MICHA
Ho dormito nel mio letto nell'ultima settimana, anche se il mio corpo preme per scalare di nuovo l'albero e introdurmi nella finestra della camera di Ella. Mi sta evitando da quando abbiamo pomiciato nella mia macchina. Credo abbia bisogno di tempo per mettere ordine fra i suoi pensieri, probabilmente la stavo soffocando.
Ella ha sempre avuto problemi con l'intimità e allontana le persone, incluso me, se provo a varcare il confine dell'amicizia. In effetti, ho dovuto faticare per diventare suo amico. Siamo vicini di casa da sempre, ma ho dovuto corromperla con un succo di frutta e una macchinina, per fare anche solo in modo che mi permettesse di scavalcare la recinzione per entrare nel suo giardino.
Ma è valsa la pena di aspettare. Quindici anni dopo, siamo ancora amici. Non riesco a immaginare la mia vita senza di lei, l'ho capito la notte in cui l'ho trovata sul ponte. Anche se sapevo che non avrebbe saltato, vederla in piedi sul parapetto mi ha fatto comprendere che voglio e ho bisogno che resti nella mia vita per sempre. Mi contesta, mi fa pressioni e mi fa incazzare, ma non vorrei mai che fosse diverso. Mi sveglio quando ormai è tardo pomeriggio. Sbatto gli occhi alla vivida luce del sole, porto le chiappe fuori dal letto e mi infilo una vecchia maglietta e un paio di jeans. Ethan e io stiamo ancora lavorando per sistemare la guarnizione della testata del motore della mia macchina, quindi gli mando un messaggio per dirgli che sono sveglio e pronto a cominciare. Entro in cucina e bevo il succo d'arancia direttamente dalla bottiglia.
Mia madre arriva aggiustandosi i capelli e mi rimprovera. «Micha Scott, quante volte ti ho detto di non fare quella cosa schifosa?». Porta via il succo e lo rimette nel frigorifero.
Mi asciugo il succo dal mento. «Credo si chiami udito selettivo».
Lei si allaccia i bottoni della giacca; è vestita per il suo lavoro diurno: fa la segretaria in una concessionaria. Ha anche un lavoro di notte, come direttrice di sala in un caffè. «Sei proprio un furbacchione». Solleva un reggiseno in pizzo rosso. «Okay, so di essere sempre stata una mamma disinvolta, ma trovare questo nel mio letto passa il limite».
«Non è tuo?». Prendo una confezione di cereali dalla credenza.
Mi guarda torva e lancia il reggiseno nella spazzatura dietro di lei. «Io ho molta più classe».
Pensando all'abbigliamento scadente che indossava l'altra sera, non posso fare a meno di ridere. «Questa è una novità per me». Mi molla con dolcezza un buffetto sulla nuca e io rido, sfregandomi come se mi avesse fatto male. «Se vuoi saperlo, avevo un appuntamento con un ragazzo molto carino quella sera, ma lui è un po' più giovane di me e stavo cercando di fare una buona prima impressione».
«Ecco perché eri vestita in maniera così dozzinale». Prendo una manciata di cereali dalla scatola e mi riempio la bocca. «Me lo stavo chiedendo».
«Non ero così male», protesta lei, afferrando le chiavi dal gancio sul muro. «No?».
Odio quando mi fa domande di questo tipo, alle quali non si può dare una risposta giusta. Alzo le spalle e ripongo i cereali nella credenza Lei prende una barretta al muesli. «Quindi Ella è tornata per restare, immagino».
Sgranocchio lentamente i cereali. «Sì, fino alla fine dell'estate».
Aspetta che io finisca di masticare. «Hai intenzione di dirmi dove è stata negli ultimi otto o nove mesi?»
«College», rispondo. «A Las Vegas».
«Wow, sono molto impressionata da questa risposta», dice mentre scarta la barretta al muesli. «Buon per lei».
Corrugo la fronte. «Perché? Ha mollato tutti».
«Non sto dicendo che il modo in cui l'ha fatto sia giusto, ma è una buona cosa che abbia deciso di andare da qualche parte nella vita».
«Ti ho detto che ho dei progetti. Devo solo trovare un modo per realizzarli».
Lei sospira e mi da un colpetto sulla testa, come se fossi ancora un bambino. «Ho paura che tu stia perdendo troppo tempo a inseguirla. Dovresti cercare di capire che forse lei non vuole essere presa, tesoro. Fidati di me. È qualcosa che io ho dovuto imparare con tuo padre». Si mette la borsa in spalla e fa tamburellare la punta delle dita sul bancone. «Micha, hai pensato a quello che ti ho detto l'altra notte?»
«Intendi con quel messaggio a caso che mi hai mandato?».
Sospira malinconica. «Mi dispiace di averti dato la notizia così. Avevo questo peso sul cuore da un po' e non riuscivo a trovare un modo per farlo. Sono andata in panico». China la testa. «Sono una madre terribile, vero?».
Scuoto la testa e la abbraccio, perché percepisco che ne ha bisogno. «Essere un terribile ambasciatore non fa di te una madre terribile. Ho sempre avuto un tetto sopra la testa e cibo per nutrirmi».
Lei mi abbraccia a sua volta. «Sì, ma a volte sento che avrei dovuto passare più tempo con te. Cioè, tutte le madri del mondo danno più di quello che do io».
I miei occhi si spostano oltre la sua testa, verso la finestra. La casa di Ella è proprio lì fuori, dimessa e malconcia. «Non tutte le madri, alcune non ci riescono».
Fa un passo indietro, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano. «Lo chiamerai?».
Guardo il numero di mio padre attaccato al muro accanto al telefono. «Non ho ancora deciso».
Si tampona sotto gli occhi con le dita, sistemandosi il trucco. «Assicurati di valutare la questione da entrambi i lati. So che non è mai stato presente nella tua vita, ma sembrava sincero al telefono. Credo voglia davvero vederti».
Mi sforzo di sorridere. «D'accordo, ci penserò».
Mio padre se ne andò quando avevo sei anni e non abbiamo più avuto sue notizie da allora. Mia madre andò a cercarlo subito dopo che lui era partito, ma tornò dicendomi che non era riuscita a trovarlo. Mi sono sempre chiesto se l'avesse rintracciato e non avesse voluto dirmi la verità.
Mia madre esce di casa e io mi rilasso sul divano appoggiando i piedi sul tavolo, mentre aspetto che Ethan si faccia vivo. Sto facendo zapping fra i canali, quando suona il telefono di casa.
«Pronto».
«Ehmm... Sei Micha?», risponde una voce.
«Sì... perché? Chi parla?».
Una lunga pausa riempie la linea e penso che lo svitato abbia attaccato.
«Sei lì?»
«Sì». Si schiarisce la voce. «Sono tuo padre».
Per poco non lascio cadere il maledetto telefono.
«Micha, sei tu, vero?». La sua voce suona vecchia e formale, e questo mi fa incazzare.
«Sì, sono io», rispondo, digrignando i denti.
«So che tua madre ha detto che mi avresti richiamato, ma c'è qualcosa di cui avrei bisogno di parlarti», dice. «E non può attendere».
Considero la sua richiesta. «Aspetto di parlarti da quasi quattordici anni. Credo che tu possa attendere ancora un pochino». Poi sbatto giù il telefono e do un pugno al muro.
Il cartongesso si sgretola sopra il bancone e il gancio, con le chiavi appese, cade sul pavimento.
«Cazzo!». Crollo a terra, sperando che nessuno entri e mi veda a pezzi.
Specialmente Ella.................................................................
Per chi è arrivato a leggere fino a questo capitolo mi farebbe piacere se metteste qualche like,grazie mille😘 spero lo farete 🙏
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Non lasciarmi andare
RomantizmA volte i sentimenti di una profonda amicizia vengono confusi e diventano qualcosa di più profondo e avendo paura che il legame si spezzi a causa di questo cambiamento scappi dalla tua città pensando di poter dimenticare tutto ma....una volta ritorn...