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le mani di changbin si erano spostate sui fianchi di felix che carezzava come se fosse la cosa più splendida del mondo perché per lui in quel momento lo era, davvero.
era splendido perché lo stava tenendo stretto a sé, aveva ricambiato il bacio anche se changbin lo aveva trattato male tutte quelle volte, anche se gli aveva augurato di morire; aveva ricambiato il bacio, nemmeno il moro ci credeva.
nemmeno il moro pensava al fatto che un giorno si sarebbe ritrovato a pensare quanto fosse fortunato ad aver conosciuto lee felix, ad essere al suo fianco. così cieco e convinto di odiarlo, si era lasciato trasportare in un futuro dove il più piccolo non c'era, e sinceramente non gli piaceva, lo spaventava.
aveva detto di odiarlo, che avrebbe preferito se non fosse mai esistito; che nullità come lui non avrebbero mai ricevuto nulla dalla vita, avrebbero fatto prima solo a togliersi la vita. solo a pensarci, in quel momento, gli si spezzava il cuore per quanto era stato cattivo.
tutte quelle incertezze, tutti quei 'io lo odio, vero?' e quei 'io non voglio baciarlo, vero?' parevano essere scomparsi una volta che le loro labbra si erano scontrate in un dolce bacio, e mai sarebbe stato qualcosa di spinto, mai il maggiore sarebbe andato oltre senza l'approvazione del ragazzino al suo fianco.
in quella serata d'inverno inoltrato seo changbin e lee felix si erano baciati, questo rimbombava nelle pareti delle menti di entrambi, proprio come il susseguirsi degli schiocchi provenienti dai loro baci.
magari non sarebbero mai diventati nulla, magari avrebbero potuto diventare arte, ma solo se si fossero scontrati e riscontrati, come i colori di un dipinto su tela: il giallo, il viola, il bianco, magari il rosso e l'arancione.
perché in quei baci, in quei piccoli sorrisi e quei respiri affannati non c'era nulla di male, erano solo due ragazzini che avevano deciso di sperimentare quella sensazione chiamata amore, quante volte quest'ultima era passata nella mente di changbin.
avrebbe dovuto associarla a sooyoung, la ragazza di cui sarebbe dovuto essere follemente pazzo, ma pensando a lei non riusciva a fare altro se non essere spaventato, spaventato perché non era chi voleva al suo fianco. quante volte, così tante da essere impossibili da ricordare, changbin aveva baciato sooyoung e aveva pensato a come si sarebbe potuto sentire se lui e felix si fossero baciati.
felix lasciò dei piccoli baci sulla guancia del più grande, strofinando la punta del suo nasino contro di essa e pensando a quanto fosse stato bello aver avuto l'onore di essere tra i pensieri del moro, per almeno qualche secondo. e nemmeno che finì di pensarci che si ritrovò, nuovamente, con le labbra attaccate a quelle di changbin, mentre si muovevano in un bacio casto.
i loro cuori parevano essere tutt'uno, felix nel suo stomaco sentiva le farfalle, se non un intero zoo o una galassia, così tante troppe emozioni nel lasso di poco tempo. era così felice, si sentiva così bene quando si trattava del diciottenne; e ne era stato il suo arsenico ma alla fine era stato quello che lo aveva fatto sentire meglio, l'unica persona capace di strappargli un sorriso o di portarlo via da tutti i problemi che aveva.
con changbin sopra di lui che lo guardava negli occhi e solo la luce della lampada a fargli da compagnia, la tranquillità di mezzanotte passata e l'unico rumore udibile che ascoltava era quello del suo cuoricino, si sentì a casa.
era quella l'ospitalità che aveva sempre cercato, anche nei piccoli gesti ma che mai aveva trovato; ricordava bene come guardava i suoi genitori che, prontamente, lo trascuravano e ignoravano ogni sua richiesta, come 'potrei comprare lo zucchero filato?' o 'potrei darvi un abbraccio?', tanto la risposta era sempre la stessa, no.
ricordava anche quando, qualche mese prima, aveva chiesto loro se ci tenessero a lui e la risposta era stata sempre quella, no, loro non ci tenevano a lui. e si era sentito male, non l'aveva mostrato però. aveva annuito, sorriso e detto un piccolo 'grazie', un sussurrio quasi impercettibile. perché avrebbe dovuto piangere? non sarebbe cambiato nulla, anche se gli occhietti erano lucidi e faceva fatica a respirare era okay, sarebbe passato anche quello.
e ricordava pure quando vedeva tutti i suoi amici avere tanti giocattoli e lui, nonostante ne avesse sette di anni, non ne aveva nemmeno uno perché considerato dalla sua famiglia 'troppo grande'. già, non poteva mica giocare, lui, era grandissimo.
si portò le manine sugli occhietti, se avesse potuto se li sarebbe strappati pur di non vedere quei ricordi, si sarebbe ucciso pur di non riascoltare o immaginare i suoi genitori che lo deridevano, lo facevano sentire come una persona di merda, come qualcuno che avrebbe meritato il nulla.
« felix? » aveva sussurrato changbin, troppo tardi, quando i ricordi riaffioravano non poteva fare a meno che incolparsi e pensare a quanto fosse stupido, stupido perché la colpa era solo sua. come sempre. ma come voleva andare avanti, come, se pensava ancora a ciò che avevano detto i suoi genitori? se pensava al ' tu non sei nostro figlio, sei un fottuto mostro ' tuonato con così tanta facilità?
« io- io non volevo, non volevo... mi dispiace essere così, sul... sul serio... » la vocina tremava, tu non sei nostro figlio, sei un fottuto mostro. era un mostro. changbin aveva provato a toccarlo, a portare le mani sulle sue guance, nella speranza di calmarlo, ma in cambio aveva ricevuto una risposta che non si sarebbe mai aspettato, soprattutto se detta da quel ragazzino così piccolo e che si ostinava ad avere sue attenzioni.
« non toccarmi! sono un fottuto mostro, io... per favore- changbin, non toccarmi, non voglio ferirti... » si era allontanato bruscamente, indietreggiando e il maggiore si soffermò sul suo viso. era così spaventato, la bocca era leggermente aperta e delle lacrime avevano sporcato le sue meravigliose guance; cosa gli era successo, tutto d'un tratto? e se fosse stata sua la colpa?
a vederlo così - mentre pregava di non essere toccato e tremante - gli fece male il petto, non gli piaceva vederlo mentre piangeva, felix era molto più bello da sorridente, magari mentre si nascondeva per non far vedere il rossore sulle sue guanciotte o mentre rideva, dopo aver detto qualche battuta imbarazzante, proprio come quelle che diceva all'inizio.