Capitolo 11

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***
L'Universo senza ombra di dubbio è qualcosa di meraviglioso e inspiegabile ma Gabriel non poteva negare la mancanza che sentiva di casa sua.
Per questo lavoro e per questa missione soprattutto aveva lasciato tutto, casa, famiglia e amici e anche se era pieno di soddisfazione, l'affetto che solo le persone care ti danno, gli mancava.
Per non pensarci troppo e per non lasciarsi andare ai sentimentalismi continuava, durante il viaggio nello spazio, a cercare notizie sempre più precise di Tix.
Un particolare continuava a saltargli all'occhio dalle immagini in risoluzione, le ore solari e quelle notturne erano pressoché le stesse eppure la misura spazio - tempo era diversa.
E poi quella conformazione atmosferica così tanto uguale alla Terra.. Un pianeta gemello?
"Gabriel, vuoi un drink?" Gli chiese Steven.
"No, ti ringrazio".
Il collega gli pose comunque sulla scrivania un mini cocktail preso dalla sala ristorazione della navicella e fece per andarsene.
"Mi manca casa sai?"
"E a chi non manca Gabriel?"
***

Anche a chi della propria famiglia non ricorda nulla sente la mancanza.
Caspita se la sentivo.
L'attaccamento alle origini è una di quelle cose inspiegabili che nessuna scienza può spiegare.
Il bisogno di sapere da dove si proviene è una condizione perfetta dell'essere umano per cui, seppur non avessi più memoria di me e delle mie origini, dentro di me avevo quel vuoto di disperazione nel petto.
Tuttavia, aver dato un'immagine al mio volto era già di per se importante.
Forse in questo modo piano piano i miei ricordi sarebbero tornati.
Convinsi Cucciolo, dopo non poche vicissitudini, a partire.
Ero di nuova pronta.
Ero di nuovo in mare.
Ero di nuovo su una zattera.
Ma più grande. E con un nuovo amico.
L'unico tra l'altro.
Sapevo che soffrivo il mal di mare, lo avevo imparato a mie spese la volta precedente, quindi mi sdraiai subito senza dare spazio a nient'altro nella mia mente e dedicai le mie energie a mantenere salda la concentrazione.
Cucciolo al contrario sembrava particolarmente rilassato

- Ehi, mi devi rispondere!
Avevo gli occhi aperti a due fessure, non riuscivo a tenerli completamente aperti, il mal di testa mi stava uccidendo.
Lo guardai meglio quell'uomo, non mi sembrava di conoscerlo.
- Non ricordo, risposi.

Di nuovo, maledizione, di nuovo.
Iniziai a muovermi in maniera incostante e disturbata, quei flashback erano una tortura per la mia anima. Nonostante non fossero completi e chiari mi procuravano sempre una sensazione di disgusto e di.. Nausea.
Oh mio Dio la nausea.
Caddi in mare.
Un'altra volta.
Sentii il freddo nel petto.
E l'adrenalina nel resto del corpo.
"Eh no, devo risalire su" mi dissi.
Riuscivo a muovermi poco o niente ma ad un certo punto vidi Cucciolo arrivare in mio soccorso, e seppur in maniera faticosa tornai sulla zattera.
Mi aveva letteralmente salvata.
Le feci non so quante coccole, piangevo per la commozione, questo angelo che il Cielo mi aveva mandato per farmi compagnia era diventato il mio salvatore.
Per non incorrere in altri problemi, decisi, a mio malgrado, di tornare indietro. Sulla terraferma. Avrei dovuto trovare un altro modo, un'altra soluzione.
"Sono distrutta Cucciolo" dissi prima di iniziare a vomitare.
"Mi arrendo sai? Non riesco a rimanere ferma e immobile durante la traversata in mare, mi sento sempre troppo male, eppure diavolo, so nuotare!"
Ero arrabbiata con me stessa, non riuscivo a fare una cosa stupida come quella di rimanere calma su una zattera. Ora che avevo convinto anche Cucciolo a seguirmi, quei maledetti ricordi mi venivano in mente sempre nel momento meno opportuno!

