Fourth part.

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Durante il tragitto l'ansia svanì, probabilmente sostituita da una forte scarica di adrenalina, che sembrava scorrere nelle mie vene alla velocità della luce.
Una sensazione di libertà assoluta mi pervase.
...
Arrivata a destinazione, erano appena le 07:56.
["Prossima alla formula 1, mia cara Alaska, bravissima", pensai iniziando a ridacchiare].
Scesi dalla moto, tolsi il casco, ed iniziai a dirigermi verso il luogo dell'appuntamento, che si trovava a circa 600 metri da lì.

Una volta raggiunto il luogo, erano le 08:00 esatte, ma nessuna traccia di quello che, se mi avessero assunta, sarebbe stato il mio datore di lavoro.
Decisi allora, di prendere un tavolo, e prendere un cappuccino lungo, affinché riuscissi a svegliarmi ed a percepire il tempo in maniera molto più rapida.
Mi sedetti ad un tavolo, situato vicino al jukebox che riproduceva una delle mie canzoni preferite: Everybody wants to rule the world
e senza accorgermene iniziai a canticchiare.
Davanti a me spuntò una ragazza, dall'aspetto particolare: Capelli color corvino, occhi neri come la pece, e carnagione olivastra, ricca di piercing e tatuaggi, piuttosto particolari.
Indossava una divisa piuttosto inusuale: gonna e camicia d'un nero opaco ed una cravatta rossa.
Feci un balzo appena la vidi, e lei accorgendosene, scoppiò in una fragorosa risata, contagiando pure me.
Mi scruto' per pochi secondi e rivolgendomi un sorriso più che cordiale mi disse: «Buongiorno, io sono Amélie, cosa desideri ordinare?»
Sentii istantaneamente l'accento francese prender vita in ogni sua singola parola, ed iniziai a sorridere, pensando a quanto questa lingua da sempre abbia avuto la capacità di attirarmi a sè, proprio come due magneti si attraggono.
«Ciao, prendo un cappuccino lungo, grazie».
Estraendo uno strano aggeggio tecnologico, segnò il mio ordine, e sorridendo ulteriormente andò via.
Neanche dopo una decina di minuti, vidi spuntare dinanzi me la ragazza tatuata con il mio cappuccino, che aveva un aspetto più che invitante.
«Ecco a te, miss balzo in aria», disse porgendomi il recipiente che conteneva la mia fonte di salvezza.
Poi aggiunse: «Eccoti due donuts, offre la casa"».
Colta alla sprovvista da quel gesto, mi feci scappare un verso di stupore, subito seguito da: «Grazie mille Amélie, io sono Alaska, piacere di conoscerti».
Sul suo viso notai subito un espressione di sgomento all'udire il nome Alaska al che immediatamente, spinta da una grande curiosità, chiesi: «A cosa devo quest'espressione? Cos'è che ti ha fatto restare senza parole?»
«No, nulla, lascia perdere, scusami», disse con un tono di voce tremante, farneticando con le mani.
«Dimmi, davvero. So che c'è qualcosa dietro, lo percepisco», dissi con tono apprensivo.
«Non posso parlarne, non qui e non ora».
Spinta più che mai da forte sensazione dissi a me stessa che a tutti costi avrei dovuto conoscere la motivazione. In cuor mio sapevo che qualcosa si celava dietro tutto ciò e dovevo saperlo.
«Non preoccuparti, attenderò che tu finisca il turno e se ti andrà, mi dirai», controbattei.
Fece un sorriso ed cenno con la testa, che capii fosse un sì, ed andò via.
Istintivamente controllai l'orologio e vidi che erano già le 08:30, e del mio datore di lavoro non vi era alcuna traccia.
Presi il cappuccino ed iniziai a berlo, sperando arrivasse presto e che l'attesa non fosse estenuante.
Tirai fuori il mio quadernetto ed inizia a scrivere:
"Ciao Alaska,
vedo con mio immenso piacere, che stai cercando di non farti sopraffare dalle emozioni e che stai tenendo duro, più decisa che mai.
Non avevo alcun dubbio di ciò, sai?
Ho sempre sap...";
mi interruppi quando udii un fracasso allucinante.
Non riuscii credere a ciò che i miei occhi stavano vedendo, ed a ciò che sarebbe accaduto da lì a pochissimo tempo.

L'Alaska dimenticata.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora