La terapia di gruppo.
Ecco ciò che mi aspettava quel giorno allo studio medico del dottor Levy. Papà si sentì molto sollevato quando gli comunicai la scelta di seguire un ciclo di terapia. Ma di certo non mi aspettavo di spifferare i miei problemi di fronte ad altre venti persone.
Raggiunsi lo studio prima del previsto, così da abituarmi al posto. Conoscevo bene il cosiddetto "circle time", ovvero quel metodo di lavoro che mira ad aumentare la vicinanza emotiva e soprattutto alla risoluzione dei conflitti tra le persone. Uno dei suoi obiettivi primari è il riconoscimento e la gestione delle emozioni.
Riconoscere e gestire l'ansia e il panico. Non è da me.
Le sedie disposte nella sala erano tutte occupate, tranne una. Alla terapia prendevano parte uomini e donne di ogni età e ceto sociale, afflitti dai più svariati problemi e disturbi. La ragazza seduta al mio fianco, Rose, mi aveva rivelato che il suo ex la picchiava. Con quale coraggio un uomo metterebbe le mani addosso ad una donna? E' impensabile, assolutamente inconcepibile.
Poche sedie più in là notai un ragazzo molto giovane, non più di vent'anni, che si comportava in modo strano: si guardava intorno con aria sospetta, poi si passava freneticamente le mani nei capelli, parlando con sè stesso. Sicuramente era affetto da schizofrenia, un disturbo psichico spesso controllato da farmaci. In confronto, il mio disturbo d'ansia generalizzato era un gioco.
Giunto il momento di iniziare la seduta, anche quell'unica sedia libera venne occupata, dall'ultima persona che mi immaginavo di trovare dallo psicologo. Ci fissammo a lungo negli occhi, poi accennai appena un sorriso, che non venne però ricambiato. Non era la persona che avevo conosciuto, sembrava diverso, o per meglio dire, disperso. Non spostai lo sguardo dalla sua mascella, che sembrava stranamente contratta. Gli occhi erano più scuri del solito e aveva un respiro pesante, come se avesse corso, o fatto qualche attività stancante. Era strano.
Il dottor Levy spiegò i vari esercizi da effettuare, e ben presto mi ritrovai seduta di fronte a lui, in una zona isolata della grande stanza.
"Che ci fai qui?" chiese subito, senza distogliere lo sguardo dai miei occhi. Iniziavo a pensare di avere il trucco così tanto sbavato da sembrare un panda, visto come mi fissava.
"Non pensi che dovrei chiederti la stessa cosa?" risposi a tono.
"Vengo qui da più di un anno!" disse "e tu non dovresti essere qui!" mi accusò.
"Perchè no?! Anche io ho dei problemi, non sono perfetta!" affermai, consapevole di non aver nessuna colpa.
"Ci sono altri medici in città!" continuò, ma la mia unica risposta fu un sospiro.
"Winter, sono serio. Non dovresti essere qui." ripetè di nuovo.
"Pago per stare qui, proprio come te, e ne ho tutto il diritto. Cosa non devo scoprire, eh? Il motivo per qui vai dallo psicologo da più di un anno?" indagai. Non ero lì per controllarlo o per scoprire di più su di lui. Era un caso, non avevo nemmeno idea che lui andasse dal dottor Levy.
"Non devi stare qui per motivi che non sei tenuta a sapere." insinuò.
Voleva giocare a nascondino? Sarei stata al gioco.
Mi alzai e andai dall'assistente del dottore, per chiederle se potevo allontanarmi per andare in bagno. Aspettai poi qualche minuto prima di tornare, sperando che il terribile esercizio fosse finito.
Quando la seduta terminò, un'ora e mezza dopo, mi si avvicinò nuovamente. Lo fissai confusa, visto il suo atteggiamento.
"S-senti Winter, s-scusami" balbettò, grattandosi la fronte.
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Dreamcatcher
Fanfiction"Teneva al suo bene più di qualsiasi altra persona al mondo. Era sempre in prima fila quando aveva bisogno di aiuto, anche quando erano distanti, aveva sempre il tempo per ascoltarla mentre si sfogava, piangeva o semplicemente rideva, nei rari momen...