fifteenth part.

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«Così dannatamente buffa, comica e splendida»
D’impatto le mie guance si colorarono di un insolito porpora. Ma onde evitare situazioni di ulteriore imbarazzo, risposi a tono. Com’ero sempre solita fare in questi momenti.
«Ma fammi il piacere. Dove apprendi tutte queste cose? Dai libri? O hai visto una caterva di film rosa? Perché mi stupisce la tua sdolcinatezza nei miei confronti».
Tuttavia la sua reazione non fu la solita, ossia quella del contraccolpo, e fu lì che capii di aver esagerato un po’ e di aver minimizzato lemmi del tutto sinceri.
Le uniche parole che mi rivolse furono: «Andiamo Alaska. E’ tardi».
«Sì, andiamo»
Ci dirigemmo verso la sua vettura, che, mi riportò alla mente i pochi istanti condivisi la sera prima.
Per un istante sorrisi e lui se ne accorse, senza però elargire un accenno di sorriso a sua volta. La tensione fra me e Parrish era tangibile, evidente e cristallina. Inutile negarlo.
[Sei davvero eccezionale Alaska, devo farti i miei più sinceri complimenti. Com’è possibile che tu vada ad allontanare e respingere prepotentemente colui che sin dal primo momento non ha esitato a starti vicino senza mai nulla in cambio? ]
«Oh, per l’amor del cielo, piantala e taci una buona volta» dissi ad alta voce senza rendermene neanche conto.
Si voltò verso me, con un’espressione di sgomento che dominava sul suo viso d’angelo, benché amareggiato.
«Come prego?»
«Io, emh. Nulla, lascia stare. Stavo pensando ad alta voce. Un po’ troppo alta. Più del dovuto»
«Okay Alaska»
Sarò sincera, nonostante il poco tempo trascorso al fianco di Parrish, ero ormai in grado di capire quando qualcosa non andasse. Fin troppo. Ho analizzato ogni singolo aspetto del ragazzo, che adesso era proprio accanto a me. Osservandolo ho capito molte più cose di quante in realtà lui non me ne avesse dette. Perché in fin dei conti è così quando si è protesi verso qualcosa o qualcuno. Lo analizzi scrupolosamente per captarne ogni singolo meandro e sfaccettatura. Almeno credo. Meglio dire, giustificavo a me stessa così quella mia strana attenzione rivolta nei confronti di Parrish.
Probabilmente stavolta le mie risposte secche e dure, come un pugno in pieno volto, lo avevano toccato più di quanto prospettavo facessero. Non nego che mi sentii colpevole, per la prima volta, per il mio essere così distaccata nei suoi confronti. Ma che responsabilità si ha laddove il tuo passato, in maniera irreversibile ha avuto un impatto su te?
Nessuna. Era così e basta, sebbene la giustificazione fosse una delle più patetiche in assoluto.
«Alaska! Ti sbrighi?»
Venni interrotta allora dalla voce di Parrish, che apparve ancor più asettica e distaccata di quanto l’avessi immaginato.
«Eh? Cosa c’è?»
«Sono quasi 5 minuti che ti chiamo per farti salire in macchina, ma non smetti d’aver la testa fra le nuvole. Quindi, adesso gentilmente Sali e muoviamoci»
«Davvero? Chiedo venia, non ho prestato attenzione a ciò»
Feci per aprire lo sportello, ma mi anticipò, cogliendomi ancora una volta di sorpresa.
A dispetto del fatto che fosse terribilmente adirato nei miei confronti, la sua premurosità nei miei confronti non cessava di farsi viva neanche in circostanze come queste.
«Grazie Parr»
Non rispose e salì a sua volta nella vettura che, in un battibaleno prese vita quando il rimbombo del motore ruppe il silenzio che vi era in quel momento.
Accese la radio e senza proferir parola inserì un CD che riconobbi essere “Fine Line” di H. Styles. Uno dei miei cantanti preferiti conosciuti sinora.
Mise la traccia 3 che, in una frangente di secondo, colpì il mio cardio e la mia psiche. Non era nient’altro che ‘Falling’.
La canzone che più fra tutte le altre presenti nell’album era in grado di rendermi emotiva e sensibile, senza che volutamente lo decidessi.
Per evitare accadesse, volsi il mio sguardo verso la strada ed iniziai a guardare qualsiasi millimetro del panorama che si mostrava, nudo, dinanzi i miei occhi.
Fui così tanto presa dalle mie emozioni contrastanti per Parrish, che neanche mi accorsi che fuori la giornata era splendida.
Il sole regnava sovrano, proprio come fosse un re, in un cielo limpido, cristallino ed azzurro. Ma non troppo. Era una sorta di melange perfetto tra azzurro e bianco. Per tale ragione le nuvole a loro volta si presentavano a sprazzi, in mille direzioni e forme divergenti tra loro.
Pensai si trattasse di un dipinto per la troppa meraviglia che avevo la fortuna di osservare.
«What am I now? What am I now? What if I’m someone I don’t wanna around? I’m falling again, I’m falling again. I’m fallin’»
La canzone era sovrastata dalla voce di Parrish che, con mio stupore, apparve essere portato per il canto.
Era come se la melodia avesse assunto una valenza di gran lunga unica.
Automaticamente iniziai a canticchiare insieme a lui.
«What if I’m down? What if I’m out? What if I’m someone you won’t talk about it?»
«I’m falling again, I’m falling again. I’m fallin’. And I get the feeling that you’ll never need me again»
«I’m always gonna need you»
Senza volerlo risposi così. Ma poco importava. Una parte di me, nonostante la continua riluttanza nell’accettarlo, era cosciente dell’autenticità delle sue parole.
«Cosa? Ho sentito bene?»
«Sì. Hai sentito bene»
«No, impossibile. Ciò si tratta di una cara e semplice utopia. Non diresti mai una cosa del genere. Neanche sotto tortura»
In fondo, era proprio vero ciò che aveva affermato con certezza. Ammettere quanto da me realmente provato risultava parecchio difficile. A tratti fastidioso.
«Beh, che tu abbia o meno ragione, ciò è uscito in maniera inconscia dalla mia bocca, senza che effettivamente lo programmassi»
«Ah, quindi neanche lo intendevi davvero. Si fanno progressi, decisamente»
Vidi l’amarezza rigargli ancora una volta il viso, più di quanto già non lo avesse fatto in precedenza.
Calò ancora una volta un silenzio che sembrava esser un frastuono dal peso indescrivibile. Passarono così una decina di minuti.
Erano già le 8.35 e tra 10 minuti saremmo stati a lavoro. Come si sarebbe prefigurata essere la giornata lunghissima che ci aspettava , se l’unica persona con la quale ero seriamente a contatto stentava a parlarmi?
[Una schifezza dolcezza, ecco come sarà. Te lo assicuro] affermò la solita vocina insinuatasi nella mia mente.
«Senti Parrish, mi dispiace. Okay? Mi dispiace davvero se prima con le mie parole prima ho urtato la tua sensibilità. Non era mia intenzione»
Inizialmente non diede cenno d’interesse, ma dopo circa 2 minuti si voltò verso me con molta naturalezza.
«Ne riparliamo stasera, una volta tornati a casa. Adesso ci attende un’infinita giornata di lavoro e per te, anche tirocinio. Ovviamente apprenderai dal migliore dei maestri»
Un lieve sorriso balzò come un’anguilla nel suo volto ed occhi.
Probabilmente aveva apprezzato il gesto ma, tanto simile a me per com’era in realtà, decise di far prendere il sopravvento al tanto amato e nel contempo odiato, orgoglio.
Come biasimarlo? Ero io in fondo la prima a mettere in atto ciò. Figuriamoci se avessi avuto il lusso di far lui una ramanzina bella e buona. Sarebbe stato una chiara messa in scena di ipocrisia. E non era questo ciò a cui ambivo.
«D’accordo»
Nel frattempo arrivammo alla stazione di polizia dove ci accolse, con una gentilezza immane, il capo sceriffo.
«Buongiorno ragazzi. Spero siate pronti per affrontare questa giornata. In particolar modo tu Alaska. Sicuramente avrai da imparare molto da Parrish. Ma impazzirai pure. Sai com’è. E’ un tipo peculiare» disse ridacchiando. Mi feci trasportare anch’io ed iniziai a ridere a mia volta.
«Ehi, io sono ancora qui. Il mio udito non ha cessato di fungere per come voi sperate faccia»
«Pff, ma finiscila Parr. Non far l’uomo sensibile» dissi, ancora una volta ridacchiando.
Alzò gli occhi al cielo ed io gli feci l’occhiolino.
Mio dio, talvolta sapevo esser così provocatrice che me ne sorprendevo puntualmente, ma in maniera piacevole.
«Entrate ragazzi»
Ci dilettammo verso l’interno della stazione dove, calorosamente, ci salutarono quelli che avrei dovuto cominciare a considerare ‘colleghi’.
Decisi di ricambiare con un sorriso ed un cenno di mano.
Parrish, nel frattempo, mi prese per il braccio e mi portò in una stanza in cui vi erano una miriade di foto appese, ognuna con una puntina rossa. E tutte le puntine rosse a loro volta erano collegate tra loro da un filo della stessa gradazione cromatica.
«Dunque ragazzi, oggi dovrete analizzare il caso Weight. Si tratta di un tentato omicidio»
Al solo udire quel nome, sentii i brividi animarsi in ogni singolo angolo del mio derma.
Non era possibile. Ebbi subito a mente l’appartenenza di quel nome ed il solo pensiero mi ferì come non mai.
Che cosa gli era successo?

L'Alaska dimenticata.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora