Capitolo 4

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MICHA

«È già riuscita a mandarti in fibrillazione». Ethan sorseggia la sua soda. «Guardati. Ubriaco dopo otto mesi di astinenza dall'alcol e non credo sia una coincidenza il fatto che sia successo proprio la notte in cui lei si è rifatta viva».

Butto giù un altro shot e mi pulisco le labbra con il dorso della mano. «Sto bene, amico. E non posso biasimare nessun altro all'infuori di me per quello che faccio. Non è colpa di Ella».Ethan ride, buttando indietro la testa, e picchiandola sul bordo dell'armadio. «Ma chi diavolo stai cercando di convincere? Sai perfettamente, come tutte le persone che ci sono nella stanza, che voi due siete l'uno il problema dell'altra, e non risolverete mai la cosa fino a quando non farete sesso e vi toglierete il pensiero».

Gli do un pugno sul braccio, più forte di quanto vorrei. «Stai attento. Stasera stai tirando troppo la corda».

Lui alza le mani, in segno di resa. «Scusa. Mi ero dimenticato cosa diventi, quando sei in questo stato».

Lo afferro per la maglietta strattonandolo verso di me. «Quale stato?».Di nuovo, alza le mani. «Micha, amico, calmati e vai a bere del caffè. Tu sei uscito di testa».

Lo lascio andare e mi passo le dita fra i capelli, frustrato dal non poter stringere qualcosa. «Il caffè è una leggenda... e ho bisogno di qualcos'altro». I miei occhi si spostano sulla finestra della porta posteriore e improvvisamente capisco di cosa ho bisogno. Do una pacca sulla spalla di Ethan. «Manda via tutti prima che torni mia madre, va bene?»

«Va bene, amico, lo farò», replica perplesso. «Ma tu dove stai andando?»

«A fare una passeggiata». Spingo via la gente e mi dirigo barcollando verso la porta sul retro. Riacquistando il mio equilibrio, attraverso il prato e scavalco la recinzione. La Firebird del padre di Ella è parcheggiata sul vialetto, quindi dovrebbe essere rientrato dal bar. Non importa, comunque. Non noterà e non gli interesserà se entro di nascosto. Lo faccio da quando eravamo bambini.

Anche se le mie intenzioni sono diventate sempre più scorrette man mano che crescevamo.

Guardo la finestra della sua stanza, finché raggiungo l'albero. Dopo una lotta da ubriaco, riesco a salire in cima e mi allungo lentamente sul ramo per raggiungere la finestra. Mettendo le mani a coppa intorno agli occhi, sbircio all'interno. Le luci sono spente, ma il bagliore della luna illumina una striscia del suo letto. È profondamente addormentata. Apro piano la finestra, tagliandomi un dito con un chiodo arrugginito. «Porca...». Succhio la punta del dito e sento il gusto amaro del sangue e della vodka sulla lingua, poi mi tuffo di testa attraverso la finestra e atterro sul pavimento con un leggero tonfo.

La sua amica balza in piedi, dal letto al pavimento, con gli occhi sbarrati. «Oh mio Dio».

Appoggio l'indice sulle labbra mentre mi alzo. «Shh..». Lei sembra ancora preoccupata, quindi la incanto con uno dei miei sorrisi più accattivanti.

Questo sembra persuaderla e si rimette a letto. Il più delicatamente possibile, salgo sul letto e mi avvicino a Ella strisciando. Ha sempre avuto il sonno pesante e non si muove. Spingo il petto contro la sua schiena, le appoggio il braccio sul fianco e sento il ritmo del suo respiro. Dio, quanto mi è mancato tutto questo. Non è salutare. Sprofondo il viso nel suo collo, respirando il profumo dei capelli, vaniglia mista a qualcosa che appartiene solo a lei.

Chiudo gli occhi e, per la prima volta in otto mesi, cado in un sonno tranquillo.

ELLA

Dormo un sonno agitato per metà della notte, voltandomi e dibattendomi, come la principessa sul pisello. Solo che io non sono una principessa e il pisello è la mia coscienza. Non so perché, ma mi sento colpevole per aver respinto Micha. Non ho avuto problemi a farlo negli ultimi otto mesi. Però lui non viveva nella casa accanto alla mia, con il suo sguardo da cagnolino bastonato e il suo fascino irresistibile.

Non lasciarmi andareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora