Capitolo 13

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Il cielo era nero. Stranamente nero.
Enormi nuvole grigie ricoprivano tutto, era quasi l'alba e non avevo chiuso occhi per via della febbre e del freddo, e al sorgere del sole la situazione non era cambiata e forse stava anche peggiorando.
Cucciola mi stava mordicchiando i piedi, probabilmente voleva che ci spostassimo in un luogo più riparato dato che stavano iniziando a scendere le prime gocce d'acqua.
"Non ce la faccio, vai tu" le dissi ritirando le gambe al petto.
Lei di tutta risposta iniziò a strapparmi il top, non si era mai comportata così.
Sapevo che rimanere li con la pioggia, nelle condizioni in cui stavo avrebbe solo peggiorato il mio stato di salute ma ero davvero esausta.
Tuttavia, per forze di cose mi trascinai quasi, al riparo sotto un grande albero. Il mio rifugio anche se non era lontano, mi sembrava una distanza infinita da raggiungere, e non sentivo più parte del mio corpo.
Respiravo affannosamente, e sudavo freddo.

***
- Tesoro forza ci siamo.
- Papà ma che fai?
Mi asciugavo il sudore dalla fronte, mentre tentavo di frenare il tremolio alle gambe.
- Ti porto via.
Già in quel momento, pur avendo riconosciuto la voce del mio papà senza associarci un volto perché troppo assordita dalle varie sedazioni e scariche di corrente elettrica a fasi alterne, sentivo che mi stavo perdendo.
Mi prese in braccio, e mi strinse a se, quasi in maniera disperata.
Non capivo dove mi stava portando, non capivo perché aveva deciso di "liberarmi", non conoscevo i motivi di quel gesto ma, qualunque cosa avesse deciso di fare di me lo avrei accettato. Tutto pur di non sentire più quelle fitte di dolore allucinanti nella testa.
- Papà dove stiamo andando?
La mia voce era flebile, sottile, stanca.
Non rispose, o perlomeno non ricordo se lo fece, ricordo invece che mi diede un tramezzino, prosciutto e formaggio, che mangiai come se non ci fosse un domani.
- Mangia e stai tranquilla.
***

"Papà!"
Quell'influenza doveva aver riportato nella mia mente delle sensazioni simili a quelle che provai il giorno della mia scomparsa, ecco perché ebbi quel flashback.
Quindi se magari avessi provato qualcosa o avessi fatto delle cose che in passato avevo già provato avrei avuto delle possibilità di ricordarmi qualcosa.
"Bene, una persona che è costretta a stare ferma tutto il giorno e a subire dolore quale sensazione costante può provare?"
Soffocamento pensai. Il turbamento continuo di sentirsi chiusi in gabbia.
Mi alzai a fatica, pioveva, non faceva il solito caldo, la testa mi faceva male come se fosse stretta da un cerchio di fuoco e anche se non potevo vedermi, sicuramente il mio viso doveva avere l'aria di un cadavere.
Sentivo gli occhi andarmi a fuoco ma, se non riuscivo ad andarmene per ricostruire la mia storia avevo trovato un'altra strada per farlo.
Camminai verso il mare e mi tuffai in acqua.
Nuotai, l'acqua fredda mi dava un senso di sollievo sul corpo ma sentivo il petto gelarmi ad ogni bracciata.
"Non mi sto facendo del bene in questo momento lo so, ma non ho altra scelta".
Arrivata abbastanza a largo, o perlomeno così mi sembrava, mi lasciai andare.
Chiusi gli occhi e cercai di portarmi più aria nei polmoni possibili.
Scesi giù negli abissi, a peso morto, speranzosa di ricordare una sensazione simile passata.
Nulla.
Completamente nulla.
Aprii gli occhi ed era tutto così blu. Blu notte, quasi nero.
Era un colore che probabilmente avevo visto tante volte nella mia vita, per forza pensai, lì in quelle camere di tortura doveva essere tutto così cupo.
Mi portai istintivamente le mani alla testa e sorrisi.
I delfini. I miei delfini.

***
Correvo intorno ad un enorme piscina. Non riuscivo a vedermi ma era una bambina, di nuovo, e sorridevo. Sorridevo tanto.
C'erano altre persone vestite di blu, con quelle tutine aderenti, come i signori di zoo marine.
Mi avvicinai ad uno di loro e quel ragazzo dagli occhi azzurri mi prese in braccio e mi avvicinò ad un cucciolo di delfino.
- Guarda papà! Guarda come è bello.
Vidi un uomo avvicinarsi, sicuramente era mio padre, che mi accarezzò i capelli.
- Ti piacciono?
Annuì con la testa continuando a fissare quell'esemplare meraviglioso.
- Voglio diventare loro amica, come si fa?
Il ragazzo a cui ero vicina mi disse: basta studiare tesoro, e vedrai che con impegno ti conquisterai la loro fiducia da grande.
Allargai le braccia, volevo un abbraccio di incoraggiamento.
- Si, voglio diventare una biologa marina, come te.

***
Iniziai a tossire.
Maledizione da quanto tempo ero scesa?
Iniziai velocemente a nuotare verso la superficie, anche se velocemente non era il termine esatto.
Stavo ingerendo acqua nei polmoni me lo sentivo, quindi dovevo sbrigarmi a tutti i costi o sarei rimasta lì, e nessuno mi avrebbe mai ritrovata.
Pensai a mio padre. Dovevo farlo per lui, in qualche modo mi aveva ridato la libertà, non potevo lasciarmi andare.
Quando misi la testa fuori dall'acqua ogni molecola del mio corpo mi disse basta. Non ce la faceva più. Stavo male, dovevo accettarlo, riposarmi, recuperare le forze. Non potevo gettarmi in mare, rischiare di soffocare per avere dei ricordi. Non era naturale.
Eppure non mi veniva in mente altro. Io avevo bisogno delle miei radici, volevo sapere chi ero, anche se poteva farmi del male.
Ero sola. E senza memoria. E ripetitivamente ogni giorno della giornata non facevo che chiedermi "ma dove diavolo sono?"
Dolore. Non provavo altro che dolore. E sicuramente ogni mia sensazione in quel momento era dovuto alla febbre che si stava decisamente alzando.
Raggiunsi la riva praticamente strisciando, ero tutta completamente bagnata, infreddolita, e tossivo.
Cucciola mi vide e dall'aspetto che anche lei aveva, doveva esser stata in pena per me.
"Sono un'egoista". Pensai.
Stavo rischiando di morire e di abbandonare a se stessa, di nuovo, la mia piccola cagnolina. Anche lei, soffriva. Anche lei era stata sicuramente abbandonata. E avevo bisogno di me.
Basta con le iniziative senza senso.
Ricapitolando mi ero gettata per due volte alla ricerca di un posto sconosciuto con una zattera, senza cibo, alla deriva completamente. Ritrovandomi per ben due volte negli abissi del mare.
E avevo adesso, deciso di provare un senso di soffocamento solo per ricordare.
Si, ma cavolo avevo ricordato dei delfini. Dei bellissimi delfini. Ed ero una bambina, ancora una volta. Probabilmente l'acqua questo mi ricordava. I delfini. E la felicità.

***
- Adesso vai, è giunto il momento, segui il mio collega.
Vorrei raccontarvi chi era il signore amico di mio padre che alla ceca seguii, ma non lo ricordo minimamente.
Mi chiese di entrare all'interno di qualcosa, che aveva l'aspetto di essere una navicella simile a quelle dei film di fantascienza forse.
Ricordo il bacio veloce di mio padre sulla guancia, e il mio saluto con la mano che feci per rispondergli mentre ero completamente stordita e fuori dal mondo.
- Ciao, mia piccola ...
Disse il mio nome.. Sisi lo disse.
Ma accidenti non lo ricordo!.
***

La ragazza senza nomeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora