Capitolo 13

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MICHA

Ho deciso di dare una festa stasera, anche se non sono un fan delle feste. Non lo sono mai stato. Mi piacciono solo perché bloccano tutto il rumore che c'è dentro la mia testa, e la festa di stasera spero non faccia entrare il suono della voce di mio padre.
Quando è stato il momento di tornare a casa, Ella se l'è svignata, borbottando che doveva andare a cercare suo padre. Mi sono offerto di andare con lei, ma non ha accettato e si è portata dietro Lila.
L'ho lasciata andare perché ho capito che aveva bisogno di spazio. Mi stava bene che si prendesse un po' di tempo per stare per conto suo, purché non si trattasse di mettere tra di noi ottocento chilometri.
Io e Ethan smettiamo di lavorare sulla macchina per organizzare la festa, e dopo aver inviato un mucchio di SMS e aver ordinato un paio di barilotti di birra, siamo pronti per cominciare.
Ciondoliamo in cucina, in attesa che la gente cominci ad arrivare, quando inizia ad annuvolarsi e un tuono fa tremare i vetri delle finestre.
«Posso farti una domanda?», mi chiede Ethan all'improvviso. Tiro fuori dal frigo un burrito surgelato e lo metto in un piatto. «Certo. Che c'è?»
«Non fraintendermi», dice, dondolandosi sulla sedia. «Ma che cos'ha Ella? Perché sei così fissato con lei? Hai un milione di ragazze pronte a cadere ai tuoi piedi, e un tempo la cosa ti divertiva. Poi, all'improvviso, esiste solo lei».
«Non mi ha mai divertito avere milioni di ragazze che mi cadono ai piedi. La cosa mi ha sempre annoiato». Infilo il piatto nel microonde e premo il tasto di avviamento.
Lui afferra una manciata di patatine da una busta sul tavolo. «D'accordo, ma non hai risposto alla mia domanda».
Incrocio le braccia, sentendomi a disagio per quell'imbarazzante momento di intimità. «Non lo so bene. Ma perché t'interessa?»
«Sono solo curioso perché non me ne hai mai parlato».
«È vero, ma ci sono un sacco di cose di cui non parliamo».
Mentre le gambe della sua sedia toccano di nuovo il pavimento, dice: «Ascolta, non ti sto chiedendo di aprirti e rivelarmi i tuoi sentimenti, quindi smettila di guardarmi in modo strano. Vorrei solo capire, visto che vi conosco entrambi praticamente da sempre».
Il microonde suona e mi avvicino. «È dalla sera dell'incidente con lo snowboard. È stato allora che ho capito che le cose stavano diversamente». «Quando si è rotta il braccio?», chiede lui. «E hai dovuto potarla in ospedale?».
Annuisco. «E ti ricordi quando è caduta dal tetto, e visto che non si rialzava subito, qualcuno ha iniziato a urlare che era morta?»
«Ehi, ero ubriaco», protesta Ethan, perché era lui quello che urlava. «Mi sembrava morta».
«È stato allora che ho capito». Estraggo il burrito dal microonde e lo appoggio sul bancone della cucina. «Pensare che fosse morta è stata veramente la cosa più orribile che mi fosse mai capitata. Peggiore dell'idea che mio padre non sarebbe mai più tornato. Peggiore della mia stessa morte».
Ethan annuisce, cercando di dare un senso al mio borbottio.
«D'accordo...».
Chiudo sbattendo lo sportellino del microonde e mi siedo a tavola. «Ehi, te la sei cercata».
Lui tamburella con il telefono sul tavolo e dice: «Che ne pensi di Lila?»
«Sembra carina». Mi alzo per prendere una lattina dal frigo, e ne lancio una anche a Ethan. «E mi sembra interessata a te».
Tamburella con le dita sulla lattina e poi tira la linguetta. «Sì, ma mi conosce appena».
Mi siedo di nuovo e bevo la mia bibita. «Tutti ti conoscono appena».
Lui scrolla le spalle e guarda fuori dalla finestra. «Non ho mai capito davvero che senso abbia tutta questa storia del conoscersi».
Il telefono di casa squilla, interrompendo la nostra conversazione.
Mi divoro il resto del burrito mentre parte il segnale acustico della segreteria telefonica.
«Ehm... salve... questo messaggio è per Micha». È la voce di mio padre.
Resto paralizzato e mi aggrappo al bordo del tavolo.
«Ascolta, Terri, so che è arrabbiato con me, ma ho bisogno di parlargli. È importante, capito? Ieri mattina mi ha attaccato il telefono in faccia... Pensavo che se tu lo incoraggiassi a chiamarmi...», sembra stremato. «Non lo so... ascolta, mi dispiace», aggiunge, e riattacca.
Libero il tavolo dalla mia stretta mortale, mi alzo e cancello il messaggio dalla segreteria. Quando mi volto, Ethan è in piedi. Il buco che ho fatto sul muro con un pugno non è ancora stato riparato, e penso di sferrarne un altro nello stesso punto.
«Credo che dovremmo raccogliere le nostre porcherie prima che piova», dice Ethan, fissando il cielo attraverso la finestra.
Mi scrocchio le nocche e mi avvio verso la porta. «Mi sembra una buona idea».

Non lasciarmi andareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora