La Panda di Pollice ha un odore stantio di muschio e sigaro cubano, ma qui dentro mi sento al sicuro. I due subwoofer alloggiati nel bagagliaio mi fanno vibrare i glutei e mi rimandano indietro nel tempo, a quando eravamo neopatentati e ci esaltavamo da matti per il solo fatto di lasciare gli scooter nei garage in favore di un mezzo comodo e caldo, con la musica che ci rimbombava intorno.
A differenza di allora però, non ho voglia di scendere. Niente feste, pub o birrerie. Vorrei solo restarmene tranquillo, ma so già che Pollice mi porterà in centro per farmi ambientare gradualmente e sotto sua sorveglianza, come se fossi una specie protetta da reinserire nel suo habitat dopo un periodo di cattività.
Però qualcosa non quadra, perché non sto affatto tornando libero, ma sto rientrando nella mia prigione.
«Che ne dici di fare visita a zi' Peppe?» domanda, cogliendomi di sorpresa.
Il suo piano dunque è farmi incontrare una persona non ostile in modo da semplificarmi il cammino. Geniale!
«Sì, andiamo!» dico.
Alzo il volume dell'autoradio e canticchio Poison di Alice Cooper, in sintonia con la voce graffiante che esce dai diffusori.
In un tempo troppo breve per me, che tutto avrei fatto tranne che lasciare la mia zona di comfort all'interno di quest'abitacolo, arriviamo nei pressi del centro storico di Villagaia e Pollice accosta sul ciglio della strada.
«Sei pronto?» mi chiede.
«Sì, certo» mento.
Smontiamo dall'auto. Anche se è presto perché devoti e festaioli invadano il paese per la serata finale della festa di Sant'Ignazio, ci sono già alcune vetture parcheggiate.
Percorriamo un breve tratto di salita e raggiungiamo l'ultima casa indipendente che sorge prima che il paesaggio si tramuti in un agglomerato urbano.
Ci fermiamo sotto la tettoia che ripara il cancello pedonale e Pollice pigia sul citofono incassato in una colonnina di pietra. Sentiamo un trillo che farebbe accorrere alla porta anche l'inquilino delle abitazioni vicine, per quant'è forte.
Non risponde nessuno, ma il cancello si apre.
Ci inoltriamo per il vialetto scalcinato che termina nell'ingresso principale e ci fermiamo di fronte a un portone di legno scolorito dalla maniglia mezza divelta. Invece dello spioncino c'è un buchetto otturato con un pezzo di cartone.
La porta si spalanca e inonda di luce un atrio cupo e polveroso. Zi' Peppe si fa trovare lì, su una sedia a rotelle. Si sbraccia, sventolando una busta da lettera.
«Siete qui per la missiva?» ci chiede.
«No, Peppe, siamo passati per salutarti. Guarda un po' chi c'è: Giacomo. Te lo ricordi?» dice Pollice.
Zi' Peppe strizza gli occhi e fa forza sui braccioli per drizzare il busto.
«Andiamo allora, che abbiamo da discutere. Bisogna avvertire mio nipote che sto partendo. È necessario recapitargli questa lettera, prima possibile, così saprà come rintracciarmi.»
Compie un mezzo giro su se stesso con la carrozzella e ci fa segno di seguirlo.
Blocco Pollice e chiudo le dita di una mano a becco d'uccello, per fare quel gesto che sta a significare 'che cavolo succede?'.
«Tranquillo, è da un po' che fa così» bisbiglia Pollice, esagerando il labiale per farsi capire.
Peppe lavora di braccia sulle ruote della sedia a rotelle fino in soggiorno, dove lo raggiungiamo, titubanti.
![](https://img.wattpad.com/cover/186157065-288-k694467.jpg)
STAI LEGGENDO
Il farabutto - Gran pasticcio a Villagaia
Fiction généraleDopo aver perso l'impiego con cui si manteneva Londra, Giacomo torna a vivere con i genitori a Villagaia, un piccolo borgo del centro Italia. Il suo rientro coincide con la festa patronale di Sant'Ignazio, occasione in cui ha un anticipo doloroso d...