Giocherello con il portachiavi mentre cammino per il centro commerciale. Accelero il passo davanti ai ragazzi in cravatta, appostati come falchi davanti allo stand dell'ultimo gestore di rete mobile uscito sul mercato. Fingo di non vederli, anche quando uno di loro mi sbarra il passo e mi chiede a muso duro quanti giga ho di connessione.
«Sto bene così, grazie!» rispondo e lo schivo, ma lui continua a marcarmi stretto parlandomi di un'offerta strepitosa e arrivo persino a implorarlo, di lasciarmi andare. Ma lui mi molla solo quando vede un'altra vittima su cui fiondarsi.
Finalmente libero, traggo un sospiro di sollievo e mi rimetto in cammino. Leggo una dopo l'altra le insegne che si susseguono ai lati di questo corridoio marmoreo, in cui l'illuminazione artificiale è così potente da affaticare la vista.
«Ehi, occhio!» esclama un tizio, entrando nel mio campo visivo giusto in tempo per evitare uno scontro frontale, ma io ho appena trovato Tatishine e sono troppo impegnato a sbirciare le commesse oltre la vetrina scintillante.
Grazie, Aladino, per esserti fatto sfuggire il nome del negozio in cui lavora Giulia.
Non la vedo da qui.
Varco la soglia e mi avventuro nel labirinto di scaffali e espositori che riempiono questo enorme negozio di abbigliamento. Di tanto in tanto incrocio ragazze vestite tutte di nero, col cartellino identificativo agganciato al taschino di una polo a mezza manica. Riordinano la merce, parlano con i clienti. Ma quante commesse ci sono qua dentro?
«Ha bisogno di aiuto?» mi chiede una biondina con un sorriso smagliante che non le coinvolge anche gli occhi.
«Sì, grazie. Sto cercando Giulia, mi sai dire dove posso trovarla?» domando, sperando che sia di turno questo pomeriggio.
Gli angoli della sua bocca si abbassano all'istante, come a risparmiarsi lo sforzo per simulare la cortesia dovuta a qualcuno a cui avrebbe potuto vendere qualcosa.
Indica col dito.
«Poco fa era laggiù» dice. Mi volta le spalle e sculetta via.
Seguo la sua indicazione, ma di Giulia neanche l'ombra.
Però sono finito nel reparto uomo e, wow, che bei colori queste t-shirt.
Sgancio una gruccia e senza volerlo me ne tiro dietro altre due. Cerco di salvarle dalla caduta, ma finiscono a terra con un discreto baccano. Mi chino per raccoglierle, ma il gancio metallico dell'appendiabiti che mi è rimasto in mano si impiglia in un altro capo e finisce che sto per buttare giù tutto lo stender stavolta.
«Sei venuto a distruggere il negozio?» fa una voce femminile, alle mie spalle.
Mi volto lentamente, deglutendo e sperando che non sia proprio lei, anche se di dubbi ne ho pochi visto il familiare timbro cristallino.
Infatti è lei, Giulia.
Getta la testa all'indietro e ride di gusto. Le porgo le magliette che ho raccolto dal pavimento e anche quella che ero riuscito a non far cadere.
«Meglio che le metti a posto tu, che sei più pratica.»
Giulia scopre quei dentini da coniglietto, così graziosi, nella cornice di due guance piene e rosee.
«Che ci fai da queste parti?» domanda, mentre riappende con cura le magliette.
«Nulla di particolare. Avevo il pomeriggio libero perché in mattinata abbiamo terminato una grossa commissione. Abbiamo finito di imbiancare un magazzino industriale e il mio boss mi ha lasciato andare, così ho pensato di venire a spendere un po' di soldi.»
Col cavolo che voglio sprecare qui il mio denaro. Mi sono precipitato per assicurarmi che non ti perda la mia prossima mossa.
«Che bello! Sono contenta per te. Stavi cercando qualche t-shirt, forse? Se vuoi ti mostro qualcosa di interessante.»
Ah, potresti mostrarmi ogni articolo disponibile qui dentro. Non me ne fregherebbe nulla perché non riuscirei a staccare gli occhi da te.
«Sì, le t-shirt, guardavo quelle. Magari potresti farmi vedere qualche felpa anche, molto colorata possibilmente.»
«Certo, seguimi.»
Si sistema dietro l'orecchio un ciuffo di capelli sfuggito allo chignon arruffato che ha in testa e attira la mia attenzione sul suo collo sottile.
«Ci sarai stasera alla riunione della Proloco?» le chiedo, come se fosse una domanda casuale.
«Naa, non ne ho proprio voglia. Tanto le decisioni le prendono sempre i soliti quattro gatti. È inutile partecipare.»
Si ferma davanti a uno scaffale ricolmo di felpe e ne apre una color giallo ocra, con una stampa a forma di bersaglio per freccette.
«Wow, c'è una taglia L?»
«Sì, certo» dice e si mette a cercare tra i cartellini.
«Però guarda, stasera dovresti proprio venire, te lo dico io: non sarà la solita solfa.»
Mi mette in mano la felpa col bersaglio e ne apre un'altra verde Jamaica.
«Per me dovresti provare anche questa, te la vedo benissimo addosso. Mi stai dicendo che tu ci andrai quindi?»
Prendo le felpe e inizio a preoccuparmi perché Giulia adesso sta frugando tra una montagna di t-shirt e io invece non volevo acquistare nulla, anche se le ho detto il contrario.
«Che belle magliette! Sì, ci andrò. Ho un'ottima ragione per farlo, ma non voglio farti perdere tempo. È una storia lunga e tu sei a lavoro... Ti do giusto un accenno: ho scoperto una cosa veramente assurda, cioè, incredibile, sul serio! E abbiamo la possibilità di fare una cosa strepitosa quest'anno per la festa del vino novello. Tutto sta a convincere gli altri, ma penso di potercela fare perché ci sono delle circostanze eccezionali, ecco.»
Mentre straparlo, chiedendomi cosa sono riuscito a farle capire e se almeno l'ho incuriosita un po', mi ritrovo con un carico di felpe e magliette tra le braccia. Come se non bastasse, in cima a questa montagnetta variopinta c'è finito misteriosamente anche un paio di jeans.
«Ti accompagno ai camerini. Ma non potresti spiegarti meglio? Cosa c'è di così entusiasmante nell'aria?»
«Perdonami, ma preferirei parlarne questa sera, è una storia delicata.»
Un tizio con la faccia lunga si affaccia al di sopra di uno scaffale, ma quanto diavolo sarà alto? Riesco a vedergli il petto.
«Giulia, quando hai finito con il signore vai dare il cambio alla cassa per favore» dice.
La cortesia delle parole stride con la severità del volto, sembra Lurch della famiglia Addams.
«Certamente» risponde Giulia ma, appena gli dà le spalle, alza gli occhi verso il soffitto e fa una smorfia.
«Il mio capo. Carino, vero?»
«Mamma mia, mi ha fatto venire un colpo. Ma non ti fa paura?» scherzo.
«Ma no, noi commesse siamo toste. Sai quante ne becchiamo di persone terrificanti ogni giorno? Certi clienti ti fanno sentire il bisogno di andare dritto in analisi, anzi, te lo dico io: vengono qui apposta per mettere alla prova il tuo equilibrio mentale e ci riescono pure, a farti vacillare.» Scaccia qualcosa con la mano. «Lasciamo stare. Mi hai fatto diventare troppo curiosa, mi tocca venire adesso. Ecco i camerini!»
Eureka, l'ho fregata. Sono troppo furbo! Mi congratulo con me stesso.
«Bene, ne sono felice. Credimi, non te ne pentirai» dico e le faccio l'occhiolino, fiero di me stesso.
Lei mi sorride e mi spinge dentro uno spogliatoio con uno specchio a tutta parete, poi mi chiude dietro una tendina.
Finisce che mi ritrovo con un bustone pieno di roba. Giulia mi accompagna alla cassa, così Lurch è contento, e mi fa il conto: duecentoventi euro. Quando ci salutiamo è lei a strizzarmi un occhio.
Fregato, anche io.
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Il farabutto - Gran pasticcio a Villagaia
Ficção GeralDopo aver perso l'impiego con cui si manteneva Londra, Giacomo torna a vivere con i genitori a Villagaia, un piccolo borgo del centro Italia. Il suo rientro coincide con la festa patronale di Sant'Ignazio, occasione in cui ha un anticipo doloroso d...