22. L'elfo

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«Che cosa accidenti voleva dire con quella frase?» Era da due giorni che Boris, i suoi beta e Artemisia cercavano di scoprire di chi stava parlando quell'infimo traditore. Non aveva avuto neanche il coraggio di affrontare una morte vera. Aveva preferito morire come un traditore della peggior specie e forse era proprio quello che si meritava. Il branco ad ogni modo era sconvolto. Quello che era successo due giorni prima in quel salone, aveva lasciato tutti a bocca aperta, aumentando il panico e creando caos. Nessuno si era immaginato che nella loro famiglia, nel loro branco, ci fosse un traditore. La maggior parte degli uomini erano in grado di combattere e quindi controllare anche la loro paura, ma le donne e i bambini non erano tutti così. Chi è più indifeso ha maggior probabilità di rimanere deluso, ferito, angosciato da ciò che meno si aspetta. Questa era l'ennesima prova che bastava veramente poco per distruggere quel briciolo di armonia che si poteva duramente creare un un branco grande come quello di Boris.

«Non è che se urli più forte, a noi magicamente compare il significato di quella frase nella mente!» Boris stava dando in escandescenza. Non sopportava più niente. Era stato messo in ridicolo davanti a tutto il suo branco, nel momento meno opportuno. Non aveva più credibilità ne come licantropo, ne come Alpha. Sergei al richiamo del suo capo branco sbuffò per poi girarsi verso la finestra. Lo sapeva che urlare non serviva a niente, ma si sentiva così tanto preso in giro da non vederci più dalla rabbia. Boris sapeva come si sentiva, tutti lo sapevano bene. Lo stesso sentimento legava ogni singolo uomo e donna in quella stanza.
«Credo invece che questo fosse proprio ciò che il nostro misterioso amico voleva creare.» L'attenzione di tutti ora era su di lei. Era rimasta in silenzio, ascoltando le possibili motivazioni che secondo gli altri presenti nella stanza, avevano spinto un loro fratello a tradirli. Ora era il suo turno di parlare.
«Che vuoi dire?» Chiese subito Sergei, senza lasciare il tempo al compagno di Artemisia di fare la stessa domanda. Era molto, molto agitato. Boris sbuffò.
«Voglio dire che chiunque c'è dall'altra parte sa perfettamente come ci muoviamo. Ci conosce. Voleva che noi fossimo gli uni contro gli altri, perché sa che così siamo più deboli e meno organizzati.» Alle orecchie dei presenti quelle parvero le più concrete parole che erano state dette fino a quel momento. C'era tensione, sia nel branco, che nel resto del mondo sovrannaturale, ce ne era fin troppa perché ciò che la Luna aveva detto, potesse essere errato.
«Chi potrebbe mai fare una cosa de genere? Dopo quello che è successo con Viktor, nessuno si azzarderebbe. Sanno quanto siamo potenti.» Boris sbuffò ancora. Nel giro di qualche secondo avrebbe legato Sergei ad una sedia o lo avrebbe sbattuto fuori dalla porta. Lo interrompeva costantemente, era peggio di un bambino il giorno del suo compleanno.
«La vuoi smettere! Sembri in procinto di avere una crisi epilettica. Datti una maledetta calmata!» Finalmente Sergei parve essere punto sul vivo, tanto da chiudere la bocca. Con un'alzata di spalle liquidò la faccenda, non prima però di aver alzato gli occhi al cielo, sotto lo sguardo attento di Artemisia, alla quale scappò un sorrisetto. Si urlavano in faccia a vicenda spesso, ma erano come due fratelli. Inseparabili e fedeli.
«Un elfo potrebbe.» Calò un gelido silenzio dopo le parole di uno degli altri licantropi al comando, riuniti nello studio di Boris. Tutte le teste si girarono verso il terzo beta, Andrej.
«Come fai a dirlo con così tanta tranquillità. Come fai a nominarli!» Non erano domande, ma affermazioni e anche di un certo peso. Sergei per poco non gli sputò in faccia tutta la sua rabbia. Gli elfi erano un argomento tabù per ogni creatura sovrannaturale. Vampiri, licantropi, streghe, fate. Tutti. Gli elfi erano considerati come delle creature che non meritavano di esistere. Avevano commesso parecchi sbagli in passato, ma quello più grande di tutti, fu quello di sterminare la famiglia reale.

«Perché?» Era bastata una semplice domanda ad alleggerire, in parte, la tensione che si era creata. Artemisia era inconsapevole di quello che sarebbe scaturito da quella domanda.
«Lei non lo sa? Avresti dovuto dirglielo.» Era sgomento quello che si poteva leggere negli occhi del primo beta in comando. Boris lo trucidò con lo sguardo. Non si doveva permettere. C'erano cose che poteva fare solo quando erano da soli, in privato, e questa era una di quelle.
«Non ti devi permettere mai più di parlarmi in questo modo.» Davanti agli altri beta, aggiunse solo nella sua mente. Sergei lo fissò male a sua volta. Ecco, pensò Artemisia, questo era proprio quello che il loro nuovo nemico voleva. Creare il disordine in mezzo a loro e sembrava riuscirci anche piuttosto bene.
«Finitela! Sembrate due bambini che litigano per l'altalena al parco giochi. Non avete ancora capito che questo è quello che lui vuole.» Artemisia indicò lo spazio che divideva i due amici. Forse anche loro parvero capire cosa intendesse. Uomini... così materiali.
«Hai ragione.» Aggiunse subito Boris, prima di tornare al suo posto. Artemisia gli sorrise. Sapeva che per lui era difficile non mostrarsi debole, ma ci stava riuscendo alla perfezione.
«Quindi cosa proponete di fare?» Andrej sembrava particolarmente propenso alla parola, quel giorno. Normalmente era un tipo taciturno è sempre per i fatti suoi. Strano o curioso che avesse deciso di parlare proprio ora. Anche se con quella domanda, aveva evaso la domanda che Artemisia aveva porto a Boris.
«Dobbiamo capire chi di loro si azzarderebbe. Ne parlerò con Hrah, vedremo cosa mi saprà dire. Per il momento è tutto, potete andare.» Bastò un cenno del capo e tutti se ne andarono. Anche Sergei stava uscendo insieme agli altri.
«Tu no, Sergei.» Aveva usato il tono da capo branco, quello che nessuno poteva mettere in discussione o sfidare. Era impossibile resistere a quel richiamo. La Luna era ancora seduta sulla poltrona accanto al camino. Stava aspettando di vedere cosa avrebbero combinato quei due, quella volta. La su mano, nel mentre, vagava indisturbata sul pancione, aspettando di sentire qualcuno dei famigliari calcetti che, ogni giorno, le facevano spuntare sul viso,  più di un sorriso.
«Lo sai bene che la situazione è tesa. Non volevo urlarti in quel modo, ma non mi hai lasciato scelta.» Boris guardava dritto negli occhi il suo migliore amico, senza lasciar trapelare nessuna emozione. Era meglio così.
«Lo so. Hai fatto ciò che era giusto. Ti chiedo scusa per il mio comportamento di questi giorni. Solo che mi sento tradito. Non riesco più a sentire questo posto casa mia.» A quelle parole l'Alpha drizzò la schiena. Cosa voleva dire? Non poteva.
«Vuoi andartene?» Chiese Boris con la voce rotta, questa volta. Non riusciva più a nascondere quanto tutto questo lo stesse turbando. Era sempre rimasto forte e imperscrutabile, lo aveva fatto per tutti, ma ora anche lui aveva raggiunto il suo limite massimo.
«No... cioè non lo so. Credo solo di avere, come tutti, un po' di caos qui dentro.» Si indicò la testa e con un sorriso mesto si avviò alla porta, prima ancora che Boris potesse rispondere, perché lui sapeva che il suo migliore amico non gli avrebbe risposto, non quella volta. Non subito almeno.

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