-Non sarà felice di sapere che ti ostini così tanto.
Ero disgustata, oltre che dolorante.
Avevo una sensazione in corpo di schifo. Ecco non saprei descriverlo meglio di così.

***
Pareti bianchi, corridoio stretto e lungo, una stanza colma di macchinari e attrezzature tecnologiche.
Davanti per file c'erano dei lettini, ognuno dei quali aveva dei fili attaccati alla corrente che comunicavano con la macchina centrale.
La cosa sconvolgente era che su ogni lettino c'erano delle persone sdraiate, intontite dalla sedazione che subivano diverse volte durante il giorno.
Ognuno di loro occupava un posto in quella specie di taverna degli esperimenti ma per qualche strana ragione un posto era vuoto.
Il posto della ragazza senza nome.
- Dobbiamo ritrovarla.
- Non abbiamo idea di dove sia Signora.
- Questo lo so.
Una donna, sulla cinquantina, alta e magra, di un certo portamento, davanti al suo pc non faceva altro che esaminare i dati che raccoglieva dalle sue cavie, da quelle persone.
La sua figura rigorosa, e i capelli castani e morbidi che raccoglieva sempre in uno chignon perfetto e preciso, rendevano nota la sua eleganza, eppure quello per il quale lavorava era terrificante.
La sua passione era, torturare uomini, donne e ragazzi per sfruttare i dati matematici per ricerche statistiche con il quale dimostrare teorie fuori dal normale.
Era un'accanita religiosa e una spudorata credente dell'empatia e della forza del pensiero di massa e utilizzava ogni forma possibile e inimmaginabile di attrezzature in suo possesso, senza curarsi minimamente del dolore che poteva infliggere.
- Come ha fatto a scappare?
Continuava a chiedersi la donna.
- Era sedata, non lucida, non può essere andata tanto lontana!
- Eppure nessuno la trova, mi sapete spiegare perché siete così incapaci?
Nella stanza caló il silenzio. Quando lei parlava nessuno osava controbattere e poi tutti sapevano che la scomparsa della ragazza dai capelli rossi l'aveva toccata particolarmente.

***
Continuai a dare di stomaco diverse ore, a fasi alterne, tanto è vero che quella notte la passai più sveglia che altro.
Mi tolsi i vestiti, chiaramente sporchi, e notai con mio grande stupore che avevo delle cicatrici molto simili a quelle delle tempie anche su altre parti del corpo.
Pancia, interno cosce, e qualcuno piccolissima anche sulle caviglie. Erano diverse settimane che brancolavo nel buio ma queste cose sulla mia pelle non l'avevo notata. Ero talmente concentrata a ricostruire in qualche modo un percorso della mia vita per trovare delle risposte,  senza capire che molto probabilmente le risposte erano sotto i miei occhi, precisamente sul mio corpo.
"Cosa diavolo mi facevano secondo te?" Chiesi a Cucciolo, come se potesse rispondermi.
A suo modo lo fece, probabilmente vide nei miei occhi qualcosa che mi scuoteva e con il suo dolce modo di fare iniziò a leccarmi le cicatrici, come per farmi capire che aveva capito, che mi aveva capito.
Un gesto che in quel momento mi ricucì l'anima triste e distrutta che avevo. Avevo qualcuno che mi capiva, ed era stranamente un bellissimo cane ad essere il motivo per il quale non mi abbandonavo alla disperazione.

***
- Inventatevi quello che volete, la rivoglio qui!
Urló.
- Signora Alyson, abbiamo cercato ovunque, non sappiamo come altro comportarci.
- Non mi interessa, vi pago per tenere questi parassiti qui! Non per farli scappare.
Era fuori di se, completamente fuori di se.
L'espressione che aveva usato "parassiti"  per indicare delle persone alle quali faceva subire dolore, di per se fa già capire quanto terribile lei fosse.
- Ok, noi faremo del nostro meglio.
Lì tutti sapevano, tutti.
- Di più. Dovete fare di più. Non dimenticatevi che è mia figlia.
***

Spazio autrice.
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Un bacione a tutti, grazie per chi sta seguendo la storia, e buona serata :)

La ragazza senza nomeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora