18. Non siamo uguali

1.9K 94 0
                                    

Le informazioni che erano state fornite ai licantropi dalla moglie del guardia caccia, avevano permesso loro di elaborare una sorta di piano. Non era molto su cui basarsi, in realtà era davvero poco, ma era tutto ciò che avevano al momento. Il loro nemico era imbattibile e loro erano praticamente disarmati. Boris e Artemisia erano tornati alla tenuta per cercare di elaborare un'idea concreta, che permettesse loro di essere pronti a fronteggiare il loro nemico, ormai prossimo all'arrivo. Non era da sottovalutare. Ogni mossa lui l'avrebbe predetta. Erano senza speranza, ma del resto questa era l'ultima a morire.

«Voglio vedere ogni zona di confine sorvegliata, turni da sei ore al massimo per squadrone. Nessuno deve fidarsi di nessuno, se non di se stesso. Segei, chiama il tuo corrispondente al quartier generale dei vampiri, voglio parlare tra mezz'ora con Hrah. Donne, bambini e anziani saranno tutti al riparo nella casa branco, creeremo un nuovo bunker, che nemmeno le mosche riusciranno a trovare.» Mentre Artemisia aveva deciso di riposare, Boris aveva mobilitato ogni singolo membro del branco per realizzare quello che era il suo piano di salvataggio. Il suo branco era la sua famiglia e lui ora doveva proteggerla. Non c'era tempo da perdere, considerando che probabilmente erano già in ritardo rispetto al loro avversario.

Mezz'ora più tardi Boris era al telefono con Hrah. Il re dei vampiri aveva deciso di aiutare la causa dei licantropi e degli umani. Non lo aveva fatto per misericordia, per rimorso o per senso di colpa. Hrah era molto intelligente e molto scaltro. Non aveva fatto quella scelta a caso. Sapeva che il nemico che ora dovevano fronteggiare i licantropi, un domani avrebbe potuto minacciare anche il suo popolo. Talvolta prevenirne è meglio che curare e Hrah lo sapeva molto bene.
«Ti ringrazio Hrah. Hai tutta la mia stima. Ti devo un favore.» Nonostante a Boris costò non poco dire quelle parole, sapeva che glielo doveva. Hrah non si era tirato indietro e aveva mantenuto la parola data.
«Lo so, lupo. Mi devi un favore, quindi abbiamo un conto aperto noi due. Non mi sono scordato della nostra alleanza e mi aspetto che tu faccia lo stesso.» Hrah oltre che essere criptico era anche estremamente preciso e intransigente. Certe cose per lui erano o solo bianche o solo nere. Non esistevano mezze misure.
«Lo sai che non lo farò. Hai la mia parola Hrah.» Non aspettava di sentire altre parole il succhia sangue. Chiuse la telefonata così, senza aggiungere altro. Sapeva già a cosa stava pensando il licantropo dall'altro capo del telefono. Nonostante il bene comune fosse da molto tempo rientrato nei suoi obiettivi, c'era anche qualcos'altro che per lui era di fondamentale importanza. Il bene del suo popolo, per Hrah questo veniva prima di tutto il resto. La telefonata quindi terminò con quelle parole e sia Boris che Hrah sapevano che quello che si erano detti in quei pochi minuti di conversazione, era molto più importante di qualsiasi patto siglato e timbrato. Quello era un patto tra capi branco, era indissolubile. Era ciò che di più sacro c'era per un capo branco e nessuno di loro due lo avrebbe infranto, in nessun modo.

•••

Dopo tre giorni, solo la metà di tutti gli ordini impartiti da Boris erano stati svolti dal branco. Troppe cose c'erano da fare e troppo poco era il tempo a loro disposizione. Lui era li, era arrivato. L'aria era cambiata, la natura stessa lo aveva fatto. Chiaro segno di ciò che presto sarebbe arrivato in città. Artemisia, quel giorno, si era alzata da letto in tarda mattinata, non era riuscita a chiudere occhio per quasi tutta la notte, un mal di schiena lancinante aveva aggredito il corpo della Luna del branco, facendola contorcere dal dolore. Boris, invece si era alzato alle prime luci dell'alba, non aveva avuto il tempo di attuare tutto ciò che aveva programmato di fare e per questa ragione non voleva sprecare il poco tempo che era convito mancasse al suo arrivo. Aveva passato la mattinata tra gli ultimi sviluppi del piano e la preoccupazione costante per la sua compagna. Ogni dieci minuti si intrufolava nella sua mente per sapere come stava. Aveva paura che il loro nemico attaccasse per primo proprio lui e ciò che aveva di più caro: Artemisia. Lui però era stato più veloce. Lui li aveva sorpresi tutti, ancora una volta aveva vinto.
«Dove?» Chiese Boris non appena ricevette il messaggio di Sergei. Il beta del branco lo aveva contattato tramite il collegamento mentale. Non c'era più tempo. Il secondo era stato chiaro. I confini erano stati distrutti, la barriera era aperta e loro erano sotto attacco.
«Sta entrando dal confine nord.» Sospirò Sergei, sbattendo un pungo sul tavolo rotondo della sala del consiglio. Era furioso. La sua compagna almeno stava bene.
«Proteggete le donne, i bambini e gli anziani. I guerrieri rimasi si preparino al combattimento.» L'Alpha disse a ogni beta quelli che erano i suoi ordini. Le idee, almeno per il momento, le aveva chiare.
«Sergei, io vado a cercare Artemisia.» Si chinò a parlare solo con Sergei. Con lui poteva essere sincero e dare libero sfogo alla sua preoccupazione costante. Boris uscì sala stanza alla stessa velocità della luce, mentre un ringhio furente lacerava il silenzio dei corridoi, prima preda della paura.

XA - Progetto AlphaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora