solleticandola con la punta della lingua.
Ero insaziabile di lei, come un bicchiere senza fondo, scendevo poi assaporando fino al cuore la sua pelle d'oca dolce.
Le mutande, stavano sempre meglio per terra che su di lei. Preferivo farle indossare le mie labbra, mentre il mio braccio le faceva da cintura sulla sua vita.
La mia lingua era come il pennello di un pittore pazzo, dipingevo in ogni direzione andando a fondo, sempre più prepotente ad ogni colpo, e anche se pennellavo in un solo punto il risultato era su tutto il corpo.
Una volta che mischiavo la mia saliva e la sua linfa, la sua voce, gemente, desiderava che la mia spada rientrasse nella sua fodera.
Non ci pensavo due volte a farlo entrare dentro, e cominciavo a scorrerlo su di lei come una barca a vela su un fiume in piena.
Io e lei due matti, che non sanno tenersi ma solo scoparsi, insieme eravamo due stronzi più freddi dell'Antartide, ma in quel letto, facevo uscire il mare che copriva il suo cuore, come Atlantide.