Nothing Like Us ✧ pt. 3

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Se anni addietro avesse avuto la possibilità di vedere cosa aveva in serbo per lui un futuro ormai lontano, Jimin era certo - avrebbe scommesso - che mai al mondo sarebbe stato coraggioso abbastanza da compiere una follia grande come quella: precipitarsi fuori casa in fretta e furia, con nulla tra le mani se non i documenti necessari ed una carta di credito che gli avrebbero permesso di comprare lì in aeroporto il primo biglietto disponibile per Tokyo. 

Una pazzia improvvisata senza il minimo strascico di ripensamenti, poiché Jimin era fin troppo stanco di rinunciare e lasciarsi alle spalle tutto quello che era in grado di scattare in lui scintille di pura emozione, fuochi che lo facessero sentire vivo, parte integrante di qualcosa di bello abbandonando quel senso di codardia sulla propria pelle e timore di un'ulteriore delusione nel suo cuore. L'istinto quella volta aveva prevalso, ancora, e sceso dal taxi preso - come un colpo di fortuna - a pochi metri dal suo appartamento, Jimin era piombato all'interno dell'Incheon correndo senza più fiato nei polmoni, volgendo lo sguardo alle indicazioni dei terminal e ai numerosi tabelloni che luminosi annotavano gli orari delle future partenze. 

Il rosa non era per nulla certo di dove stesse andando ma sapeva però che non avrebbe aspettato due intere e lunghe settimane prima di rivedere Jungkook, ne tanto meno avrebbe sollevato il telefono per ascoltarne la voce spinto da qualche stupida scusa inventata sul momento. Jimin aveva bisogno di guardarlo negli occhi e dirgli - confessargli - che tutti quei futili tentativi di allontanarlo dalla sua vita erano falliti miseramente, che non c'era altra persona con cui volesse trascorrere il resto dei suoi giorni, che invece lo amava . . . più di qualsiasi altra cosa al mondo. 

E così dopo aver comprato il biglietto ed esser salito a bordo, scrutato a fondo dal personale di volo poiché l'unico a non aver ombra di bagaglio tra le mani, l'aereo decollò alle dieci in punto e Jimin calcolò che sarebbe arrivato a Tokyo nel giro di due ore esatte. Due ore che sembrarono non fluire mai, interminabili, nel quale Jimin non fece altro che sbuffare inquieto, guardare il buio intenso incalzare al di fuori del finestrino e pensare a cosa avrebbe detto una volta trovato Jungkook. Già, trovato. Perché Jimin non aveva la più pallida idea di dove l'avvocato fosse, sapeva soltanto che per quelle poche volte in cui - abbracciato a lui lì stretto tra le lenzuola del suo letto - aveva ascoltato stralci della sua infanzia, Jungkook adorava il quartiere di Shibuya. Affacciarsi alla finestra panoramica per osservare come in un pieno luna park le scintillanti luci colorate sopraggiungere al calar del sole. Intuì forse che era proprio quello il luogo da cui sarebbe dovuto partire, a costo di impiegarci l'intera notte, di girare l'intera Tokyo, Jimin giurò che lo avrebbe trovato.

Il tempo trascorse lento. Jimin quasi sentì l'ombra del sonno far peso sulle palpebre, i muscoli delle cosce rilassarsi appena, ma proprio quando l'onirico stava per vincere sul reale, il veicolo cominciò a scendere gradualmente a bassa quota posandosi sulla terra ferma fino ad atterrare. Il rosa strabuzzò gli occhi non appena si accorse cosa intorno a lui stava accadendo e balzò in piedi dal suo posto precipitandosi lungo il corridoio, spingendo i restanti passeggeri per raggiungere l'uscita il prima possibile. L'adrenalina, come un getto in circolo nelle vene, non gli permise di formulare pensieri razionali e Jimin riuscì soltanto ad avvertire le gambe muoversi involontarie attratte da una voglia cieca di raggiungere quello che ben presto sperava sarebbe stato suo per sempre. Il rosa corse a perdifiato lungo l'aeroporto di Haneda, raggiungendo in fretta l'esterno e quasi rischiando di farsi investire in strada nel tentativo di fermare uno dei tanti e frettolosi taxi verdi. 

"Shibuya, per favore!" urlò Jimin - in un pessimo ed elementare giapponese - una volta entrato nell'abitacolo. 

L'autista sembrò afferrare la sua destinazione ed annuendo partì, con una veloce manovra, laddove indicato. Jimin tamburellò le dita sulle ginocchia per tutta la durata del tragitto, gettando un occhio continuo non al panorama che incorniciava la Tokyo che tanto avrebbe voluto visitare, ma al tassametro con l'angoscia che i suoi soldi non sarebbero potuti bastare per coprire le spese dell'intera corsa. Fortuna volle, ciò non accadde. Il rosa arrivò nel quartiere giapponese più ambito dopo circa mezz'ora e scese dall'autovettura pagando il servizio e donando anche una generosa mancia al gentile conducente, il quale aveva cercato per tutto il tragitto di smorzare la sua tensione con futili chiacchiere.

You got the Best of Me ✧ JikookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora