Capitolo 11

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ELLA

Il mattino dopo Lila sta molto meglio. Come se la notte scorsa non fosse mai esistita, ma mi domando se non sia una recita.
«Ho la sensazione che oggi sarà una giornata piena di arcobaleni e di sole», dice allegramente mettendosi il rossetto davanti allo specchio sull'anta dell'armadio.
Nonostante le mie lamentele, ha tolto alcuni dei miei bozzetti, così da poter vedere il proprio riflesso. «Vedere cosa?», le ho chiesto e lei ha riso, confusa.
«Sei sballata?», la punzecchio mentre raccolgo i capelli dietro alla testa e li fermo con una molletta.
Lei resta immobile, guardandomi da sopra la spalla. «Perché fai sempre domande così?».
Mi infilo gli stivali e stringo i lacci. «Che tipo di domande?».
Si tampona le labbra. «Ogni volta che sono felice, mi chiedi se sono ubriaca o fatta. La gente può essere felice anche senza fare uso di sostanze».
Aggancio l'orologio al polso. «La maggior parte della gente, ma non tutti».
Lila si infila un orecchino di diamanti. «Sei molto carina oggi».
Guardo il vestito nero e viola che indosso e gli stivali ai piedi. «Mi sono scordata di fare il bucato e devo mettere i miei vecchi vestiti, che non si abbinano a nessuna delle scarpe nuove».
«Be', stai bene». Fa una lunga pausa. «Quindi cosa c'è in programma per oggi?»
«Dipende da cosa farai tu», replico. «Cosa... Dove hai intenzione di stare?».
Chiude il telefono e poi lo butta sul letto. «Mi piacerebbe rimanere con te per un po', se non ti dispiace. Potremmo uscire insieme. Non ho programmi per l'estate e non tornerò a casa».
«Vuoi dirmi cosa è successo?»
«No, non credo».
«Okay... bene, io devo trovare un lavoro», dichiaro. «Devo risparmiare per il resto della retta scolastica, dal momento che sembra che non otterrò quello stage».
Si mette una fascia nei capelli. «Quello al museo d'arte».
«Proprio quello, e non inizia fino a metà giugno», spiego. «Ma mancano solo cinque settimane, quindi suppongo che me l'avrebbero fatto sapere, se l'avessi ottenuto».
«Non si può mai dire. A volte quel genere di cose si muove con lentezza». Piega una maglietta e la infila in borsa, poi si annoda un nastro sul retro della camicia. «Comunque, se lo ottenessi, significherebbe che dovresti tornare a Las Vegas, giusto?».
Annuisco e mi dirigo verso la porta. Due settimane fa, l'idea di tornare nel deserto mi avrebbe reso felice, ma adesso le cose sono cambiate. Voglio ancora andarci, ma partire sarebbe un pochino più difficile.
Prendo il mio telefono dalla cassettiera e noto l'icona della segreteria che lampeggia sullo schermo... i messaggi inascoltati di Micha. Il mio dito si sposta sopra il tasto, mentre entro in corridoio. Ha detto che non ero pronta per ascoltarli? Ma ora lo sono?
«Non so perché credi che sia così brutto stare qui». Lila mi segue. «Va bene, la gente è un po' grezza, ma non sono tutti così male e il marcio è ovunque. Non puoi evitarlo».
«Molto perspicace». Chiudo il telefono e lo metto via. «Il male arriva sotto aspetti differenti», continua Lila. «Può essere uno spacciatore di droga all'angolo della strada o gente ricca e corrotta o perfino un semplice stronzo».
Non so molto di Lila, a parte che è ricca, che suo padre è un avvocato e sua madre non lavora. Le piacciono i vestiti, va forte con i numeri ed è stata la sola ragione per cui sono riuscita a passare l'esame di Introduzione all'Analisi.
La porta della camera di mio fratello è aperta e lui esce mentre passiamo. Indossa una polo nera e rossa e un paio di pantaloni cargo. Ha del gel nei capelli, che sembrano lucidi.
«Ehi, hai visto papà?», chiede, lanciando uno sguardo di saluto a Lila.
Indico la porta chiusa alla fine del corridoio. «Penso di averlo sentito rientrare tardi la scorsa notte e poi si è chiuso in camera sua».
«Sì, ma stamattina si è alzato». Si appoggia allo stipite e incrocia le braccia. «L'ho sentito incespicare in quel bagno e piangere tutta la notte, ma ora non riesco a trovarlo e non l'ho sentito uscire. Hanno chiamato dal lavoro dicendo che non si è fatto vivo, quindi non è là».
Stringo i pugni e le unghie penetrano nei palmi. «Hai controllato in bagno?».
Lo sguardo di Dean vaga lungo il corridoio e si ferma sulla porta del bagno, poi scuote la testa. «Non l'ho fatto e non voglio farlo». «Ciao, sono Lila», si presenta la mia amica porgendogli la mano. «Tu devi essere il fratello di Ella, Dean».
Dean sembra vagamente divertito, e le stringe la mano. «Sì... com'è che conosci Ella?»
«Sono stata la sua compagna di stanza», risponde, premendosi la mano sul petto e fingendo di essere offesa. «Non mi ha mai nominato?»
«Noi non parliamo molto». Guardo di nuovo la porta del bagno e sento un nodo allo stomaco. «Dobbiamo trovare papà».
