Sixteenth part.

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Era come se il tempo si fosse per un attimi arrestato. Come se avessi sentito un battito mancare il mio cardio e come se una paralisi avesse preso il sopravvento sulla mia persona.
Chi avrebbe potuto volere il male di quelle brave persone?
I miei pensieri vennero, in una frazione di secondo, interrotti da Parrish che, capendo subito che qualcosa non andasse, avvicinò la sua mano alla mia e lasciò spazio ad una serie di delicate e lievi carezze, quasi a mo’ di rassicurazione.
Capii che in fondo era proprio così: il nostro rapporto, segnato da un saldo filo di collisione apparentemente indistruttibile, era un qualcosa di così forte che nessuna parola avrebbe potuto definirlo abbastanza bene. Ed ovvia era che, con questa persona, anche il mio silenzio più tacito sarebbe stato compreso nella sua complessità.
«Al, che sta succedendo? Cos’è che t’inquieta? C’è qualche legame fra te ed i signori Weight?»
«No, ma…»
Ad interrompere il nostro dialogo fu il capo sceriffo Dalton che esordì dicendo: «Ragazzi, siamo qui per ragioni più che valide, non di certo per assistere a scene del genere dove si sceglie di bisbigliare lasciando fuori qualsiasi altro uditore presente piuttosto che comunicare con gli altri presenti in stanza. Signorina Greylight, potrebbe spiegarmi cosa non va?»
Parrish si voltò verso me lasciandomi intendere che ne avremmo parlato in un secondo momento, e che, adesso, non era la circostanza adatta per lasciarsi sopraffare dalle emozioni e dar spazio a sentimentalismi.
«Sì, scusi. Sono semplicemente sensibile quando si tratta di qualcuno con cui ho avuto a che fare almeno una volta nella vita. E’ capitato di averli visti ed averci scambiato due chiacchiere. Tutto qua. Mi scusi» controbattei.
Parrish sorrise, ed io ricambiai.
«E’ tutto qua? Nient’altro di cui io debba venire a conoscenza?»
«No»
«D’accordo. Come poc’anzi stavo dicendo dobbiamo occuparci di un caso di tentato omicidio. Anzi, affido a Parrish il caso, ed anche a te Alaska che, son certo apprenderai in fretta i trucchi del mestiere. Io e gli altri dobbiamo analizzare altri casi e recarci in altre scene del crimine. Parrish è al momento, il miglior tutor che tu possa avere signorina Greylight ed anche il migliore in questo campo. Con la sua arte dell’eloquenza so che riuscirà a scoprire qualcosa che non abbiamo ancora individuato noi. Buon lavoro, lì sul tavolo troverete le direttive ed informazioni necessarie per potervi dare da fare»
Concluse così, uscendo.
Non nego che la preoccupazione sembrò farsi spazio tra le pareti del mio cardio e che il mio cerebro stava cercando di elaborare in maniera concreta quella che sarebbe stata la mia vita da questo giorno in poi.
Io e Parrish ci guardammo contemporaneamente in volto, e senza che alcuna parola fuoriuscisse dalle nostre labbra, capimmo entrambi che quel caso come tanti altri ci sarebbero stati assegnati e che non vi doveva essere alcun accenno di fallimento nella risoluzione di quest’ultima.
«Pronta?» chiese avviandosi verso la scrivania su cui era riposto il fascicolo.
«Certo che sì, anche se dovrò abituarmi a tutto questo. Cosa c’è scritto?»
Il suo volto s’animò d’una strana perplessità ma nel contempo sembrò non esser troppo sorpreso di ciò che vi era al suo interno. Cercai di decifrarlo ma al solo tentativo, venni ammutolita.
«Dunque, niente che sia apparentemente nuovo. Parla di un tentato omicidio, finito tuttavia nella maniera meno auspicata dato che Mr. Weight è ancora vivo, ma leso in ospedale. Ma qualcosa non mi quadra. C’è del strano in tutto questo. Oserei dire quasi il movente dell’azione. Come qui ribadito più e più volte dalle differenti testimonianze dei cittadini di Forks, egli è un “uomo agiato e disponibile con tutti”, un “marito amorevole”. Pertanto, di che si tratta? Per quanto io ne sappia, tramite voci, questo tale Mr. Weight dev’esser un brav’uomo.
Per quanto riguarda le direttive, dobbiamo recarci in ospedale da lui per indagare sulla vicenda, tra un’ora. Durante l’orario di visita».
Guardai istintivamente l’orologio per vedere che ora segnasse: Erano le 9:15 in punto. Eppure a me parve fossero trascorsi solo pochi minuti e non mezz’ora. Che singolarità possedeva il tempo: Per un qualche strano principio naturale, quest’ultimo era in grado di scorrere veloce, come una saetta o lentamente, sembrando interminabile.
«Okay, d’accordo. Quanto dista l’ospedale da qui?»
«Una ventina di minuti pressappoco»
«Mhhh… e nel frattempo? Cosa si presuppone io e te facciamo?»
Iniziò a riflettere e pochi istanti dopo rispose: «Possiamo chiedere in prestito delle attrezzature specifiche per risalire a chi abbia manomesso la tua moto. Avviamoci Al».
La felicità sembrò prendermi a schiaffi in viso. Sentii l’adrenalina scorrere nelle mie vene e senza che fosse volontario, la manifestai iniziando a saltellare proprio come una bambina di appena due anni che riceve un regalo da lei tanto desiderato.
Parrish scoppiò in una risata fragorosa alla mia visione ed io lo fulminai col solo sguardo benché non se ne fosse accorto.
["Ma piantala Alaska, guarda quant’è bello quando sei in grado di far spuntare sul suo volto un riso. Lascia che faccia"]
Alzai gli occhi al cielo come contro risposta alla solita vocina insinuatasi nella mia mente.
«Andiamo?»
«Sì, andiamo»
Uscimmo dalla stanza, portando con noi il fascicolo e ci dirigemmo verso una locazione a me ancora sconosciuta. Al suo interno vi erano due uomini in divisa con un’infinità di fascicoli sulle loro corrispettive scrivanie, dove agiati erano i singoli strumenti da lavoro. Computer inclusi.
«E’ possibile entrare?»
I due alzarono la testa all’unisono una volta udita la voce della divinità greca che mi affiancava. Emh, volevo dire… di Parrish.
«Certo che sì, Feuvert! Sei sempre ben accetto. Fai accomodare anche la bella signorina che ti affianca»
«Grazie Arnold, anche se sai che detesto esser appellato per cognome».
Una volta entrati Arnold ed il collega del quale ancora non conoscevo il nome, ci fecero cenno di sederci nelle poltrone adiacenti alla finestra che, oltre che illuminare la stanza, dava sulla strada offrendo una panoramica di tutto rispetto.
Arnold, senza troppi giri di parole si presentò: «Io sono Arnold Adison, piacere di conoscerti signorina…?»
«Alaska Greylight, piacere di conoscerla. Mi sono presentata già agli altri vostri colleghi qualche giorno fa, ma voi non eravate qui deduco»
«Esattamente. Io e Richard eravamo fuori per un caso speciale. Comunque, dammi pure del tu Alaska. Sarò più grande di te, ma neanche così tanto vecchio! Ahah!»
Colta dall’imbarazzo, iniziai a ridere a mia volta. Giusto per reggere il suo gioco e per non rendere la situazione ancor più ambigua.
Nel frattempo il collega che lo accostava, si alzò porgendomi la mano.
«Sono Richard Stood, lieto di far la tua conoscenza»
«Il piacere è tutto mio»
«Parrish, dunque dicci. Che cosa ti serve?» chiese Richard.
«Rimembrate la moto che mi avete chiesto di riporre in garage, poiché sarebbe potuta essere utile come prova da analizzare per il caso Starbucks? Bene, ieri sera è stata manomessa e vorrei chiedervi se è possibile avere in prestito gli attrezzi necessari per risalire alle impronte digitali. Magari riusciamo a risalire al malvivente che si è divertito a far questo».
L’espressione di Richard e Arnold accennò ad un ‘sì’.
«Beh amico, meglio di noi sai che non sarebbe possibile far uscire al di fuori del distretto stesso le attrezzature da lavoro, tuttavia io ne ho uno di riserva e posso dartelo per qualche giorno. Una volta finito, mi darai il tutto e lo analizzeremo» affermò Richard.
«Grazie mille, davvero. Ve ne sono grata»
«Non dir grazie. Durante la pausa pranzo andrò a casa e lo porterò qui, in distretto. Una volta finita la giornata, sarà tutto vostro. D’accordo?»
«Certo che sì. Grazie ancora».
Richard mi fece l’occhiolino ed Arnold, cordialmente mi sorrise.
Che brave persone, pensai. In queste ultime settimane ho visto più gentilezza di quanta io ne abbia vista durante il mio soggiorno qua, da qualche tempo.
«Al, è meglio che noi due iniziamo ad avviarci. Sono già le 09:35. Arriviamo appena in tempo all’ospedale»
«Sì, certo. E’ meglio andare. Spero voi possiate scusarci, ma il tempo vola e noi abbiamo delle direttive da seguire. Credo meglio di me sappiate come funziona qui», affermai rivolgendomi ai miei due nuovi colleghi.
«Andate pure, ci vediamo dopo» affermò Richard
«Buon lavoro e fate i bravi. Mi raccomando Feuvert!», disse Arnold ridacchiando come un pargolo.
«Sei sempre il solito Arnold, non cambi mai»
«Lo so Feuvert! Che ci possiamo fare?»
«Niente, sei proprio un caso perso».
Una volta esordito ciò, Parrish ed io uscimmo dalla stanza per incamminarci verso la vettura che ci avrebbe condotto in ospedale, da lì a pochi minuti.
L’atmosfera tra me e lui appariva esser più leggera e meno tesa. Sebbene fossi cosciente del fatto che in serata il discorso sarebbe stato ripreso e che solo a quel punto avrei avuto la conferma della mia sensazione o meno.
Era una questione di tempo. Come ogni singola cosa in fondo. In qualsiasi luogo, pianeta, o galassia, il tempo riveste un ruolo essenziale.
Entrammo nuovamente nella volante, senza che però H. Styles ci tenesse compagnia. Adesso era il momento di tener fissa la radio per restar in comunicazione con la centrale.
Non rinnego che, per qualche attimo, ebbi il timore che la tensione regnasse sovrana tra noi, ancora una volta.
Tuttavia, imposi a me stessa di scacciar subito via quel pensiero. Non era adesso la circostanza in cui avrei dovuto preoccuparmi di un qualcosa di così, all’apparenza, effimero e superficiale.
Durante il tragitto, io e Parrish scambiammo giusto qualche parola concerni le future giornate lavorative e tutto ciò che avrei dovuto fare affinché potessi divenire la miglior poliziotta ed investigatrice (angelica), del campo.
Giunti a meta, un vortice di emozioni e sensazioni sembrò trascinar con sé la mia anima e testa. Quanto tempo speso qui e che ricordi custodisce il mio cuore al solo pensiero di questo luogo.
Qui, ho scoperto il nome di Parrish e capito cosa effettivamente mi fosse successo dopo l’attacco di Starbucks.
«Ehi Al, so ciò a cui stai pensando. Lo sento. Sta’ serena»
«Lo sono. Andiamo»
In realtà, volevo solo convincermi fosse così.
Scese dall’auto e venne verso la mia direzione per aprirmi, per l’ennesima volta, lo sportello. La sua premurosità, sembrava davvero esser smisurata quando si trattava di me.
Andammo, con passo svelto, quasi immediato, verso l’ingresso dell’ospedale di Forks.
Nulla era cambiato. Era sempre lo stesso luogo, cupo e inanimato.
Ci introducemmo nella struttura ospedaliera dirigendoci verso la reception dove un uomo di mezza età, dal volto stanco e segnato dallo scorrere del tempo, stava maneggiando il suo computer.
Con fare da maestro, Parrish uscì fuori il distintivo dicendo: «Salve, sono Parrish Feuvert, vicesceriffo del distretto di Forks. Avrei bisogno di parlare con il signor Weight. Potrebbe dirmi dove devo recarmi?»
L’uomo, senza far alcun cenno di cordialità controbatté: «Primo piano, stanza 186»
«Grazie».
Ma non rispose.
Prendemmo l’ascensore ed una volta apertasi la porta di quest’ultimo, uscimmo, iniziando a guardare a destra e a sinistra, affinché raggiungessimo la nostra meta.
Finalmente la vidi. Era situata in fondo al corridoio, e la sua porta era d’un rosa cipria che sembrava sparire, per via del colore azzurro scuro del numero, che contrastava su tutto.
«Andiamo Parr, è lì. In fondo».
Bussammo alla porta e dall’altra parte rispose una voce calda e pacata che riconobbi subito appartenere a Mrs. Weight: «Avanti».
Una volta aperta quest’ultima, l’espressione di sgomento segnò il volto di Mrs. Weight che, priva di parole, sembrava in realtà avesse molto da dire.
«Oh, Alaska. Figliola. Cosa ti porta qui?» domandò Mr. Weight.
«Sono qui per lei, con il mio collega Parrish. Abbiamo delle domande da farle»
Assunta la capacità di parlare, Mrs. Weight ci invitò a sedere.
Tuttavia, lo fece solo Parrish. Io optai di restar in piedi, vicino il signor Weight che, per una chissà quale motivazione, sentivo molto più vicino a me.
«Ponetemi qualsiasi quesito voi vogliate, Sarò ben lieto di rispondervi. E’ per capire il movente del mio tentato omicidio che sarete qua, deduco. O erro?»
Sia Parrish che io facemmo cenno di ‘no’ con la testa.
Fu allora che lui decise di prendere parola iniziando con quello che, immaginai avrebbe assunto la sembianza di un interrogatorio.
«Io sono il vicesceriffo Parrish. Mi direbbe come tutto ha avuto origine?»
«Beh…»

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 30, 2020 ⏰

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