Memorie perdute

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La fiamma di una candela dondolava, danzando silenziosamente sfidava da sola il buio della grande stanza. Uno spiffero d'aria e la fiamma si mosse ancora; illuminò il suo volto.

Non dormiva anche se ci aveva provato più volte. Si alzò nervoso sentendosi oppresso dal quel silenzio così rumoroso e mentre misurava la stanza a passi larghi e pesanti, guardò fisso davanti a sé; la sua scrivania era lì, e anche il contenuto di quel cassetto. Il tempo sembrava essersi fermato, rifiutandosi ostinatamente di svelare quell'arcano.

Non poté trattenersi oltre e così corse alla scrivania urtando nella foga un vaso, che cadde frantumandosi in mille pezzi. Non vi fece molto caso, ma nell'istante in cui vide quei frammenti innocenti della sua angoscia, pensò solamente che la sua vita era di certo molto simile a loro, incompleta e spezzata. Dopo l'incidente non era stato più lo stesso o almeno così gli avevano detto. Ma lui l'aveva capito. Sapeva che c'era qualcosa che non andava. Non la ricordava più, eppure il suo viso continuava a tormentarlo, come un fantasma che graffi alla finestra di notte nella speranza di entrare per divorargli il cuore.

Non dormiva più, ormai era impossibile anche solo pensarlo. Si sedette di slancio sulla vecchia sedia di legno, che pianse cedendo al peso del suo proprietario, e rinunciò all'idea di riaprire quel cassetto. Quante volte l'aveva fatto? Quante volte si era arrovellato per trovare la risposta? Eppure doveva vederlo, almeno un'altra volta, ne aveva bisogno e lo sapeva. Non c'era droga più dolce e amara allo stesso tempo. Aprì il cassetto come a volerlo sfilare del tutto ed eccolo...

Quell'immagine era viva! Lo incatenava al suo sguardo. Una corda sottile gli si era annidata nel cuore e lo stringeva a sé in un nodo soffocante. Era il ritratto di una giovane donna. La più bella che avesse mai visto. Era certo di averlo disegnato lui, ma non ricordava più nulla di lei, perciò quel ritratto era il suo unico tesoro. Si maledisse mentalmente per non aver lasciata scritta una dedica, un indizio... Ma quel volto parlava, oh cielo, aveva vita propria e lo guardava, lo guardava in silenzio dicendo mille parole. Si era innamorato di un disegno! Rise amaramente della sua stupidità.

Più volte aveva chiesto in giro se l'avessero mai vista, ma la risposta era sempre negativa. Un fantasma. Era una donna vera o un demone della sua fantasia? Un angelo o un castigo divino? Non sapere la risposta lo torturava ancora più del pensiero di non conoscere il suo nome, della consapevolezza di averla persa per sempre.

Lei lo guardava con occhi sognanti, traboccanti d'amore, incastonati per sempre in quelli del suo artista. Pianse e rise ancora nello stesso momento, ma non era felice. "Perché ricordo tutto, ma non te?" questa era la domanda che si poneva ogni sera davanti a quel foglio ormai sgualcito e dalle pieghe coperte di lacrime. Cercava la risposta e non dormiva.

L'anta della finestra sbatté all'improvviso, urlando il suo disappunto per non essere stata chiusa prima dell'inizio di quella fredda notte tempestosa; lui neanche la sentì, rimase immobile. Non solo i suoi occhi, ma tutti i suoi sensi e la sua anima erano prigionieri di quello sguardo finto, che pure sembrava più reale di tutto, persino di lui! Il vento fuori soffiava e ululava, la stanza si faceva sempre più fredda, ma non era nulla in confronto alle grida di dolore del suo cuore, ghiacciato in una smorfia eterna.

"Ti amerò per sempre. Non ti dimenticherai mai di me, vero? Ricorda che me lo hai promesso."

La sua risata, la sua voce... lo aveva promesso? Lo aveva promesso! Non aveva potuto mantenere la parola data. Si prese la testa tra le mani, si diede schiaffi e pugni ma non valse a nulla. E allora strinse nuovamente il foglio con rabbia, pazzo di paura: "Chi diavolo sei?". Ma la carta non rispose e la donna continuò a sorridere.

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