23. Pura magia

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Quando aveva sentito per la prima volta il battere ritmico del cuoricino dei suoi bambini attraverso l'ecografia, aveva pensato che non poteva esserci niente di più sorprendente e magico, perdendo lei qualche battito. Ora, invece, mentre stringeva tra le proprie braccia non una, non due, ma ben tre creature come quelle, così piccoline, così indifese, ma così devote, aveva capito che non poteva esserci niente di più bello nella sua vita intera. Niente poteva essere paragonato a quel momento così magico. Ogni sofferenza provata in quei sette lunghi mesi, aveva avuto un senso, se tra le sue braccia c'erano quei tre angeli, con ancora i loro occhietti chiusi. Boris la pensava esattamente come lei, perché non aveva smesso neanche per un secondo di sorridere, il che non era per niente da lui.

Damon, Boyce e Allison erano nati da meno di un'ora, ma erano già famosi all'interno di tutto l'ospedale. Un parto di tre gemelli, avvenuto in modo naturale, aveva lasciato a bocca aperta anche la più esperta delle ostetriche. Nessuno aveva mai visto una cosa del genere, ma dopotutto Artemisia aveva la sua parte sovrannaturale ad aiutarla. Solo grazie a Boris però, la trasformazione al momento del parto non era avvenuta, evitando ogni spiacevole conseguenza. L'aveva calmata nei momenti in cui serviva con un tocco e uno sguardo e l'aveva sostenuta per tutto il parto, per ben tre ore, facendola ridere e facendole perdere ogni sorta di negatività che l'avrebbe spinta a trasformarsi. Boris non si staccava un solo secondo dalle tre culle che le infermiere avevano portato in stanza. Erano bambini sani, nonostante fossero nati un mese e mezzo prima della data di scadenza della gravidanza.
«Abbiamo scelto per i nostri bellissimi bambini dei bellissimi nomi.» Artemisia aveva lo sguardo perso sul primo bimbo, Damon, che stava allattando, mentre gli altri due erano già caduti tra le braccia di Morfeo. Lui sarebbe diventato Alfa un giorno. Artemisia a quel pensiero aveva già ansia. I suoi bambini si sarebbero trasformati in dei cani grossi e pelosi, proprio come lei e Boris. Non era ancora pronta a lasciarli crescere, perché si sentiva che il tempo sarebbe volato, non appena se ne sarebbe andata da quell'ospedale. Voleva che il tempo si fermasse, almeno per un po', voleva godersi ogni singolo momento con i suoi figli. Le faceva ancora uno strano effetto.
«Li ho scelti io, mi pare ovvio.» Boris si girò verso di lei con un sopracciglio alzato, pronto a ribattere, ma non appena vide la scena che gli si presentò di fronte, preferì stare zitto. Non si era ancora abituato a vedere tutta quella dolcezza in una sola frazione di secondo. Gli aumentava il battito cardiaco a dismisura nel vedere la sua donna, prendersi cura dei suoi figli. L'amore, quel sentimento così sconosciuto a Boris, che mai aveva pensato di poter provare nei confronti di una donna, oltre sua madre, ora lo destabilizzava a tal punto da spingerlo a fare certi pensieri che mai prima avrebbe fatto, così sdolcinati da far venire il diabete. Era cambiato molto, era stata lei a cambiarlo e lo aveva fatto lentamente, senza fretta. L'essenza di lei si era plasmata a quella di lui, a ogni sua sfaccettatura, rendendogli impossibile e impensabile tornare indietro. L'amore che ora provava per lei, andava oltre ogni sua immaginazione.
«Piccola, quando torneremo a casa e ti sarai rimessa dal parto, ti punirò a modo mio per tutta questa tua insolenza.» Nonostante il tono che avesse usato fosse roco, l'espressione maliziosa dipinta sul volto di Boris, lasciava trasparire ben altro che una punizione. Forse si trattava di un premio piuttosto. Un bellissimo premio che Artemisia non vedeva l'ora di riscuotere.
«Non vedo l'ora che arrivi quel giorno, allora.» Nessuno dei due sapeva ancora cosa stesse accadendo alla tenuta e probabilmente non lo avrebbero scoperto ancora per qualche giorno. Potevano, anzi dovevano godersi qualche attimo di normalità, come da tempo bramava Artemisia, prima che il fato tornasse a tormentare la loro placida tranquillità e scaraventasse addosso a loro ciò che altro non era che la dura e difficile realtà.

Sergei era senza parole. C'era fuoco ovunque e la gente correva da tutte le parti, calpestando altre persone che erano cadute a terra. Il fumo grigio, superava le punte degli alberi, tingendo il cielo limpido e azzurro di nero. L'elfo era sparito nel nulla, almeno così pareva, ma aveva lasciato la sua chiara impronta su ogni singolo dettaglio della tenuta. Aveva lasciato un segno indelebile del suo passaggio, su questo non c'era alcuna ombra di dubbio. Aveva disseminato il panico ovunque. Chi prima non aveva compreso cosa accidenti stesse accadendo, ora lo sapeva fin troppo bene. La gente aveva paura perché non sapeva ne il motivo dell'attacco, ne chi era stato a compierlo, ma sapevano che era il nemico per cui uno di loro aveva tradito la loro famiglia. La tranquillità del giorno precedente pareva ormai un sogno lontano.
«Allestite una zona di primo soccorso nel bosco ad ovest e richiamate il resto del branco che non è ancora venuto alla casa branco. Voglio i cancelli chiusi e i confini sorvegliati con estrema precisione da chi è di turno, il resto del branco aiuti i feriti. Voglio una linea sicura per poter parlare con Boris, poi con il mio corrispondente nella casata dei vampiri e poi con i cacciatori. Radunate il consiglio, la pace è appena finita.» Andrej e gli altri beta, delta, gamma e omega presenti finalmente avevano qualcosa da fare. In una situazione come quella, la cosa più brutta che ci potesse essere era starsene con le mani in mano perché non si sapeva cosa fare. Quella volta ci aveva pensato l'ansioso Sergei a stabilire l'ordine e, per il momento, pareva averlo fatto molto bene.

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