Capitolo 5

267 8 0
                                    

MICHA

Eccola, la ragazza che conoscevo. Si vede dai suoi occhi verdi che si sta eccitando. È sempre stata così particolare... la velocità, il pericolo, le hanno sempre fatto accendere il motore. Poi ho dovuto rallentare e tutto il calore si è dissolto. Si mette la cintura e mormora qualcosa a proposito della Ella che conosco, dicendo che se n'è andata per sempre, ma io la farò riemergere. Ho grandi progetti per riportare indietro la mia migliore amica, che le piaccia o no. Indossa una gonna corta e una canottiera abbastanza aderente da mettere in risalto le curve. Il fatto di non poterla toccare mi sta facendo impazzire.

«Cos'è successo al piazzale?», chiede mentre passiamo davanti al luogo in cui parcheggiavamo durante i giri del paese. «Sembra che non si possa nemmeno più prendere la strada che conduce su alla baia».

«Puoi, se ci vai a piedi o hai una macchina con quattro ruote motrici e ti arrampichi sulla collina». L'accesso al piazzale è bloccato da un largo recinto, così che le macchine non possano raggiungere la strada sterrata che conduce a un'area isolata vicino al lago. «L'hanno chiuso dopo aver beccato un gruppo di gente per detenzione di droga e alcol».

«Qualcuno che conosco?», si informa, fingendo indifferenza.

Faccio tamburellare le dita sul volante. «Sì, sei seduta a fianco di uno di loro. Ma io solo per l'alcol».

La sua amica sobbalza sul sedile posteriore e colgo Ella ad alzare gli occhi al cielo di nascosto.

«Cosa ti hanno dato?», chiede con nonchalance.

«Libertà vigilata e obbligo di frequentare un corso per imparare a gestire la rabbia». Rispondo con altrettanta indifferenza.

Volta la testa verso di me. «Corsi per imparare a gestire la rabbia?»

«Ho anche dato un pugno in faccia a Grantford Davis», spiego. «Abbastanza forte. Gli ho rotto il naso e tutto il resto».

L'altra ragazza trasalisce di nuovo e io mi chiedo come faccia Ella a essere sua amica. Sembra una principessa naïf.

Ella mi studia intensamente con i suoi bellissimi occhi, che rivelano sempre quello che sta pensando. «Perché l'hai picchiato?»

«Credo che tu sappia perché». Sostengo il suo sguardo con decisione.

«Sono stata io a chiedergli di accompagnarmi sul ponte, Micha», lo dice come se si sentisse soffocare. «Non è stata colpa sua. Lo stava facendo solo come favore».

«Non avrebbe mai dovuto lasciarti là da sola». Metto la freccia, svoltando in una strada sterrata che porta a un campo di erba alta e secca. «Non in quelle condizioni. Riuscivi a malapena a pensare lucidamente. Almeno ti ricordi qualcosa di quella notte?».

Gioca con una fila di bracciali sul polso. «Non ne sono sicura».

«Non ne sei sicura?», chiedo con tono accusatorio. «O non vuoi ammetterlo?».

Lei fa per aprire la bocca, ma poi serra di colpo le labbra, e si volta verso il finestrino, congedandomi e ponendo fine alla conversazione.

ELLA

La notte in cui andai al ponte ero stata di umore strano per tutto il giorno. Mia madre era morta qualche settimana prima e io non riuscivo a liberarmi dall'orribile sensazione che avevo nel petto e volevo che se ne andasse. Di brutto. Quindi adottai misure drastiche e decisi di seguire le orme di mia madre per una notte. La mia mamma non era terribile. Aveva i suoi momenti buoni, ma ne aveva anche molti cattivi. Quando era serena, era fantastica... mi divertivo un sacco. Almeno, questo era ciò che pensavo quando ero piccola. In ogni caso, quando diventai più grande, realizzai dolorosamente che non era normale andare a fare spese folli, scappare nel mezzo della notte per fare un giro in macchina, fingere di poter volare...

Non lasciarmi andareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora