Jackson era a casa con Harriet. Adorava stare con sua figlia. April era via da tre giorni e lui e la piccola si stavano godendo la loro meritata vacanza insieme. Se solo la Kepner avesse saputo che stavano combinando. Jackson aveva stravolto completamente la routine fitta che la donna aveva stabilito per la piccola. Per due sere di fila avevano mangiato gelato a cena e avevano passato un pomeriggio intero al parco dei castelli gonfiabili. Erano andati in giro per la città a fare compere. Ad Harriet bastava indicare un giocattolo che Jackson glielo comprava. Tutto procedeva per il meglio. Sì, probabilmente la stava viziando un po' troppo, ma che ci poteva fare, quella bambina era il suo punto debole. Harriet guardava i cartoni animati seduta sulle gambe di Jackson mentre beveva il latte prima di andare a dormire quando il telefono dell'uomo squillò. Lui rispose al telefono mentre con l'altra mano accarezzava i capelli della figlia che cominciava a dare i primi segni di sfinimento.
"Ehi, sono io, Harriet dorme?" domandò la voce così familiare di April.
"Non ancora, ma sta per crollare. Come sta andando a New York?"
"Jackson perché è ancora sveglia? Dovrebbe essere già a letto da un pezzo!" borbottò lei.
"Ma dai, che vuoi che sia!"
"Le scombussoli la routine e quando tornerò dovrò farla riabituare. Non sarà facile"
"Tu sei eccezionale, ce la farai" rispose lui prendendola un po' in giro.
"Quanto sei stupido!"
"Ti ho fatto ridere però"
"Forse un po'"
"Comunque, non mi hai risposto. Come sta andando a New York?" domandò ancora Jackson.
"Tutto bene"
In sottofondo Jackson sentì Callie che lo salutava e ricambiò il saluto.
"Mi sembra che vada tutto bene da Callie e Arizona. Ma quindi che ci fai lì? Avevi detto che Arizona aveva bisogno di te"
"Cos'è, un interrogatorio?"
"Non starai pensando di trasferirti a New York, vero?"
"Cosa?"
"Non puoi portarmela via, April!"
"Non mi sto trasferendo a New York Jackson, calmati"
L'uomo tirò un sospiro di sollievo e si chinò per dare un bacio sulla testa di sua figlia.
"E allora la domanda resta, che ci fai lì?"
"Arizona ha bisogno di un consulto"
"E non ci sono chirurghi d'urgenza a New York?"
"Voleva il parere della migliore, chiaramente" disse scherzando April.
"Non sottovalutarti, sei davvero un chirurgo eccellente"
"Grazie per le lusinghe. Ora, mi fai parlare con la mia bambina?" chiese April e Jackson passò il telefono a sua figlia.
"Mamma?" domandò lei.
"Ehi amore, come stai?"
"Bene"
"Davvero? A scuola tutto bene?"
"Sì"
"Che state facendo?"
"Niente. Quando torni?"
"Non lo so ancora, tesoro"
"Domani?"
"No tesoro, non domani. Ma presto perché mi manchi tantissimo e non vedo l'ora di abbracciarti e riempirti di baci"
"Va bene"
"Buonanotte tesoro"
"Ciao", disse la piccola togliendosi il telefono dall'orecchio e consegnandolo a Jackson.
"April, sei ancora lì?"
"Sì, ci sono" disse lei con voce rotta.
"Non starai mica piangendo?" domandò Jackson.
"Mi manca"
"E allora torna a casa, di' ad Arizona che Harriet ha bisogno di sua madre e di trovare qualcun altro che l'aiuti"
April, dall'altra parte del telefono sorrise. E sentì l'urgenza di dire tutta la verità a Jackson. Ma non ne ebbe il coraggio. Ultimamente non aveva il coraggio di fare nulla, nemmeno uno stupidissimo test di gravidanza. Aveva bisogno di supporto e di una spalla a cui appoggiarsi. E Arizona era la persona ideale. Era la sua migliore amica, la sua confidente, l'unica persona che sapeva che non l'avrebbe mai giudicata.
"Mi tenti, ma ormai sono qui. Dai un bacio ad Harriet da parte mia, buonanotte Jackson"
"Buonanotte April".
Chiusa la telefonata, Jackson guardò Harriet rapita dai personaggi in televisione e si perse un attimo nei suoi pensieri. April gli era sembrata strana al telefono. Qualcosa non lo convinceva. Avrebbe voluto tanto prendere il jet di famiglia e volare da lei. Ma c'era Harriet a cui badare e doveva andare al lavoro. Il pensiero sfumò nel momento in cui si accorse che Harriet stava giocando col lobo del suo orecchio. Quando faceva così, significava che stava per addormentarsi. Così, spense la televisione e prese in braccio la bambina che continuava a giocherellare con il lobo del suo orecchio. La piccola appoggiò la testa sulla spalla di Jackson e crollò immediatamente. Jackson la adagiò sul suo letto e le rimboccò le coperte. Le stampò un bacio sulla fronte e, dopo aver acceso una lucina a forma di tartaruga accanto al suo letto, andò in camera sua. Cercò di addormentarsi, ma il sonno non arrivava. Si ritrovò a girarsi e rigirarsi nel letto. Il pensiero di April lo tormentava. Così prese in mano il telefono e la chiamò.
"Che c'è Jackson? È successo qualcosa a Harriet?" domandò allarmata lei.
"No, no. Si è appena addormentata"
"Ok, quindi qual è lo scopo di questa chiamata?" domandò adesso confusa.
"Sono più che sicuro che tu non mi stia dicendo la verità sul motivo per cui sei a New York e so che non dovrebbe importarmi, ma sono preoccupato per te. Non sarà un'altra crisi di fede? È colpa mia?"
In qualche modo, era un po' colpa di Jackson se April era fuggita a New York. Ma non se la sentì di scaricargli quel fardello addosso. Non se la sentì di farlo sentire in colpa per qualcosa che avevano deciso entrambi. Inoltre, poteva benissimo essere tutto un grande falso allarme. E allora le cose sarebbero andata a posto. Aveva perso la fede? Non esattamente, ma un po' si sentiva in colpa per il peccato commesso. Non avrebbe dovuto cedere. Ma Jackson! Come avrebbe potuto dirgli di no. Lui era il suo punto debole, il suo tallone d'Achille.
Solo qualche ora prima, Arizona le aveva prelevato il sangue. Non si fidava degli stupidissimi test di gravidanza comprati al supermercato che potevano dare dei falsi positivi. Voleva la sicurezza e qualcuno che le stesse accanto ogni secondo. Quel qualcuno era Arizona. L'unica in grado di farla sentire giudicata in quel momento di totale confusione. I risultati sarebbero arrivati il giorno dopo. April era terrorizzata all'idea di scoprire la sua sorte. Cosa avrebbe fatto? Chi era il padre del bambino? Tutte queste domande non la facevano essere serena. Inoltre, più tempo passava lontana da Matthew e meno le mancava. Qualcun altro, invece, le mancava terribilmente: Jackson. Callie aveva ragione. Aveva capito tutto dall'inizio. Ma non voleva dargliela vinta, non voleva scendere a patti con le sue emozioni. Erano emozioni sbagliate, non dovevano esistere. Jackson era solo un caso chiuso, archiviato, un capitolo della sua vita che era convinta di aver chiuso per sempre. Si sbagliava. Quanto si sbagliava!
E ora lui era dall'altra parte del telefono, preoccupato per lei che chiedeva di sapere la verità. Per quanto quella dimostrazione d'affetto le facesse piacere, April continuò a fingere che non ci fosse un secondo fine per quel suo improvviso viaggio e Jackson sembrò crederle.
Quando chiuse la chiamata, i dubbi di Jackson non si appianarono, bensì si ingigantirono. Aveva finto di crederle per non farle sentire il fiato sul collo, ma era seriamente preoccupato per lei. Così, nonostante fossero le undici di sera, compose il numero di sua madre. Catherine rispose immediatamente.
"Jackson sono le undici, ti prego sii breve, vorrei andare a dormire, sono esausta"
"Lo so mamma. Senti domani ho bisogno del jet della fondazione, devo andare a New York"
"A New York, perché?"
"Devo sbrigare una faccenda. C'è un'altra cosa, potresti tenere Harriet mentre sarò via?"
"Lo sai che non rinuncerei mai a passare del tempo con la mia meravigliosa nipotina. Ma, dov'è April?"
"A New York?"
"Le è successo qualcosa?"
"No, mamma. Non lo so almeno, è per questo che sto andando lì. Voglio verificare di persona che stia bene. Abbiamo parlato al telefono, ma era strana. E ho bisogno che tu tenga Harriet. Se per te è un problema, se non ce la fai per via dei trattamenti, non preoccuparti, chiamerò una delle sue sorelle per tenerla o chiederò a Meredith"
"Lascia stare quelle squilibrate delle sorelle Kepner. Mia nipote starà con me. Il caso è chiuso. Meredith Grey ha troppi bambini a cui badare e non lascio la mia erede in mani altrui."
"Va bene, grazie mamma"
Jackson salutò sua madre e le mandò i dettagli per il volo l'indomani mattina. Finalmente, poi, riuscì ad addormentarsi.
Il giorno dopo, April Kepner si svegliò nella stanza degli ospiti di casa Torres-Robbins. Andò in cucina e fu di nuovo travolta dall'armonia di quella famiglia. Rimaneva sempre meravigliata dal modo in cui Callie e Arizona erano riuscite a ricostruire la loro relazione dalle macerie. Si ritrovò a sognare ad occhi aperti per l'ennesima volta da quando era lì. Immaginò come sarebbe stato se anche lei e Jackson avessero riallacciato i rapporti, a come quel riavvicinamento avrebbe potuto influenzare la crescita di Harriet.
Arizona le andò in contro, facendola ritornare con i piedi per terra. Le diede un bacio sulla guancia e le posò davanti un piatto di pancakes con sciroppo d'acero e fragole. Le fragole le fecero venire in mente Harriet e quella mattina in cui fecero colazione tutti e tre assieme. La sua famiglia. Negli ultimi tempi si era ritrovata sempre più spesso a pensare alla sua famiglia riferendosi solo a lei, Jackson e Harriet. E si sentiva terribilmente in colpa per questo. Il senso di colpa la stava lacerando. Era una figura importante della vita di Ruby e Matthew moriva d'amore per lei. Eppure, pensava solo a Jackson. Solo a lui. Era un pensiero costante, un pensiero distruttivo.
"Più tardi passiamo a prendere le analisi dal laboratorio. Vieni in ospedale con me? Una mano non mi farebbe di certo male" esordì Arizona.
"Certo, penso mi distrarrebbe lavorare"
"Benissimo, ti garantirò i privilegi una volta in clinica. Sbrighiamoci, fai colazione, vestiti e andiamo" disse Arizona.
"Da quando sei a New York fai tutto freneticamente"
"Lo so, qui o ti adegui o la città ti risucchia. Ogni tanto sogno di trasferirmi nel Main o in qualche paesino dimenticato dal mondo. Un posto in cui ho dieci pazienti e posso dedicarmi a mia moglie e mia figlia per il resto della giornata."
"Sarebbe terribile!" commentò Sophia immaginandosi lo scenario appena descritto da sua madre. Aprili sorrise davanti a quella reazione.
"Ehi, starai anche diventando grande, ma rimani pur sempre la mia bambina e ho tutto il diritto di coccolarti"
"Ma mamma, è imbarazzante, non ho più cinque anni"
"Per me li avrai sempre"
"E addio, io me ne vado a scuola" esclamò la ragazzina afferrando lo zaino e uscendo di casa.
"April, tesoro, non voglio arrivare in ritardo al lavoro perciò muoviti!" esclamò Arizona voltandosi verso di lei.
Nel frattempo, Jackson era appena atterrato a New York. Ad aspettarlo all'aeroporto c'era una macchina pronta a scortarlo ovunque volesse. Arrivò in hotel, gettò la borsa sul pavimento e si fece una doccia veloce. Dopodiché chiese di essere portato alla clinica di Arizona. Entrò nella struttura e domandò della Robbins. Una delle infermiere gli disse che sarebbe arrivata a momenti. Lui approfittò di quell'informazione e si recò all'esterno. Arizona sarebbe dovuta per forza passare di lì. E, in quel momento, l'avrebbe fermata per chiederle di April. Rimase senza parole quando vide proprio April con la donna. Era sicuro che la storia dell'aiuto in clinica fosse una scusa. Forse si era sbagliato? Stava diventando paranoico? Desiderava così tanto April da farsi film mentali? Che figura avrebbe fatto se lo avessero visto lì? Prima che potesse sfuggire al loro sguardo, April lo vide. E si fermò di scatto. Arizona aveva già fatto qualche passo in avanti continuando a parlare da sola. Poi lo vide anche lei, si guardò a fianco e non trovò nessuno. April era a qualche metro di distanza da lei. Se ne stava in silenzio e col viso basso. Capì che era il momento di uscire di scena e di lasciare che i due parlassero. Sorrise a Jackson in segno di saluto ed entrò in clinica.
April aveva le mani in tasca, la borsa a tracolla e i suoi bellissimi capelli rossi le ricadevano morbidi sulle spalle. Jackson pensò a quanto fosse bella. Era la donna più semplice del mondo, la tipica ragazza della porta accanto. Eppure, per lui, non esisteva nessun'altra donna al mondo più bella della sua April. Camminò verso di lei.
"Ehi" disse semplicemente.
"Jackson che ci fai qui, ti ho detto che sto bene"
"Ma non ti credo April"
"Non è un mio problema se non mi credi"
"Sì che lo è. Possiamo negarlo quanto vogliamo ma tu sei un mio problema."
"Che cosa romantica!" commentò sarcastica lei.
"April, non sto scherzando. Sono preoccupato. Ho volato da Seattle a qui solo per starti accanto perché ho percepito che ti sta succedendo qualcosa."
"Che cosa vuoi da me, Jackson? Non ti ho chiesto io di venire"
"No, l'ho deciso da solo e ti ripeto che l'ho fatto perché sono preoccupato per te"
"E io ti ripeto che non sono problemi tuoi. Con chi hai lasciato mia figlia?"
"Avevo pensato di lasciarla ad una delle tue sorelle"
"Che hai fatto? Hai lasciato Harriet con quelle pazze?"
"No, no. Ci avevo pensato, ma mia madre ha voluto occuparsene lei"
April prese un sospiro di sollievo. Catherine era l'unica persona a cui era disposta a lasciare sua figlia. Non si fidava di nessun altro.
"Adesso mi dici cos'hai?"
"Jackson!"
"Guarda che mi sono fatto sostituire in ospedale e ho tutto il tempo del mondo. Perciò sarà meglio che cominci a parlare"
"Jackson, non voglio parlare"
"Va bene, allora restiamo in silenzio" rispose lui con un sorriso dispettoso sul viso.
Nel frattempo, dentro la clinica Arizona li spiava mentre parlava al telefono con Callie.
"Sì, ti dico che è così! Avery è venuto qui. Li ho lasciati da soli. Ora sembra stiano zitti. Si sono seduti e non parlano."
"Come non parlano, perché?"
"Non ne ho idea!"
"E lui che fa?"
"La guarda"
"E lei che fa?"
"Guarda per terra"
"Forse gliel'ha detto?"
"Detto cosa?"
"Che potrebbe essere incinta"
"Ma no, non sarebbe così calmo"
"Hai ragione, come sempre" constatò Callie.
"Dottoressa Robbins che ci fa qui, non dovrebbe essere in sala visite?" domandò un'infermiera.
"Sì, hai ragione – rispose la donna chiudendo la chiamata con Callie e guardando l'infermiera – ascolta, se non hai da fare, puoi tenere sott'occhio quei due lì fuori? Se cominciano a parlare, ma soprattutto se hanno qualunque tipo di contatto fisico, vieni a riferirmelo"
La donna guardò Arizona con sguardo confuso. Poi si limitò ad annuire.
Nel frattempo, fuori dalla clinica, Jackson e April continuavano a stare in silenzio, assieme. April alzò finalmente gli occhi e incontrò quelli azzurri e preoccupati di Jackson. Quindi si sentì profondamente in colpa e riabbassò la testa.
"April, parlami"
"Non ho niente da dirti"
"April sapere che stai male mi fa stare male"
"Ma io sto bene"
"E io non ti credo. So riconoscere quando stai male. Ti ricordo che non c'è nessuno a questo mondo che ti conosce come ti conosco io. Nemmeno Arizona" continuò lui.
"Smettila. Smetti di essere così fastidiosamente insistente. Non ho voglia di parlare con nessuno, tantomeno con te che non sei nessuno per me."
"Puoi ripeterti questa idiozia quanto vuoi, ma sappiamo bene che io e te non siamo nessuno. Eravamo migliori amici. Eravamo innamorati. Io lo sono ancora. Quindi non venire a dirmi queste stronzate" affermò l'uomo cercando di catturare il suo sguardo.
"Ah già, tu sai tutto di me. Tu mi leggi dentro. Mi capisci, vero?" disse lei provocandolo.
"Guardami negli occhi April"
Lei finalmente lo guardò.
"Tu non sai nulla di me. Dici di capirmi adesso, ma quando stavamo insieme non ci riuscivi. Non sei riuscito a capire perché avessi bisogno di andare in Giordania. Non riuscivi a capire le cose quand'erano grosse ed evidenti. E adesso dici di capirmi? Mi capisci solo quando mi rivuoi indietro, preso da improvvisa solitudine o mi capisci solo quando le cose non sono serie?" domandò lei. Sapeva di ferirlo in quel momento, ma questo non la fermò.
Quelle parole lasciarono Jackson allibito. Sapeva che in fondo April la pensava così e che lo riteneva responsabile del loro divorzio. Lo uccideva il pensiero di averla fatta soffrire così tanto e lo uccideva continuare a farla stare male. Prima che potesse dire qualunque cosa, April rincarò la dose.
"Tu sei quello che si è arreso. Ti sei arreso. Mi hai detto che non eri sicuro che valesse la pena lottare per il nostro matrimonio. Sei tu che mi hai chiesto il divorzio. Sei tu che mi hai respinta. Mi hai lasciato arrivare all'autodistruzione perché eri troppo impegnato a correre dietro a Maggie Pierce. E non te ne faccio una colpa. Ma c'è un uomo, un uomo che mi ama sopra ogni cosa. Un uomo che ha messo da parte il suo orgoglio e mi ha dato una seconda opportunità. Un uomo che era al mio fianco mentre stavo sprofondando nelle sabbie mobili e che mia teso la mano e mi ha riportato in superfice. Quell'uomo è mio marito, Matthew. E per la mia stupida fissazione per te adesso rischio di mandare a puttane il mio matrimonio. Tu non mi fai bene Jackson. Tu mi porti alla distruzione. E io sono stanca. Sono stanca di questa tiritera. Quando penso che sono fuori dalle tue grinfie ecco che riappari dal nulla e mi illudi di nuovo. Tutta la nostra storia è stata una grande illusione. Io che mi illudevo che tu potessi amarmi almeno un quarto di quanto ti abbia amato io. Io che mi illudevo che saresti riuscito ad accettarmi per come sono e che non avresti cercato di cambiarmi. Io che mi illudevo che avremmo potuto avere una relazione sana. Ma non è mai successo. Perciò, ti prego, va' via e lasciami in pace una volta per tutte"
Il volto di April era paonazzo. Jackson continuava a guardarla senza proferire parola. Aveva gli occhi lucidi. Quelle affermazioni l'avevano ferito. La cosa giusta da fare in quel momento era alzarsi e lasciarle lo spazio che aveva chiesto. Doveva dimostrarle di non essere egoista. Uscire dalla sua vita e smettere di incasinarle la testa. Forse April aveva ragione, forse Jackson non l'aveva mai amata quanto credeva. Forse il suo era solo un capriccio. Eppure, nonostante questi pensieri, Avery non le diede retta. Non si mosse dalla panchina su cui erano seduti. Anzi, sentì il bisogno urgente di catturare April in un abbraccio e stringerla forte a sé.
April cercò di opporsi a quel gesto, ma quelle braccia, nonostante tutto la facevano sentire al sicuro. I suoi muscoli rigidi cedettero al contatto con il suo ex e si lasciò andare. Si lasciò andare anche ad un pianto liberatorio. Finalmente aveva trovato il coraggio di dirgli tutto ciò che non era mai riuscita a dirgli. Finalmente stava avendo la sua rivincita. Era stata tremenda con lui, era stata dura e cattiva. Eppure, Jackson continuava a stringerla sempre più forte a sé.
"Mi dispiace" le sussurrava ripetutamente nell'orecchio. "Mi dispiace, April. Perdonami. Io so di non meritarti. So di averti data per scontata. E so che sono io il motivo per cui il nostro matrimonio non ha funzionato. Ma adesso sono più maturo e sono cambiato. Sento che stai male e voglio aiutarti. Sento che posso aiutarti. E soprattutto sono sicuro che tu sia la donna della mia vita. La mia anima gemella. Prima eri tu quella che amava senza riserve. E, ti giuro, da oggi in poi, la mia missione sarà dimostrati quanto ti amo. Ti riconquisterò." Continuò Jackson.
"Jackson non ho bisogno di dimostrazioni d'amore da parte tua. Ho solo bisogno che tu capisca che tra noi non potrà mai tornare com'era prima. Ho bisogno che tu mi prometta una cosa: se mi ami così tanto come dici, devi lasciarmi in pace. Devi lasciarmi vivere la mia vita assieme a mio marito e alla mia famiglia. Ci sentiremo e vedremo solo per Harriet. Tutto qui. Fine." Disse April.
"Non so se ci riesco"
"Se mi ami, ci riuscirai"
"Ti prego April, come faccio senza di te?"
"Smettila di essere così egoista per un secondo!"
"Lo so, lo so. Non ci posso fare niente. Io ti amo. Ti amo e non riesco a lasciarti andare. Non ce la faccio. Voglio solo una possibilità. Una soltanto. Non sarò così stupido da ferirti, non di nuovo"
"Ma come fai a non rendertene conto? Mi stai facendo male anche adesso. Mi stai ferendo anche adesso. E sono stanca Jackson. Il mio amore per te mi ha consumata. Ora voglio che mi lasci in pace. Non ti amo più, non ti voglio più. Ti prego, va' via!"
Jackson sciolse l'abbraccio e la guardò distrutto. Le lacrime avevano cominciato a scendere lungo le sue guance. Stava piangendo come un ragazzino. In cuor suo sapeva che April avesse ragione. Ma come poteva accettarle di lasciarla andare? Sentiva che, in fondo, lei lo amasse ancora.
"April, ti prego, non dire così" le disse prendendole la mano e stringendola tra le sue.
"Jackson mi fai solo del male. Per favore, lasciami stare"
A quel punto Jackson le lasciò le mani. Si alzò. Il volto gonfio, gli occhi arrossati per le lacrime.
"Vorrei non essere la causa del tuo dolore. Vorrei poter essere la persona che ti fa stare bene. Mi uccide il pensiero di stare lontano da te, ma non posso costringerti ad amarmi." Disse. La guardò per un'ultima volta prima di andare via.
April rimase lì distrutta da quella conversazione. Non appena Jackson andò via, Arizona corse da lei. Le si sedette accanto e l'abbracciò. La Kepner si lasciò cullare dall'abbraccio dell'amica.
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Come mi batte forte il tuo cuore
ChickLit"Papà voglio tornare a casa mia" "Questa è casa tua, Harriet" "No, voglio tornare a casa da mamma! Qui mi annoio!" "Ma hai tanti giochi" "Sì, ma voglio mamma! Mi manca mamma" "Non vuoi stare con papà?" "No, voglio stare con mamma!" La bambina cominc...