«Non guarderò in quel bagno, Ella, ma se vuoi, fai pure».
Con le gambe molli come spaghetti scotti, cammino lungo il corridoio buio, mi fermo di fronte alla porta, e rivivo in un flashback il giorno in cui morì mia madre. La porta era chiusa e la casa silenziosa, eccetto che per il suono dell'acqua che scorreva. Mi tremano le mani mentre apro la porta.
La stanza è sgombra, la vasca vuota e il pavimento di piastrelle è pulito, a eccezione di una piccola macchia. Non ci sono asciugamani sui ganci e lo specchio sul muro di fronte riflette la mia immagine. I capelli castano ramato sono perfettamente arricciati, le labbra velate di gloss e i miei occhi verdi sono immensi e rivelano ogni cosa.
«Papà non è qui», dico a mio fratello, incapace di distogliere lo sguardo dallo specchio. «Sei sicuro di non averlo sentito uscire di casa?» pavimento sono ingombri di scatole e la tenda aperta lascia entrare la luce del sole. «La suonavo, ma ora non lo faccio più molto spesso. Ho un lavoro e una fidanzata».
«Fidanzata?», chiediamo io e Lila simultaneamente.
«Sì, visto che siamo fidanzati». Dean alza di nuovo gli occhi al cielo e torna nella sua stanza. «È quello che succede quando due persone escono insieme per lungo tempo».
«Perché non me l'hai detto?», chiedo, seguendolo in camera sua.
Lui prende una piccola scatola e la lascia cadere sul pavimento. «Ti importa veramente?».
Sposto con cautela la scatola con il piede. «Sei mio fratello. Certo che mi importa».«Ma il nostro rapporto non ha mai funzionato in questo modo», fa notare. «Non ti parlo da un anno. Dio, nemmeno sapevo fossi andata al college, fino a una settimana fa».
Ha ragione, ed è triste. Lo conosco appena, lui mi conosce appena, e comincio a pensare che nemmeno io mi conosco bene.
«Papà lo sa che sei fidanzato?», chiedo. «Avevi almeno intenzione di dirglielo?»
«Anche se glielo dicessi, lo dimenticherebbe il giorno successivo». Svuota un cassetto di vestiti in una grossa scatola aperta e poi rimette a posto il cassetto. «Sai com'è fatto. Cristo, penso che per metà del tempo non sappia nemmeno che io e te non viviamo più qui». «Si merita ancora che gli venga detto», affermo. «Non è un uomo cattivo e lo sai. Ha semplicemente dei problemi».
«Problemi che hanno incasinato la nostra infanzia». Dà un calcio violento a una scatola, che si schianta contro il muro. «Ti rendi conto che il modo in cui siamo cresciuti non è normale? Dio, perfino per Micha è stato più facile: suo padre l'ha abbandonato, ma almeno ha una madre equilibrata che si prende cura di lui».
«Ehmm...». Lila fa capolino nella stanza. «Credo che ti aspetterò fuori, Ella».
Dio, mi sono completamente dimenticata che lei era lì e che stava ascoltando tutto. «Okay, scenderò fra un secondo», le dico, e lei se ne va alla svelta. Mi aggiro per la stanza di Dean, osservando le foto appese alle pareti. «Penso che potremmo averla spaventata a morte».
Dean raccoglie le bacchette della batteria e le mette in una grossa borsa da viaggio. «Okay, devo chiedertelo. Come hai fatto a diventare sua amica?»
«Eravamo compagne di stanza e abbiamo legato». Mi stringo nelle spalle, prendendo una foto che ritrae Dean e i suoi amici su una spiaggia assolata. È stata fatta durante una gita scolastica dell'ultimo anno e lui sembra felice.
«Avete legato», ripete in tono accusatorio. «Quella ragazza sembra una principessa viziata».
Osservo i suoi vestiti alla moda. «Anche tu».
«Prima di tutto, io non sono una principessa e mi sono guadagnato quello che ho», ribatte. «Nessuno mi ha regalato niente».
«Magari nemmeno a lei».
«Davvero?».
Odio dover concedergli che ha ragione. «No, i suoi genitori stanno abbastanza bene».
Mi guarda con quella stupida espressione arrogante che assume quando ammetto che ha ragione. «Ecco, hai visto?»
«È gentile», protesto. «E non mi fa troppe domande».
«Sembra che tu abbia la necessità di tenere le tue cose per te», replica, mettendo una coperta in una scatola. «Ma non fa bene. Devi trovare qualcuno con cui poter parlare. O finirai per perdere tutto».
Il mio sguardo si sposta verso la finestra da cui si intravede la casa di Micha. «Credo di averlo già fatto».
Dean corruga la fronte, mentre lascia cadere una manciata di plettri in un baule. «Hai perso tutto? O hai parlato di te con qualcuno?»
«Entrambe le cose». Mi volto verso la porta. «Quando tornerai a Chicago?»
«Spero entro stanotte. Senza offesa, ma questo posto mi riporta alla mente troppi ricordi spiacevoli».
«Cerca di salutare prima di andare via».
Lui non risponde e io non rimango ad aspettare una conferma. Questa, probabilmente, è stata la conversazione più lunga che abbiamo mai avuto e qualcosa mi dice che sarà l'ultima che avremo per molto tempo.

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