Capitolo 12

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MICHA

«Amico, dove cavolo hai la testa oggi?», chiede Ethan, e qualche secondo più tardi uno straccio unto mi colpisce in piena faccia.
Glielo rilancio, con forza. «Stai cominciando a farmi incazzare con le tue stronzate».
Ethan sbarra gli occhi. «Come vuoi, amico. Sei stato parecchio distratto negli ultimi due giorni». Infila di nuovo la testa sotto il cofano. «E non ho intenzione di dire perché». «Bene, perché non ho voglia di sentirlo». Giro intorno alla macchina e osservo gli attrezzi appesi al muro del garage. Afferro una cassetta arrugginita, una delle poche cose che ha lasciato mio padre, e la lancio nel bidone della spazzatura. Ha chiamato di nuovo questa mattina, pregando in segreteria affinché mia madre o io sollevassimo la cornetta.
Ethan alza la testa e guarda il bidone della spazzatura. «Mi vuoi spiegare perché l'hai fatto?»
«No». Prendo una chiave inglese e inizio a trafficare sulla macchina. Lavoriamo per un po', ma fa caldo e, ogni secondo che passa, io mi innervosisco di più per mio padre. Alla fine, mi sposto e butto la chiave sul pavimento. Ethan non fa domande questa volta.
«Dovremmo fare una festa questa sera», annuncio, incapace di stare fermo. «Una megafesta, come quella che abbiamo fatto la sera del diploma».
«Vuoi davvero rivivere quella notte?». Ethan spunta da sotto il cofano. «Perché io non sono sicuro di volerlo».
Esco fuori, alla luce del sole, deciso a schiarirmi la mente. «Quello che non ricordi non può farti male, no?»
«Non credo tu voglia arrivare a quel punto». Ethan mi si affianca e insieme guardiamo un vecchio che sta spingendo un carrello della spesa al di là del vialetto. «Mi capita spesso di desiderare di poter ricordare darei qualunque cosa per ricordare - ma non ci riesco. Ho perso circa un anno della mia vita. È meglio rimanere entro i confini di una mente semi-lucida. Inoltre, questa non sembra per nulla una cosa da te. Che cosa succede?»
«Non succede niente». Sospiro, passandomi le dita fra i capelli. «Sto solo pensando a voce alta».
Ethan torna in garage e ricomincia a lavorare al motore. Verso il secondo anno di scuola, cominciò a uscire con dei ragazzi che avevano una visione molto pesante del mondo e si divertivano a starsene seduti a sballarsi, mentre ne parlavano. Ethan, in qualche modo, finì per diventare loro amico e, nel giro di un mese, abbandonò la scuola e si ficcò per bene nei guai.
Un anno più tardi decise di chiedere aiuto. Rimise ordine nella sua vita, smise di farsi, e lavorò come un matto per mettersi in pari a scuola. Era un anno indietro, ma riuscì a diplomarsi con quelli del nostro corso. Guardandolo, non si direbbe.
La porta laterale della casa di Ella si apre di colpo e ne esce Lila. Sembra infastidita, ma non tanto quanto lo era la scorsa notte. Lancia uno sguardo alla casa dall'altra parte della strada, nel cui giardino sta avendo luogo una partita di football molto rumorosa. I suoi occhi si spostano verso casa mia e si spalancano quando vede che la sto guardando.
Mi fa un timido cenno di saluto dal gradino più alto. «Ehi, Micha». «Cosa succede?», chiedo, facendo un lieve movimento con il mento. «Ella è già sveglia?».
Riparandosi gli occhi blu dal sole, guarda in su, verso la finestra della camera di Ella. «Sì, ha detto che uscirà fra un secondo. Sta parlando con suo fratello».
«Lui non sta facendo l'idiota, vero?»
«Non so cosa voglia dire fare l'idiota per un fratello, dal momento che non ne ho uno». Un sorriso le increspa le labbra.
Mi avvicino alla recinzione, tirandomi su i pantaloni che mi stanno scivolando lungo i fianchi. «Non stanno urlando?».
Lila scuote la testa e mi viene incontro, togliendosi i biondi capelli dalla bocca. «Ma Ella non è una che alza la voce, no?».
Appoggio le braccia in cima alla recinzione. «Dipende, di quale stiamo parlando?».
Lei ci rimane male. «Come posso conoscerla da otto dannati mesi e non sapere niente di lei? Questo dovrebbe far capire qualcosa di me, giusto?».
Mi dispiace per lei. «Penso che per Ella fosse una specie di missione tenerti all'oscuro di chi fosse veramente. Non è colpa tua».
Mi guarda sospettosa. «Onestamente, sembra che lei si comporti così con tutti, eccetto che con te».
«Ci conosciamo da sempre», rispondo. «Abbiamo una relazione confidenziale». I suoi occhi blu luccicano maliziosamente. «Una che prevede anche palpeggiamenti in macchina?»
«Sembra che tu sia in cerca di guai», affermo, apprezzando sempre di più questa ragazza.
«Forse sì». Si sporge oltre la recinzione, in modo da poter vedere meglio l'interno del garage. «C'è Ethan là dentro?».
Faccio un passo indietro, così da concederle una visuale migliore. «Sì, sta lavorando alla macchina».
«Credo che andrò ad aiutarlo». Un sorriso le si dipinge sul viso e Lila salta la recinzione, lanciando un urletto quando la sua scarpa rimane incastrata nel filo metallico.
Cercando di non ridere, sgancio la scarpa e lei entra in garage, cogliendo Ethan di sorpresa. La porta della casa di Ella si apre, e la mia attenzione si concentra su di lei, mentre esce alla luce del sole, scendendo i gradini.
Indossa uno stretto vestito a scacchi nero e viola, e stivali allacciati fino al ginocchio, ma i capelli sono ordinatamente arricciati. È una sorta di miscuglio del suo vecchio aspetto con il nuovo. Ha un'espressione circospetta mentre passeggia lungo il vialetto, con quello strano sguardo negli occhi, come se fosse terrorizzata ed eccitata allo stesso tempo.
«Lila è qui fuori?». Si mordicchia il labbro e io vorrei sporgermi e morderlo al posto suo, assaporarla e sentirla come ho fatto la scorsa notte. Senza levarle gli occhi di dosso, indico il garage con la testa. «È là dentro con Ethan. Penso che abbia una cotta per lui».
«Credo che tu abbia ragione». Fa una pausa. «Probabilmente l'ho mandata un po' in paranoia, solo un pochino».
«Vuoi dire che tu e Dean l'avete mandata un po' in paranoia?»
«Ti ha detto che stavo parlando con Dean?»
«L'ha accennato». Tendo la mano verso di lei. «Perché non vieni qui e ti unisci alla festa da questa parte della recinzione?»
«Una festa in quattro?», chiede, cercando di non sorridere e risultando maledettamente carina. La prendo per i fianchi e la sollevo verso di me, avvicinando le labbra al suo orecchio. «Potrebbe essere una festa per due. Basta chiedere».
Rabbrividisce per la sensazione che le dà il mio respiro sul collo. «Credo sia meglio se rimane una cosa a quattro».
Premo le dita nella piega dei suoi fianchi. «Non sapevo ti piacesse la perversione».
Mi dà una botta sulla spalla e io rido, i problemi con mio padre mi sembrano meno pesanti. «Rilassati, stavo solo scherzando, anche se sei stata tu a tirarlo in ballo per prima».
«Stavo facendo una battuta».
«Lo so... Credo che darò una festa stasera». «Non ne dai una ogni sera?».
Alzo il sopracciglio. «A parte la sera in cui ti sei rifatta viva, ne hai viste altre?».
Corruga la fronte. «No». Si siede sullo steccato, con le gambe penzoloni dalla mia parte. «Micha, cosa hai fatto negli ultimi otto mesi?»
«Sono stato in fissa per te». Evito la verità. Che ho fatto poco più di niente, a parte cercarla e aiutare mia madre nelle faccende di casa.
Piega il vestito sotto le gambe e io do una sbirciatina alle mutandine di pizzo nero che porta. «Dove lavori?».
Nonostante le sue proteste, le divarico le gambe e mi infilo in mezzo. «Lavoro molto in officina con Ethan, ma non sarà per sempre. Ho dei progetti. Mi sto ancora dando da fare per organizzare ogni cosa».
Lei mi mette una mano sul petto, spingendomi indietro. «Penso che i contorni della nostra amicizia si stiano facendo un po' confusi».
«Quello è successo molto tempo fa», le rispondo, facendo scivolare i palmi delle mani sulle sue gambe nude. «Almeno per me».
Serra la mascella. «Sono cose come questa che li rendono confusi, e cose come la scorsa notte... e cose come quelle successe in macchina».
«Sembra che ci siano un sacco di cose, che credo possano essere sinonimo del fatto che io e te siamo destinati a stare insieme».
I suoi occhi si spalancano e io faccio marcia indietro, provando un'altra tattica. Ha bisogno di sorridere e di rilassare quelle labbra tese. Le pizzico un fianco e lei strilla.
«Non farlo», intima, trattenendo una risata. «Sai che odio il solletico».
Le sfioro con le dita l'altro fianco e lei si dimena, prima di cadere dalla recinzione e atterrare sulla schiena in mezzo all'erba. Salto dall'altra parte senza difficoltà, mentre lei si affanna per rimettersi in piedi. Strizza gli occhi, indietreggiando verso la porta posteriore. Corro aggirandola di fianco e lei sfugge alla mia presa. Lancia uno sguardo alla porta e poi al giardino di fronte, che è più vicino.
«Micha, sul serio», mi avverte. «Siamo troppo vecchi per queste cose».
Allargo un braccio innocentemente. «Non sto facendo niente».
I suoi occhi guizzano un'ultima volta verso la casa e poi, scuotendo la testa, gira su se stessa e corre verso il giardino. Le concedo un po' di vantaggio prima di scattare dietro di lei. Giro intorno alla casa e la trovo sul portico anteriore che armeggia con il pomello della porta.
Scoppio a ridere. «È chiusa a chiave?».
Lei emette un sospiro di frustrazione e salta la ringhiera, scivolando sull'erba. «Accidenti Micha! Ti assicuro che le prenderai per questo».
«Ho intenzione di prendere sul serio la tua minaccia». La rincorro attraverso il prato dei vicini. Lei scappa nell'erba, i capelli sfuggono alla molletta. Si lancia oltre il muretto di mattoni nel giardino accanto, schiacciando una fila di fiori. Senza usare le mani, salto oltre il recinto, ma inciampo, mentre atterro dall'altra parte, e cado in ginocchio.
Lei si blocca in mezzo al prato e comincia a ridere di me. «Te lo sei proprio meritato».
Mi alzo in piedi, togliendomi la terra dalle ginocchia e un sorriso malvagio compare sul mio viso. «Pensi sia divertente?».
I suoi occhi brillano: è valsa la pena di cadere. «Sei ridicolo».
«Davvero?». Faccio un passo verso di lei.
Lei fa un passo indietro. «Davvero». Improvvisamente, l'impianto d'irrigazione si accende, innaffiando il prato e lei. Ella lancia un urlo e si copre la testa con le braccia.
«Così impari a ridere di me», affermo con un ghigno.
Lascia ricadere le braccia e fa un sorriso furbo. «Be', almeno ti tiene lontano da me».
Il vestito le si appiccica addosso, in tutti i posti giusti, e ciocche di capelli bagnati le si incollano ai lati del viso. Inizia a girare su se stessa con le mani sollevate sopra la testa.
«Sei bellissima», le dico, incapace di trattenermi.

ELLA

Micha ha un aspetto ridicolo e io non posso fare a meno di ridere. Non ridevo così da talmente tanto tempo che quel suono dalla mia bocca mi sembra innaturale. È come se fossimo di nuovo bambini, come se questo momento appartenesse a un altro tempo, in cui tutto era facile e pieno di gioia.
Mentre rido, l'impianto d'irrigazione si accende e i miei vestiti si inzuppano all'istante. All'inizio lancio un grido, ma poi mi lascio andare, alzando le mani sopra la testa e piroettando sotto l'acqua, certa che Micha non verrà a prendermi. Lui dice qualcosa sul fatto che gli sembro bellissima e poi si butta sotto l'irrigatore, cogliendomi del tutto alla sprovvista. Le sue braccia mi stringono la vita e cadiamo a terra, ma Micha regge il mio peso, in modo che atterri dolcemente nell'erba.
«Micha», affermo, cercando di essere seria. «Non farlo. Sai quanto odio quando mi fanno il solletico».
«Il che lo rende ancora più allettante». L'acqua gli imperla i capelli, le lunghe ciglia e le labbra. Con una mano, mi blocca le braccia sopra la testa e preme il corpo contro di me. I vestiti bagnati aderiscono alla mia pelle e riesco a sentire ogni parte di lui. «Ritiro quello che ho detto. Questo è ancora più allettante». Mi fa scivolare la mano sulle costole, il pollice traccia i contorni di ogni rilievo, mandando in delirio il mio corpo. Smetto di contrastarlo e resto perfettamente immobile. L'acqua schizza sui nostri visi, mentre lui avvicina le sue labbra alle mie. Le nostre lingue si attorcigliano, riempiendoci di desiderio, mentre entrano in contatto. Una sensazione strana e sconosciuta si fa strada dentro di me e divarico le gambe, catturando i suoi fianchi e chiedendo di più, come la scorsa notte.
Micha si tira indietro, mentre guarda sorpreso la casa di fianco e poi la strada. Allora emette un ringhio indomito e intensifica il bacio, spingendomi la lingua in bocca. Succhio il suo labbro inferiore e con la lingua seguo il contorno del suo anello. Un fremito gli attraversa il corpo e rimango segretamente soddisfatta, ma il mio piacere mi confonde.
«Ella», geme e poi mi bacia con passione. La sua mano si sposta più in alto e si stringe intorno al mio seno. Il pollice gira intorno al capezzolo e, con la stoffa bagnata, la sensazione è travolgente.
Mi sta facendo impazzire e stringo forte le ginocchia sui suoi fianchi.
Un gemito estatico mi sfugge dalle labbra. Sto ricominciando a perdere il controllo ed è preoccupante. Cerco di passare oltre questa volta, ma mi sto consumando e devo fermarmi. Con un enorme sforzo, metto le braccia in mezzo a noi e lo spingo via.
«Dovremmo trattenerci». Guardo la casa di mattoni che sorge sul prato sul quale siamo sdraiati. «Oltretutto, se la signorina Fenerly dovesse uscire, le verrebbe un infarto».
Gli occhi turchesi di Micha mi penetrano. Ha del fango sulla fronte e fili d'erba fra i ricci biondi. «Se questo è ciò che vuoi». Rimettendosi in piedi, mi afferra la mano e mi aiuta ad alzarmi. Mi toglie dei ciuffi d'erba dai capelli e lascia che le dita indugino sulla mia guancia.
Tenendoci per mano, camminiamo nell'erba e lungo il marciapiede, lasciando dietro di noi tracce d'acqua, e anche di qualcosa d'altro. Qualcosa di invisibile per un occhio esterno, ma per me più evidente del sole nel cielo.

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