Capitolo 7

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ELLA

Dean sta ascoltando la sua musica a tutto volume al piano di sopra facendo tremare il soffitto. Comincio a raccogliere i rifiuti in cucina, evitando di confrontarmi di nuovo con lui. Appoggio il bidone della spazzatura contro il fianco e allungo il braccio verso il bancone, buttando dentro una fila di bottiglie. Tolgo il sacco e lo chiudo con i lacci, tenendolo lontano da me. «Dio, se puzza».
«Ancora a pulire quello che lascia in giro papà, vedo». Dean entra in cucina. Indossa un paio di pantaloni sportivi e una camicia button-down, con le maniche arrotolate fino ai gomiti. I capelli castano scuro sono tagliati corti e si vede la cicatrice sulla fronte, dove l'ho colpito per caso in uno stupido incidente avvenuto mentre giocavamo a baseball con il palo di una tenda e una palla da basket. «Non cambia niente qui, anche se stai via per un anno». Apre il frigorifero e si prende una birra. «Anche se tu sembri diversa. Ti sei finalmente data una regolata?»
«Ti interessa davvero sapere se l'ho fatto?». Trascino il sacco della spazzatura verso la porta sul retro. «Credo che tu sia stato perfettamente chiaro l'ultima volta che sei stato qui, dicendo che non te ne frega una sega di quello che mi succede».
Fa saltare il tappo della bottiglia. «Ancora con quella storia?»
«Mi hai detto che ho ucciso nostra madre», replico con calma. «Come potrei passarci sopra?».
Lui beve un sorso di birra e scrolla le spalle. «Pensavo che fossi partita così da poter andare avanti con la tua vita».
Faccio un respiro profondo. «Non sono andata avanti. Ho mollato tutto, proprio come te».
«Sono scappato per la stessa ragione per cui l'hai fatto tu, perché stare qui significa convivere con il passato e il nostro passato è del tipo che bisogna mettere sotto chiave e non tirar fuori mai più». «Ti riferisci al fatto di convivere con la morte di mamma. E al fatto che è morta per colpa mia. O che sono responsabile della sua morte».
Stacca l'etichetta della bottiglia di birra. «Perché devi sempre essere così schietta su ogni cosa? Fa sentire la gente a disagio».
Sto tornando a comportarmi nel vecchio modo e ho bisogno di riprendere il controllo di me stessa. Apro la porta e butto l'immondizia sui gradini. «Vuoi andare a cena o da qualche altra parte? Potremmo andare ad Alpine, dove nessuno ci conosce davvero».
Scuote la testa, trangugia il resto della birra e butta la bottiglia vuota nella spazzatura. «L'unico motivo per cui sono tornato qui è per prendere il resto della mia roba. Poi me ne vado. Ho cose da fare che sono più importanti di drammi familiari e padri ubriachi».
Mi lascia in cucina e pochi secondi dopo la musica è di nuovo a tutto volume. È un ritmo in levare e mi fa andare fuori ti testa, quindi accendo la radio e sparo a palla Shameful Metaphors dei Chevelle.
Inizio a spazzare la cucina, evitando di pensare alle parole di mio fratello. Gli è sempre piaciuto farmi le pulci, ma al funerale ha passato il limite e non si può più tornare indietro.
La porta sul retro si spalanca e, insieme a una folata di vento, entra mio padre, incespicando. Ha le scarpe slacciate, i jeans strappati e la camicia rossa è macchiata di sporco e grasso. La mano è avvolta da uno straccio vecchio inzuppato di sangue.
Lascio cadere la scopa sul pavimento e corro verso di lui. «Oh mio Dio, stai bene?».
Lui si sposta e annuisce, barcollando verso il lavello. «Mi sono solo tagliato al lavoro. Niente di grave».
Abbasso la radio. «Papà, non avrai bevuto al lavoro, vero?».
Apre il rubinetto e la testa gli ricade in avanti. «Io e i ragazzi ci siamo fatti un paio di shot in pausa pranzo, ma non sono ubriaco». Toglie lo straccio e caccia la mano sotto il getto, sospirando di sollievo quando l'acqua si mischia con il sangue. «Tuo fratello è a casa? Credo di aver visto la sua macchina nel vialetto».
Prendo un tovagliolo di carta e asciugo le gocce di sangue cadute sul bancone e a terra. «È di sopra a imballare della roba».
Tampona la mano con un asciugamano di carta, facendo una smorfia. «Be', va bene, credo».
Mi piego in avanti per esaminargli la mano. «Devo portarti dal dottore? Sembra che ci sia bisogno di qualche punto».
«Starò bene». Afferra una bottiglia di vodka, ne beve un sorso e poi ne versa un po' sulla mano.
«Papà, cosa stai facendo?». Allungo la mano verso il kit di pronto soccorso sopra il lavello. «Usa l'alcol disinfettante che c'è qui dentro». Respirando a denti stretti, avvolge la mano con un asciugamano di carta. «Guarda, come nuova».
«Può ancora infettarsi». Tiro fuori il kit e lo appoggio sul bancone. «Dovresti davvero lasciare che ti porti da un dottore».
Mi fissa per un momento, con gli occhi pieni di angoscia. «Dio, le assomigli così tanto, è assurdo...». Esce dalla porta trascinando i piedi e si infila in soggiorno. Qualche secondo più tardi, sento la televisione che si accende e l'aria si riempie di fumo.
Emozioni represse vengono a galla, mentre rimetto il kit di pronto soccorso nella credenza. Alzo il volume della musica e soffoco il dolore, tenendomi impegnata con i piatti. Il telefono vibra nella mia tasca e mi asciugo le mani con uno strofinaccio prima di controllare i messaggi. Ci sono quelli di ieri di Micha in segreteria, che non ho ancora ascoltato, e un nuovo sms inviato da lui. Il messaggio scritto sembra il meno pericoloso. Mi tremano le mani mentre lo leggo e lo rileggo, poi, alla fine, rispondo. Butto il telefono sul bancone e mi concentro sulle pulizie, perché è semplice. E semplice è proprio quello che voglio.

MICHA

Irrompo in casa di Ella. È successo qualcosa di brutto, probabilmente a causa di quello stronzo di suo fratello. Ella sta strofinando i piani della cucina con la stessa energia di un batterista. Ha i capelli raccolti, ma qualche ciocca sciolta le cade sul viso. La musica è accesa, quindi non mi sente entrare. Mi avvicino a lei da dietro, vorrei toccarla e invece abbasso la musica.
Lei lascia cadere l'asciugamano di carta che sta stringendo e si volta. «Mi hai spaventato a morte». Si preme la mano sul petto. «Non ti ho sentito entrare».
«Mi sembra ovvio». Scruto i suoi occhi verdi, colmi di sofferenza.
Gioca nervosamente con una pila di piatti e poi li trasferisce nella credenza, prima di tornare al lavello. È preoccupata per qualcosa ed è troppo carica di energia. Sua madre era in quella condizione molto spesso. Ma Ella non è sua madre, che se ne renda conto o no.
Le tolgo i piatti dalle mani e li sistemo nel lavello. «Vuoi dirmi cosa ti agita così tanto?».
Picchiettando le dita su una gamba, lei scuote la testa. «Non avrei mai dovuto mandarti quel messaggio. Non so perché l'ho fatto».
Cerca di allontanarsi da me ma io le afferro l'orlo della camicia. «Ella May, smettila di parlarmi come se fossimo soci in affari. Ti conosco meglio di chiunque altro e so quando qualcosa ti preoccupa».
«Ho detto che sto bene». La voce è tesa, mentre si sforza di reprimere le lacrime. La ragazza non si è mai lasciata andare al pianto, nemmeno quando è morta sua madre.
«No, non stai bene», la prendo per le spalle, attirandola a me. «E hai bisogno di sfogarti».
Lei fissa il pavimento. «Non posso».
Le infilo il dito sotto il mento e le sollevo la testa, guardandola negli occhi. «Sì, puoi. Ti sta uccidendo dentro».
Le tremano le spalle e lascia cadere la testa contro il mio petto. Io le accarezzo la schiena e le dico che andrà tutto bene. Non è molto, ma, per il momento, è abbastanza.
Alla fine si tira indietro e il suo viso è indecifrabile. «Dov'è Lila?»
«L'ho lasciata con Ethan in officina». Mi siedo al tavolo della cucina,coperto di bollette ancora chiuse. «Dovrebbe tornare qui, quando la macchina sarà a posto».
Lei guarda fuori dalla finestra, persa nei suoi pensieri. «Potrebbe tornare a casa sua subito dopo che Ethan avrà finito. Non c'è bisogno che torni qui».
«Dove vive?»
«In California».
«Allora probabilmente non dovrebbe partire stasera». Guardo dalla finestra il sole che tramonta dietro le basse colline. «È tardi e guiderà da sola, giusto?».
Ella annuisce, smarrita, mentre arrotola i capelli intorno a un dito. «E mi preoccupa il fatto che debba fare il viaggio da sola. Nel senso che ha quasi perso la testa quando abbiamo incontrato Grantford all'area di servizio vicino al lago».
Le mie dita si stringono intorno al bordo del tavolo. «Avete incontrato Grantford?».
Ella toglie la mano dai capelli e la lascia cadere lungo il fianco. «Sì, ma non è stato granché. Lui si è comportato come al solito e sai com'è».
Libero il tavolo dalla mia stretta mortale, cercando di scacciare la rabbia. Non importa quello che dice Ella, Grantford non avrebbe mai dovuto lasciarla sul ponte quella notte, dato che lei era così fuori.
Allungo le gambe davanti a me e cambio argomento. «Ma come hai fatto a diventare amica di Lila?».
Lei si morde il labbro, pensando. «Eravamo compagne di stanza». Si stringe nelle spalle, liberando il labbro dalla stretta dei denti e io divento matto perché tutto quello che vorrei è poterlo mordere a mia volta. «Era molto carina e diversa da tutti i miei amici qui e io volevo cambiare».
Mi allontano dal tavolo e mi metto di fronte a lei. «Cambiare va bene, ma chiudersi completamente è tutta un'altra storia, Ella, hai mai... Hai mai parlato con qualcuno di quello che è successo a tua madre?».
Le sue spalle si irrigidiscono e lei si volta verso la porta, preparandosi ad andare via. «Non sono affari tuoi».
Le sbarro la strada. «Sì, lo sono.Ti conosco da sempre, quindi ho pieno diritto di sapere cosa hai in testa».
Socchiude gli occhi e mette le mani sui fianchi. «Togliti di mezzo, Micha Scott».
«Cos'è 'sta storia che usi il mio cognome?», chiedo. «Prima, quando ti arrabbiavi con me, mi chiamavi semplicemente stronzo».
«Non uso più quelle parole», risponde in tono distaccato. «Sono più gentile, ora».
«Davvero?», insinuo. «Perché di sicuro sembri sempre incazzata con me».
«Sto cercando di non esserlo», si infuria. «Ma tu non mi stai aiutando per niente».
«Va bene, hai bisogno di una pausa. Ne ho abbastanza della tua dannata cocciutaggine». La sollevo per la vita e me la carico sulle spalle.
Lei ansima sbalordita prendendomi a pugni sulla schiena. «Accidenti Micha, mettimi giù!».
Ignorandola, esco dalla porta sul retro e scendo lungo il vialetto. Mi viene in mente che potrei stringerle le chiappe, ma ho paura che possa mordermi... in ogni caso, non sembra una cattiva idea.
«Micha», protesta furiosamente. «Mettimi giù!».
Mia madre esce di casa mentre la porto in garage. Ha indosso un vestito nero un po' troppo corto per la sua età. I capelli con le mèches sono vaporosi come il pelo di un barboncino e il trucco è pesante. Deve avere un appuntamento. Si ferma sul primo gradino e inclina la testa di lato per avere una visuale migliore. «Ella, sei tu?».
Ella smette di agitarsi e solleva la testa per guardare mia madre.
«Salve, signora Scott. Come va?»
«Ciao, tesoro, bene... ma c'è un motivo per cui Micha ti sta portando in quel modo?», chiede. «Sei ferita?».
Ella scuote la testa. «No, sto bene. Micha pensa semplicemente di essere divertente».
Il che significa che sta segretamente apprezzando quello che faccio, ma non lo ammetterà.
«In effetti, la sto portando a fare un giro», dico maliziosamente, muovendo piano la mano sul retro della gamba di Ella, e lei mi dà uno schiaffo scherzoso sulla testa. «Ti sto portando a fare un giro in macchina. E tu pensi che sia io il pervertito?».
Mia madre sospira, scuotendo la testa, e apre la borsa. «Be', mi fa piacere vedervi di nuovo insieme».
Tira fuori le chiavi della sua auto e i tacchi ticchettano quando scende i gradini. «Sei mancata molto a Micha quando eri via».
«Ciao mamma», la saluto con la mano, dirigendomi di nuovo al garage, mentre mia madre sale sulla sua Cadillac, parcheggiata sulla strada accanto al marciapiede.
«Sta andando a un appuntamento?», chiede con curiosità Ella.
«È andata a un sacco di appuntamenti ultimamente». Apro la portiera della macchina e la metto sul sedile del passeggero.
Lei cerca di uscire. «Non andrò da nessuna parte stasera, Micha».
La spingo gentilmente contro il sedile. «Non ho intenzione di lasciarti seduta nella tua camera con il broncio, con tuo fratello lì intorno. Usciamo e andiamo a divertirci».
Si ferma, incrociando le braccia sul petto e le tette quasi schizzano fuori dal top. «Ma devo essere a casa quando tornerà Lila. Non posso lasciarla tornare da Dean e da mio padre svenuto sul divano».
«Ci penso io». Distolgo lo sguardo dalle tette, tiro fuori il cellulare e mando un messaggio a Ethan.
Porto Ella alla Back Road. Prendi Lila e ci vediamo là?
Ella si abbandona contro il sedile. «Che intenzioni hai?».
Alzo un dito. «Solo un secondo».
Mi arriva la risposta di Ethan: Certo, figo. E comincio a messaggiare con lui.
Io: A Lila va bene? E chiedi a lei. Non fare supposizioni.
Ethan: Dice che le va bene... ma Ella è d'accordo ad andare lassù?
Io: Vedremo quando arriveremo là.
Ethan: Amico, ti prenderà a calci.
Io: Ci vediamo là.
Infilo il telefono nella tasca posteriore dei jeans e chiudo la portiera di Ella prima di mettermi al posto di guida.
«Dove mi stai portando?», chiede, cercando di sembrare infastidita,ma la curiosità trapela dal suo sguardo.
«È una sorpresa». Una volta aperta la porta del garage, parto sgommando sul vialetto. «E ci incontreremo là con Ethan e Lila».
«Una sorpresa, eh?», ci pensa su. «Non sono un'amante delle sorprese».
Le mie labbra si allargano in un sorriso. «Sei proprio una bugiarda».
Lei rimane in silenzio, e io so di aver vinto questa partita, il che è raro, ma va bene così. Con una rapida sterzata, raddrizzo la macchina sulla strada, e faccio fischiare le gomme nella notte, felice di essere riuscito a rimuovere un piccolo pezzo dell'armatura che indossa.

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